Materialismo storico e filosofia

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8 risposte

  1. stefano.dandrea ha detto:

    Una nota frase di Togliatti, poi credo ripresa anche da Occhetto, al tempo della Bolognina, è: “Veniamo da lontano e andiamo lontano”! Una conferma dell’idea di fondo dell’articolo, secondo la quale “il culto della storia è una conseguenza del materialismo storico, propriamente del fatto che esso rifiuta il presente e vive nel futuro”.

    Ho molto apprezzato l’articolo, che ho letto e riletto, a causa della mia poca attitudine con i concetti filosofici. Non ho note o appunti da fare, se non avanzare una ipotesi, con riguardo al rapporto con il passato. Se il materialista storico ha un rapporto assente con il presente, ha altresì un rapporto malato con il passato. Molti profili della vita associata non si prestano, almeno all’interno di una epoca che può durare secoli, a continui sviluppi di disciplina, nel senso che da una norma A si passa a una norma B e poi a una C e a una D, dove D è meglio di C, che è meglio di B, che è meglio di A. Né i casi in cui si torna indietro sono sempre errori della storia o parentesi o una “escrescenza”,come Croce definì il fascismo. Spesso, almeno all’interno di un’epoca, ossia di una fase storica che dura secoli, le possibilità di disciplina di una certa materia sono fondamentalmente due: A o B (dove B spesso è non A). Due sono i principi che si possono accogliere e le varianti riguardano i corollari. Con riguardo a questi numerosissimi casi, mi capita di affermare che il progresso sta indietro, che bisogna riaffermare il vecchio principio e che spesso il nuovo principio che contestiamo non è a sua volta che un ritorno indietro. Insomma oggi vige B e io voglio tornare ad A che vigeva prima di B; ma A aveva sostituito B; quindi l’avversario non ha fatto altro che reintrodurre il suo vecchio principio. Ebbene i residui materialisti storici hanno una ostinata e preconcetta avversione ad ammettere che possano esistere situazioni in cui si tratta fondamentalmente di scegliere tra due principi opposti, che spesso sono stati entrambi vigenti (una lotta tra due restauratori o reazionari!), perché sostengono che ci sarebbe sempre un terzo principio, definito ovviamente in modo vago a mo’ di credo religioso, e che è appunto “il futuro” e la liberazione assieme.

    • Paolo Di Remigio ha detto:

      La citazione da Togliatti è del tutto pertinente a quello che intendevo dire e sono d’accordo con quello che osservi. Il materialismo storico nasce dal metodo hegeliano, ma se ne scosta profondamente: il metodo hegeliano è filosofico, ossia espone la verità come ordine eterno delle cose, ma dopo aver fatto propria la scoperta kantiana dell’antinomicità delle categorie, dunque dopo aver riconosciuto nell’ordine eterno un tipico movimento, quello 1) dell’estraniarsi da sé e 2) del ritornare in sé; il materialismo storico 1) accusa di misticismo questo doppio moto delle essenze logiche (è un’incomprensione che inizia da Feuerbach), 2) attribuisce il doppio moto ai modi di produzione storici. In questo modo 1) non può più però distinguere tra “verum” e “factum”, non può dire che la condizione di operaio dell’industria capitalistica è più giusta di quella dello schiavo, ma quella dello schiavo è meno giusta (anche se viene dopo) di quella del lavoratore delle civiltà fluviali pianificate; 2) deve dire che il “factum” è “verum”, ossia, come noti tu nel commento, che la storia ha lo stesso ritmo delle essenze logiche (di fatto la irrigidisce in uno schema aprioristico) e che ciò che in essa viene dopo è, per il FATTO stesso del suo seguire, più progredito di quello che viene prima. Di qui la superstizione del nuovo (il sogno) in cui si è perduta la sinistra.

  2. Rocco ha detto:

    Mi trovo abbastanza d’accordo tanto con l’autore dell’articolo, quanto con il commento postato immediatamente sotto da Stefano D’Andrea. Tuttavia, vorrei aggiungere al tema un problema di metodo. Lo storicismo è una forma di pensiero che legge il presente come forma storica e contingente della comprensione umana del mondo. Esso però, ammettendo che ogni visione del mondo ha una sua logica interna di valori e categorie, ammette anche insieme che lo storicismo, come forma di comprensione del mondo, è contingente e insufficiente a spiegare rigorosamente il passato (perché non le è costitutivamente interno). In questo senso, o la conoscenza storica pone le basi per il suo stesso superamento (un giorno le categorie della comprensione saranno non storiche) o pone se stesso come termine teleologico ultimo del cammino storico della comprensione umana. Nel secondo caso, restaurando un giudizio di valore separato dalle categorie della comprensione, distorce e si trova in contraddizione con il fondamento del suo stesso pensiero. Mi sembra perciò evidente che tale scuola di pensiero non possa interamente propendere per l’assolutizzazione del presente, perché esso è la forma storica in cui vige una specifica Weltanschaung (spero si scriva così).

  3. Paolo Di Remigio ha detto:

    Nascendo Popper ricevette il dono di conoscere la filosofia senza avere studiato i filosofi. Ne approfittò per applicare al pensiero di Marx e a quello di Hegel la qualifica di “storicismo”, trascurando che il termine era già stato occupato da Dilthey per indicare una concezione relativistica della conoscenza storica, con tutti gli annessi contraddittori che indicati con lucidità nel commento. A me sembra però che né Marx né il marxismo successivo (meno che mai Hegel, i cui interessi storici sono relativamente poco sviluppati) siano compatibili con lo storicismo in senso rigoroso al quale si riferisce il commento. Per quanto contenga qualche problema logico, la posizione di Marx è che della realtà sia possibile la conoscenza oggettiva, che anzi il materialismo storico costituisca la chiave definitiva di comprensione della storia, proprio come l’evoluzionismo lo è del mondo biologico e le altre scienze lo sono della natura.

  4. da ha detto:

    la tesi della derivazione dello storicismo dal materialismo storico non è nuova. Più che una articolazione del pensiero marxiano, lo storicismo rispose alle esigenze dei partiti socialdemocratici ( e poi comunisti cioè staliniani) di posticipare a babbo morto una rivoluzione sociale che non era più di fatto nei loro programmi, diventata rivoluzione politica. bella novità.
    Marx era così cosciente del filone di pensiero (borghese) Hobbes-Malthus-Darwin che scrisse a Engels: «È notevole il fatto che, nelle bestie e nelle piante, Darwin riconosce la sua società inglese. Mentre Hegel nella Fenomenologia raffigura la società borghese quale “regno animale dello spirito”, in Darwin il regno animale è raffigurato quale società borghese»
    Forse sarà che sinistra e marx hanno poco a che fare?

  5. Rocco ha detto:

    Lungi dall’essere un’interpretazione del pensiero di Marx o Hegel, infatti, col termine “storicismo” in questo caso volevo porre le aporie di un pensiero dominante nell’occidente che ha fatto “scuola” a sinistra e ha sostenuto inseparabilità dei giudizi valutativi dalle categorie della comprensione teorica, e facendolo ha contribuito a creare quella fuga dal presente e una astratta fede nel futuro. Tuttavia, per evitare ciò, occorre anche guardarsi anche dai perversi meccanismi messianici dell’hegelismo esasperato, per i quali se la storia non è che lavoro dialettico della negazione, e l’uomo soggetto e oggetto di tale azione, l’esito (cioè la fine della storia) non può che essere la fine dell’uomo. L’uomo alla fine della storia sembrerebbe riconciliarsi con la sua natura animale, perché cessa il tempo dell’Azione dialettica. Ciò segna la scomparsa non solo di guerre e conflitti, ma anche della stessa filosofia nel tempo post-storico. Le categorie vere della comprensione saranno finalmente astoriche, dal momento della riconciliazione tra uomo e natura. Facile intuire come la fine della storia possa configurarsi come un eterno presente, non meno pericoloso, in cui il ritorno dell’uomo all’animalità possa apparire non come una possibilità futura, ma come una certezza già presente, attualizzata nel genere di vita “american way of life”, come teorizzato da Alexandre Kojeve.

  6. Paolo Di Remigio ha detto:

    Caro Rocco, so di contrastare una verità assodata dell’interpretazione hegeliana, ma, per quello che ho capito in 25 anni di studio intensivo dei testi, il problema della fine della storia, a differenza di quello della fine dell’arte, in Hegel non si presenta né può presentarsi; si tratta di una distorsione nata dal riflettere su Hegel il materialismo storico oppure le frustrazioni esistenzialiste. Per Hegel non c’è un progresso “della” storia, ma solo un progresso dell’autocoscienza “nella” storia. Le epoche attraverso cui l’autocoscienza arriva a conoscersi come libera sono epoche non della storia storiografica, ma della storia universale, cioè della storia filosofica. Mentre la storia storiografica si dibatte nei rovesciamenti dal casuale al necessario, l’autocoscienza, con la sua lentezza esasperante (lo spirito ha tutto il tempo a disposizione, dice Hegel), in forza della SUA negatività logica, dalla sostanzialità iniziale, tramite l’armonia greca e la scissione romana, perviene a una consapevolezza di sé a partire dal cristianesimo in avanti fino ai regni germanici. Hegel non presenta dunque una concezione della storia empirica; lo sviluppo dell’autocoscienza non spiega NIENTE di quello che accade, ma determina cosa ORA sia il RAZIONALE, il BENE. Che la storia filosofica abbia superato la scissione, non comporta alcun effetto sulla storia empirica, se non il fatto che ora all’interno dei gruppi umani si presenta la libertà dei singoli, mentre in precedenza il singolo era legato alla comunità come il membro della famiglia alla famiglia, che ora la schiavitù è un reato, mentre prima di Cristo (e, a riprova della casualità della storia empirica, anche parecchio dopo) un’istituzione legale. Dico di più: anche se la storia universale non fosse solo storia filosofica (cioè il determinarsi del bene, della razionalità) ma anche (come il materialismo storico) spiegazione della storia empirica, ciò non determinerebbe nessuna fine della storia. Il metodo filosofico è circolare, ritorna all’inizio; ma poiché l’inizio è ora risultato, questo risultato è l’inizio di un altro circolo; per esempio la dialettica di essere e nulla ha come risultato il divenire, ma il divenire non è la fine della logica, esso stesso ha la sua dialettica di nascere e perire il cui risultato è l’esserci, e così via. Hegel direbbe dunque che la nostra libertà, razionale, buona, rispetto a quella dispotismo orientale, a quella greca, a quella romana, scivolerebbe nei millenni futuri nella sua brava scissione che nei millenni futuri si ricomporrebbe nella sua brava conciliazione; siccome però non è un autore che si abbandoni al sentimento del sublime, lascia a noi il compito di capirlo.

  7. Paolo Di Remigio ha detto:

    L’ultima frase contiene un paio di refusi; va letta così: “Hegel direbbe dunque che la nostra libertà, razionale e buona rispetto a quella del dispotismo orientale, a quella greca, a quella romana, scivolerebbe nei millenni futuri nella sua brava scissione che nei millenni futuri si ricomporrebbe nella sua brava conciliazione; siccome però non è un autore che si abbandoni al sentimento del sublime, lascia a noi il compito di capirlo.”

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