La svolta anti-democratica del parlamento inglese sulla Brexit (1a parte)
di Amanda Hunter – FSI Udine
La settimana scorsa gli occhi dei media europei e dei gruppi politici anti-unionisti di tutta Europa sono stati puntati sugli eventi sviluppatisi nel Regno Unito, il Paese in cui, nello scorso 2016, è stato deciso democraticamente mediante un referendum l’uscita dall’Unione Europea. Martedì 15 gennaio il governo britannico ha perso il cosiddetto meaningful vote (voto significativo), termine che indica la 13° sezione dell’Atto di Recesso del Regno Unito, con il quale il Governo sottopone al Parlamento una mozione emendabile alla fine del periodo di due anni di negoziazioni previsto dall’Articolo 50 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, NdT).
Ciò ha consentito ai parlamentari di votare sulle condizioni dell’uscita della Gran Bretagna dall’Europa come previsto dall’accordo di recesso stipulato in precedenza tra Regno Unito e Bruxelles. Il meaningful vote, che il governo May ha concesso al Parlamento in seguito alle forti pressioni dei partiti, avrebbe dovuto avere luogo l’11 dicembre ma, con poche ore di preavviso, era stato posticipato dal Primo Ministro britannico al 15 gennaio. La pesante sconfitta di Martedì scorso (la più grande nella storia parlamentare britannica) ha visto il Governo perdere per 230 voti, molti più di quelli che si aspettavano gli stessi parlamentari e i media, inclusi i corrispondenti dal parlamento (1).
L’accordo di recesso ha avuto infatti scarso appoggio da entrambi i rami della Camera dei Comuni ma era stato respinto a titolo definitivo da alcuni parlamentari pro-Brexit come Jacob Rees-Mogg e gli ex-segretari Dominic Raab e David Davis, per il motivo che non rispettava il mandato consegnato dal referendum rischiava inoltre di legare in via definitiva il Regno Unito all’Unione europea (2). ll loro punto di vista è quello ormai condiviso, non solo dal maggior parte del elettorato che ha votato per Leave (uscita) ma anche dalla gran parte dell’elettorato, indipendentemente dal voto espresso nel referendum (3).
Nonostante tutto, è importante sottolineare che, mentre il rifiuto dell’accordo di recesso del Primo Ministro May fu un fatto positivo in quanto rispettava il volere del popolo britannico espresso dal referendum, sarebbe sbagliato concludere che il Parlamento britannico abbia votato contro l’accordo con Bruxelles per lo stesso motivo. Al contrario, le motivazioni della maggioranza dei rappresentanti eletti appaiono molto meno onorevoli. Il respingimento dell’accordo non è stato dettato infatti dal rispetto che avrebbero verso l’esito del referendum, quanto piuttosto per lo spregio nei confronti dei 17,4 milioni che hanno votato per lasciare l’Unione Europea.
Possiamo affermare con sicurezza ormai che, con davvero poche eccezioni, la classe politica britannica abbia cercato di approfittare dei due anni successivi all’esito referendario per ostacolare in tutti modi i preparativi del Regno Unito alla recessione dai Trattati UE, nella speranza di procrastinare la Brexit il tempo necessario per convincere i cittadini che il loro voto è stato uno sbaglio. E perciò si sta manipolando l’opinione pubblica per legittimare l’idea di lanciare un secondo referendum che stavolta però abbia come suo esito la permanenza nell’UE (remain). Inoltre, se questo ancora non fosse possibile, si sta tramando anche di sopprimere la Brexit vera e propria prima del 29 marzo 2019, ovvero nel momento in cui sarebbe stata fissata.
Va da sé che tali rallentamenti, promossi per sabotare la Brexit dalla maggior parte dei parlamentari schierati per il remain, sono stati profondamente antidemocratici. Tali azioni includono:
1- l’appello accolto dalla Corte Suprema per impedire al governo May di invocare l’Articolo 50 TFUE (il processo formale e legale di recesso dall’Unione Europea) senza il consenso del Parlamento (4);
2- l’appello accolto dalla non-eletta Camera dei Lord affinché si pretendesse di avanzare emendamenti durante l’Atto di Recesso al fine, non solo di ritardare ulteriormente il processo della Brexit, ma anche per assicurarsi che fosse lasciata al Parlamento l’ultima parola sui termini del recesso da parte della Gran Bretagna, operazione altrimenti nota nell’ambiguo linguaggio parlamentare come il meaningful vote (5);
3- l’impegno a sostenere una disonesta campagna della durata di due anni, orientata a spaventare i parlamentari sostenitori del recesso insieme ai loro elettori affinché sottraessero il loro appoggio ad un accordo in favore della Brexit “senza accordo” (No Deal): opzione rimasta ancora sul tavolo delle trattative ma che viene accuratamente evitata dai parlamentari mentre, verosimilmente, rispetterebbe più delle altre il mandato conferito loro dal referendum del 2016.
In ogni caso, mentre il fatidico 29 marzo si avvicina, la classe politica britannica ha intensificato i suoi sforzi con l’obiettivo antidemocratico di evitare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, come dimostrano chiaramente gli scioccanti eventi delle ultime due settimane.
NOTE
(5) https://www.telegraph.co.uk/news/2017/03/07/brexit-lords-vote-article-50-amendment-watch-live/
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