L'inestimabile peso delle parole
di LUCA MANCINI (ARS Lazio)
Fine specifico della neolingua non era solo quello di fornire, a beneficio degli adepti del Socing, un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Si riteneva che, una volta che la neolingua fosse stata adottata in tutto e per tutto e l’archeolingua dimenticata, ogni pensiero eretico (vale a dire ogni pensiero che si discostasse dai principi del Socing) sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quanto riguarda quelle forme speculative che dipendono dalle parole. Il lessico della neolingua era articolato in modo da fornire un’espressione precisa e spesso molto sottile per ogni significato che un membro del Partito volesse correttamente esprimere, escludendo al tempo stesso ogni altro significato, compresa la possibilità di giungervi in maniera indiretta. Ciò era garantito in parte dalla creazione di nuovi vocaboli, ma soprattutto dall’eliminazione di parole indesiderate e dalla soppressione di significati eterodossi e, possibilmente, di tutti i significati secondari nelle parole superstiti.
Con queste parole George Orwell nel suo celeberrimo libro 1984 cercava di far comprendere agli uomini l’inestimabile peso delle parole e come queste possano essere uno strumento di potere. Oggi, a distanza di più di sessant’anni, il suo messaggio è più attuale che mai. Basti pensare ad una serie di parole che non vengono più usate da diverso tempo nel dibattito politico, tanto che alcuni cittadini non ne conoscono neanche bene il significato: allora si capirà ben presto che non siamo così lontani dalla “neolingua” orwelliana. Tutto ciò non avviene per caso, come ci insegna lo scrittore britannico, ma si tratta di una vera e propria strategia di comunicazione volta ad eliminare “ogni pensiero eretico”.
La prima parola che mi viene in mente e che è palesemente sparita da qualsiasi discorso politico è “collettività”. È ovvio che questa parola per un’ideologia che fa dell’individualismo esasperato il suo cardine fondamentale, qual è appunto il liberismo, risulti altamente dannosa. In questo modo, qualsiasi parola che possa minimamente riferirsi ad un soggetto politico “collettivo”, ad un “noi”, è puntualmente evitata o quanto meno utilizzata il meno possibile. Questa è una strategia per far sì che i cittadini non si pensino come un “soggetto collettivo” ma come semplici individui, o meglio parti infinitesimali di un meccanismo enorme nei quali essi sono impotenti. Al contrario, invece, è necessario affermare con estremo vigore che la collettività può riuscire laddove l’individuo è impotente.
Un’altra locuzione completamente sparita, insieme all’importante concetto che essa porta con sè, è “militanza politica”. Questa locuzione dovrebbe essere sinonimo di “cittadino”, perché in una democrazia che si rispetti dovrebbe essere scontato che i cives si interessino di politica e militino liberamente in una formazione politica, ognuno secondo le proprie idee, dal momento che solo così si esercita la democrazia. Invece, il regime liberale in cui viviamo non ci vuole cittadini e quindi militanti, ma ci vuole meri consumatori, disinteressati ai nostri diritti politici e sociali (infatti sempre meno gente va a votare, facendo così il gioco del liberalismo) perché concentrati su tutti i beni di consumo che ci vengono messi a disposizione. La democrazia non è, come pensano gli statunitensi, la possibilità di potersi comprare lo stesso cellulare del presidente. Alla base di ciò vi è l’idea tutta liberale che qualsiasi cosa sia mercificabile, ma ovviamente non è così. Pertanto è necessario rivendicare con forza i nostri diritti politici e sociali, attraverso la militanza politica, abbandonando l’inutile consumismo esasperato e compiendo in questo modo un vero atto rivoluzionario.
“Politica economica” è un’altra locuzione che sembra esser stata colpita dalla damnatio memoriae, in favore di “economia politica”. È chiaro che con la seconda si sottintende un primato dell’economia sulla politica e anche questa è un’idea tutta liberale. Al contrario, con “politica economica” si vuole indicare il primato della politica sull’economia, ossia l’idea che tutte le forze produttive del Paese, anche se libere, debbano sottostare ad un controllo politico, per far sì che vengano utilizzate in favore della collettività (questa sconosciuta). Per l’ideologia liberale quest’idea rappresenta praticamente una bestemmia ed è per questo che siamo totalmente privi di una politica economica ma siamo circondati di esperti di economia politica che cercano di far funzionare lo Stato come un’azienda. Tuttavia, lo Stato non è un’azienda e anche in questo caso dobbiamo rivendicare con forza il ritorno ad una politica economica sovrana, libera e indipendente.
Questi sono solo degli esempi per indicare quanto il peso delle singole parole sia inestimabile nel dibattito politico. Utilizzare queste ed altre locuzioni, avverse alla propaganda liberale, costituisce un vero e proprio atto rivoluzionario dal quale il militante non può esimersi.
Viva la Repubblica Sovrana!
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