La lingua mimetica e cosmetica

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15 risposte

  1. Matauitatau ha detto:

    Scusate ma se restate sulle ovvietà non concludete nulla.
    L’italiano viene soppiantato dall’inglese in parte per motivi “coloniali” ma soprattutto
    perché ha perso da tempo il contatto con le capacità di plasmarlo del suo proprio
    popolo.
    È una lingua ridicolmente ingessata mentre l’inglese, per una serie di motivi anche interessanti,
    è in continuo work in progress; quello che cambia è l’atteggiamento dell’accedemia dei
    due paesi: l’Inghilterra molto rispettosa delle common laws linguistiche e quindi capace di
    intuirne le capacità di vivificare e tenere viva la lingua; rigida l’Italia e sprezzante verso tutto ciò che
    non proviene dalla cultura istituzionale, con i propri intellettuali sempre spasmodicamente tesi a
    mantenere i orivilegi del loro ruolo accademico e quindi preoccupatissimi di impedire l’evoluzione
    spontanea delle forme linguistiche (ma anche culturali).

    Vi faccio un esempio concreto. I due grossissimi problemi della nostra lingua sono la scarsità di
    vocaboli e la lunghezza eccessiva delle parole.
    Pensate alle parole safety e security; da noi esiste solo sicurezza e quindi siamo costretti a usare quelle inglesi quando si tratta di discorsi di tipo professionale. Come mai ci lamentiamo della orevalenza dellq lingua anglosassone
    ma non proponiamo a nostra volta dei vocaboli sostitutivi?

    Il punto più difficile però è quello relativo alla lunghezza delle nostre parole; le vecchie ce le teniamo così come sono
    ma se non saremo capaci di inventarne di nuove più brevi saremo surclassati linguisticamente.
    Ma oer qualche motivo ci freniamo da soli: pensate alla parola inglese application (per pc)
    Che in italiano si tradurrebbe applicazione. Ora cosa fanno gli anglosassoni?
    La tagliano e la chiamano app che è molto più funzionale. E perché non potremmo accorciare
    anche noi? Attenzione che se non impariamo a plasmare la nostra lingua lasceremo il campo sguarnito alle invasioni straniere.
    Di esempi ne avrei moltissimi; in generale è controproducente lamentarsi dell’invadenza altrui se
    non si pensa prima di tutto a cosa dobbiamo urgentemente migliorare noi stessi.
    Oltre alla constatazione dell’invadenza anglosassone occorrerebbe da parte vostra
    una analisi più approfondita della plasmabilità e funzionalità dell’italiano.
    Le modalità di uso comunitario della lingua rispecchiano la struttura del potere e i rapporti sociali
    e non è un caso questa rigidità della nostra lingua; non basta denunciare l’invasione straniera.

  2. Durga ha detto:

    Concordo. Pare che un tempo si dicesse:"Lo schiavo perfetto deve essere in buona salute e capire la lingua del padrone".  Almeno in TV dovrebbe essere obbligatorio tradurre i termini tecnici in italiano.

  3. ndr60 ha detto:

    "Almeno in TV dovrebbe essere obbligatorio tradurre i termini tecnici in italiano": sì, se chi è in TV conoscesse l'italiano.

    A differenza dell'autore dell'articolo, mi pare che la lingua italiana non si sia affatto fossilizzata, grazie all'apporto ed alla mescolanza con gli idiomi delle altre lingue e culture anche molto lontane da noi; questo fatto è evidente se si frequenta un qualunque mercato rionale, certo diventa difficile per un accademico della Crusca. Del resto la nostra lingua è nata grazie all'apporto di tutti quelli che ci hanno invaso nel corso dei secoli e le cui tracce sono rinvenibili in tante parole usate comunemente.

    Intanto i media hanno già stabilito che Renzi è molto cool, a me sembra molto para-cool…

     

  4. Domenico.Di.Russo ha detto:

    Cari tutti,

    non ci siamo, né con l'articolo di Del Vecchio, né con i commenti e men che meno con le citazioni di Fusaro.

    Perdonate il tono brusco ma mi sento direttamente coinvolto in quanto linguista (benché precario), cioè come persona che ha eletto il linguaggio e la lingua a suo oggetto di studio e che peraltro si è occupato e si occupa tuttora proprio dell'italiano, anche se in particolare in ambiti diversi da quello lessicale.

    Ora, poiché le riflessioni poco linguistiche di cui sopra sono condotte per lo più per sentito dire o di pancia piuttosto che scientificamente – cosa che del resto mi tocca sentire spesso giacché la lingua è di tutti e tutti giustamente rivendicano il diritto di parlarne, anche se sarebbe meglio studiarle prima un po' e imparare ad analizzarle – c'è bisogno di una risposta accurata, fondata e che tagli la testa al toro, per cui annuncio fin da ora che a questo tema dedicherò il mio prossimo articolo su questo blog.

    Ne riparliamo quindi con più calma e con qualche dato il 23 gennaio.

    Restate sintonizzati (spero apprezziate che non abbia usato il troppo inglese "stay tuned").

    A presto

    Domenico

     

    • Matauitatau ha detto:

      Calma Domenico, rilassati.

      Impara la regoletta base della personcina per bene: si viene per "dialogare" e non per "giudicare", si "confrontano" le opinioni e non si "danno lezioni".

      Compris?

       

      Capito questo esponici il tuo pensiero e accetta come suggerimento la proposta di capire bene quello che ha detto l'interlocutore (per un linguista questo non dovrebbe essere troppo difficile con un po' di allenamento) e di evitare i post in cui ti ilimiti a stabilire che tu hai il potere di "valutare" e sei detentore della "parola-definitiva-che-chiarisce-le-questioni".

       

      Ci siamo Mimmo? Bravo, adesso dicci cosa pensi della questione della lingua.

  5. stefano.dandrea ha detto:

    Il problema della lingua nazionale si scompone in tanti profili. Uno dei principali è il profilo dei termini "giuridico-economici", utilizzati per dissimulare la realtà o che comunque la dissimulano o la rendono meno comprensibile, anche agli addetti ai lavori.

    Swaps per scommesse finanziarie; leveraged buy out per acquisto a debito di una società; factoring per contratto di finanziamento a breve mediante cessione dei crediti "in garanzia"; leasing back per finanziamento una tantum mediante vendita dell'immobile dell'impresa e assunzione dell'obbligo di pagare un canone per il godimento del medesimo (usura o comunque segno di catastrofe); franchising per subordinazione para-autonoma o pseudo-autonoma; sono tutti inganni importanti, anzi importantissimi. Nessuno di voi, che pure siete menti critiche, contesta questi istituti, se non vagamente (la critica dei derivati) e forse non li conoscete. Nemmeno la dottrina civilistica e commercialistica li contesta. Anzi molto spesso ha intonato il peana.

    L'articolo ha il merito di segnalare l'esigenza di un concetto riassuntivo (e con esso un profilo del problema della lingua) e propone "inglese operazionale" .

    La proposta non mi piace. Credo che la formula di Fusaro sia politicamente inservibile ("operazionale" dice troppo poco per il discorso politico, e, in fondo, anche per i discorsi scientifico e filosofico). La sostituirei con "inglese dissimulatorio e mistificatorio". Ma il problema c'è; quindi l'articolo è molto utile.

    Mi permetto di invitare ad evitare il benaltrismo o l'altrismo e a concentrarci sempre soltanto sulle cose importanti o rilevanti che troviamo negli articoli pubblicati, le quali vanno approfondite o precisate o corrette. Per esempio, Matauitatau segnala un ulteriore problema: se vuole può inviarci a italiasovrana@gmail.com un contributo sul profilo che sottolinea. In rete un articolo va dedicato a un profilo. Poi spetta al lettore particolarmente interessato o a chi volesse scrivere un documento sommare, sintetizzare e rendere coerenti più contributi. 

    Quindi sono ben accetti e anzi auspicati altri contributi, anche da parte di Matauitatau

    • stefano.dandrea ha detto:

      Aggiungo che la formula "lingua mimetica e cosmetica" è migliore, e per il discorso politico e per il discorso scientifico e per il discorso filosofico, di quella di Fusaro. Rispetto alla mia formula non segnala, o non segnala a sufficienza, la mistificazione mentre sembra segnalare due volte il nascondimento.

      • Matauitatau ha detto:

        Caro Stefano grazie per l'interessamento.

        Vi seguo e quando vedrò che è veramente nato un "discorso" cercherò di dare un contributo anche concreto.

        Per adesso vedo buone intenzioni ma un approccio vecchio.

        Sarebbe interessantissima e importantissima una riflessione a più voci sul perché della disastrosa decadenza della lingua italiana (che NON è cominciata con la predominanza degli anglosassoni, ovviamente).

        La lingua, come tutte le espressioni culturali, riflette in toto le strutture e le configurazioni del potere e dei rapporti fra classi (nonché dei rapporti della classe dominante locale con le classi dominanti estere della stessa area politico culturale – ossia la effettiva capacità "progettuale" di una certa ruling class; e sappiamo che quella della classe dominante italiana è stata pari a quasi zero dal XVII secolo in poi).

        Quindi cominciamo a spiegare agli intellettuali di ARS, al cui funzione è FONDAMENTALE, che devono capire che non si insegna ma si "dialoga" e che il rapporto con le persone ci serve a tutti per "imparare" e non per confermare una nostra supposta posizione sociale.

         

  6. Domenico.Di.Russo ha detto:

    Caro Matauitatau,

    non mi rilasso affatto perché su questi temi ho passato anni interi di studio e ancora ne passerò se dio vuole. Perciò, quando vedo che si discute a ruota libera e non si affronta l'argomento con rigore, dapprima mi arrabbio, dopodiché subentra l'amarezza, poi mi riprendo e mi rimbocco le maniche.

    Non detengo alcun potere perciò la mia opinione conta quanto il due di picche. Una cosa però mi infastidisce: che si affronti la questione della lingua e si cerchi una soluzione, cosa che mi pare anche Stefano sottintenda, senza far riferimento ai lavori scientifici, sulla base più di un'impressione che di un'analisi rigorosa. Se permettete, visto che si tratta del mio mestiere, vorrei dare un contributo in questo senso e mostrarvi perché i vostri ragionamenti sono infondati sia nell'impostazione che nelle argomentazioni, il tutto sempre da un punto di vista scientifico, dall'analisi linguistica insomma. Purtroppo in questi giorni sono veramente oberato di impegni da onorare, perciò, come ho già annunciato, il prossimo 23 gennaio avrete il mio punto di vista, per quel poco che conta. E capirete perché sono brusco quando si parla di questione della lingua e soprattutto lei, Matauitatau (mi perdoni se la chiamo così ma non la conosco, altrimenti preferirei chiamarla per nome), capirà perché quella che lei chiama la «disastrosa decadenza della lingua italiana» semplicemente non esiste ma si tratta piuttosto di uno dei tanti luoghi comuni che impediscono di riflettere seriamente sulla lingua. Le chiedo pertanto di pazientare solo un po', il 23 capirà cosa non funziona nel vostro discorso.

    Una cosa però mi sento di suggerirle: di non mancarmi di rispetto. La questione del nome… Mimmo… Io mi chiamo Domenico e, come tutti quelli che hanno questo nome, anch'io sono chiamato dai miei cari e dai miei amici con un nomignolo, che non è Mimmo però. Pertanto non la autorizzo a chiamarmi così. Chiariamoci meglio: io non mi permetto di scadere sul personale, soprattutto perché non la conosco, perciò gradirei che lei facesse altrettanto con me. Sarò stato anche duro nei toni ma non sono stato maleducato né mi sono preso certe licenze. Ci siamo capiti, vero?

    Di nuovo, ne riparliamo, se vorrà, il 23.

    Cordialmente

    Domenico

     

    • Matauitatau ha detto:

      Egregio Domenico, come chiunque salvo lei si è accorto il mio tono era una risposta al suo, sbrigativamente pedagogico.

      Se vuole cortesemente esporre le sue idee gliene sarò grato a condizione che lo faccia per confrontare le sue tesi con quelle degli altri e non per dare lezioni.Il fatto che ha studiato per anni il problema disgraziatamente  non cambia il dato di fatto che l'italiano è una lingua che risente di un certo problemino che ne ha causato la disastrosa decadenza.

      Ne parliamo quando mi dimostrerà che questa decadenza non c'è.

      Nel frattempo le chiedo cortesemente di spiegarmi come mai l'italiano ha molti meno vocaboli dell'inglese; l'inglese sente il bisogno di creare vocaboli per ogni concetto mentre l'italiano no: lei ha una spiegazione per questo interessantissimo fenomeno? Io sì e credo che una lingua che sia letteralmente "in imbarazzo" nel creare nuove parole sia, come ho detto, in un disastroso stato di decadenza.

      Un altro fra le migliaia di esempi? In fotografia esiste la parola inglese "flash"; mi dice cortesemente come diavolo si pensa di poter sostituire il vocabolo

      "flash"

      con

      "lam-peg-gia-to-re"?

      Lei non crede che la vocale in fine di parola sia un handicap terribile dell'italiano?

      Avrà notato però che i poeti antichi erano costretti a elidere l'ultima vocale per far quadrare i versi…c'è tanto da dire se si riesce, poco accademicamente, a cambiare il punto di vista senza restare sullo stantio libresco.

      Attendo il suo articolo.

      • Matauitatau ha detto:

        Aggiungo tanto per divertirci e per confermare che il problema è in una mentalità italica che rispecchia l'impasse della sua classe dominante, costretta a un ruolo provinciale da quelle straniere e quindi unicamente focalizzata sul mero mantenimento della propria rendita di posizione limitandosi a impedire qualsiasi tentativo "espansivo" delle classi subalterne sia in senso economico che culturale.

        Allora: sarebbe ovvio osservare che una lingua "viva" è capace di proporre vocaboli nuovi che siano funzionali e niente lo è di più delle parole onomatopeiche.

        L'Italia ha avuto (una volta) una straordinaria industria cinematografica e dove si sviluppa una forte professionalità nascono parole nuove; e in italiano è spuntata una parola che è "CIAK" che in inglese si chiama "clapperboard".

        Be', mi sembra molto più "forte" la parola italiana, no?

        Ma chiedetevi quanti sappiano che è una parola italiana…

        Perché questa libertà e creatività nella nostra lingua, salvo sporadiche eccezione come appunto "ciak", sono praticamente proibite mentre in inglese, ma anche francese e spagnolo, vengono accettate comunemente. Una questione quindi di conflitto fra cultura alta, sclerotizzata, "imposta" e cultura viva rinnegata al fine di mantenere saldamente sotto controllo i tentativi di sviluppi culturali fuori dal mainstream delle classi subalterne.

        Di conseguenza o si parte dal sistema di potere e dai rapporti sociali sottesi al linguaggio o si resta sulla sterile e infruttuosa recriminazione.

         

         

        • Durga ha detto:

          Egregio,  Lei dice anche molte cose vere, ma io penso che il problema principale sia proprio quello al quale del resto Lei stesso accenna: l'Italia, o almeno la sua classe dominante, e' costretta (o si autocostringe) a un ruolo provinciale, soggetto politicamente e culturalmente a entita' estere. Poi e' anche verissimo il problema sul quale si focalizza l'articolo, cioe' che spesso vocaboli stranieri di difficile comprensione sono usati per ingannare o mantenere nell'ignoranza il lettore.  Io non dico che non si debbano accettare anche vocaboli di origine straniera, ma si dovrebbe almeno tentare di crearne di nuovi italiani, o almeno "italianizzarli", cosa che quasi nessuno fa. Quanto alla lunghezza delle parole, penso sia un falso problema, altrimenti lingue come il tedesco o il russo sarebbero gia' scomparse.

          • Matauitatau ha detto:

            Abbi pazienza sto cercando di mettere in evidenza il fatto che bisogna fare analisi multidimensionali e non basate su "dati di fatto" acriticamente e unidimensionalmente considerati.

            Vedi un po' perché il tedesco è meno ridotto male dell'italiano e capisci che il problema non è sforzarsi di trovare parole italiane al posto di quelle straniere ma l'accesso più o meno diffuso al diritto di poter manipolare il linguaggio.

            Quando Domenico scriverà la sua opinione il 23 gennaio ne parliamo possibilmente in tanti.

  7. Domenico.Di.Russo ha detto:

    Caro Matauitatau,

    altre domande alle quali avrò senz'altro cura di rispondere nell'articolo del 23.

    A presto

    Domenico

     

  8. Georgejefferson ha detto:

    Ma Matauitatau.Da dove viene questo nick?Deriva dai tuoi viaggi?

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