La tradizione
di PIERLUIGI BIANCO (ARS Puglia)
Passata l’euforia del modernismo iconoclasta del passato, gli animi più sensibili torneranno alla tradizione affinché da essa si possa trarre spunti e recuperi fecondi capaci di scongiurare la piatta omologazione, la moda anonima e, sopratutto, la rinuncia alla propria identità, pratica sempre più incentivata che, al contrario di quanto oggi si è obbligati a pensare, non può che portare a disastri.
Il fenomeno interesserà tutti i campi della tradizione che non verrà più colta con malcelati complessi minoritari: al contrario, in essa si ritroveranno le radici e, magari, le attese che pone l’eterno interrogativo di chi si chiede “chi siamo?” e “dove vogliamo andare?”.
“Un conservatore, quanto meno nell’accezione comune del termine, è colui che ha a cuore i valori tradizionali. Al giorno d’oggi tali valori vengono sistematicamente calpestati. È un fatto da condannare.”
E allora come mai è considerato un radicale irriducibile?
“Perché continuare a credere nei valori tradizionali è una posizione estremamente radicale che minaccia e indebolisce il potere”. (N. Chomsky)
Oggi tutti i “revisionismi” si concentrano sulla storia della nazione.
Non siamo di fronte ad un fiorire di studi disinteressati alla ricerca di nuovi riscontri ma ad un’offensiva ideologica che ha l’obiettivo prima di additare come “falsa e immorale” la nostra storia e poi di estirpare un sentimento di appartenenza e la dignità ad esso associata.
Si corre così il rischio di essere risucchiati dalle generalizzazioni, di instaurare nuove ed effimere mode, quasi una medicina preventiva con lo scopo di debellare i mali degli ultimi decenni offuscando le menti di molti.
“Sappiamo che la battaglia per un’Europa democratica dei cittadini e dei lavoratori è una battaglia non facile, il cui esito dipenderà in gran parte dalla forza e dall’unità di una nuova sinistra europea, ma di una nuova sinistra europea che stia nel processo di unità e che guardi oltre Maastricht. Chiamarsi fuori, confondersi con il fiorire di resistenze nazionalistiche e corporative, significa perdere senza combattere. È con questo spirito che, continuando una tradizione ed un’ispirazione che fu già del partito comunista italiano, il partito democratico della sinistra voterà per la ratifica del trattato di Maastricht.” (M. D’Alema)
Quelli della globalizzazione immanente e gli europeisti duri e puri si stanno condannando ad una serie di delusioni e sofferenze gratuite in nome di tradizioni fittizie e convinzioni piuttosto vacue.
Ammettendo la buona fede, la fattibilità di un progetto politico di simile portata si scontra con la realtà storica. Gli europeisti dovrebbero sapere che non esiste un popolo europeo e che, anche se si volesse realmente e ad ogni costo insistere in tal senso, bisognerebbe necessariamente prima annichilire i popoli europei che invece esistono.
In nome di cosa?
“Lottando sotto la bandiera della solidarietà internazionale dei lavoratori, i comunisti di ogni singolo paese, nella loro qualità di avanguardia delle masse lavoratrici, stanno saldamente sul terreno nazionale. Il comunismo non contrappone, ma accorda e unisce il patriottismo e l’internazionalismo proletario poiché l’uno e l’altro si fondano sul rispetto dei diritti, delle libertà dell’indipendenza dei singoli popoli. E’ ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. La classe operaia moderna è il nerbo delle nazioni, non solo per il suo numero, ma per la sua funzione economica e politica. I comunisti, che sono il partito della classe operaia, non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono stroncare le loro radici vitali. Il cosmopolitismo è una ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l’ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trust internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio. Essi non soltanto vendono, ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri.” (P. Togliatti)
“Possiamo concludere che il vero sentimento nazionale (di cui l’amore per la lingua è una componente essenziale) non soltanto non contraddice ma , al contrario , tende generalmente a favorire quello sviluppo dello spirito internazionalista che é sempre stato uno dei motori principali del progetto socialista”. (J. C. Michéa)
“La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato e non con la spericolata globalizzazione forzata. Ogni Nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più Nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali. Cancellare il ruolo delle Nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire. Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare.” (B. Craxi)
Ma il politicamente corretto di “sinistra” vuole a tutti i costi che si dica che la modernità è irreversibile e quindi, in caso di necessità, ben venga il giustizialismo. La giustizia politica è l’arma preferita. Il resto e affidato al mondo dell’informazione, dello spettacolo, della cultura.
“Il decennio ’76/’86 ha visto morire il comunismo nella sua tradizionale dimensione politica delle masse […] Dal punto di vista dell’immaginario ideologico, questo decennio ha visto gli intellettuali italiani passare dallo storicismo progressista ad un disincanto post-moderno di epigoni subalterni di ‘nuovi filosofi’ e di Lyotard.
Di fatto, si è smesso di parlare della superiorità del socialismo sul capitalismo, e del comunismo sull’imperialismo; ci si è messi a parlare della “superiorità morale” dei comunisti (intesi come una classe politica: il PCI diventato PDS; DS, PD, ecc.) e dell’’inferiorità morale’ dei democristiani e dei socialisti. Il nemico diventava un nemico moralmente corrotto (prima Craxi, poi Berlusconi), ed è in questo modo che ci si è preparati ideologicamente ad affrontare senza dolore la rovina prossima della Casa comunista di referenza, attraverso una sorta di ‘colpo di stato moralistico’. La legittimazione dell’accesso al potere (non per il socialismo, ma per un capitalismo ‘moralizzato’) non consisteva più in una maggioranza elettorale ottenuta pacificamente, ma in una sorta di ‘golpismo’ giudiziario per il bene, destinato a rimpiazzare persone corrotte e immorali con persone oneste.” (C. Preve)
Molti degli argomenti usati per giustificare certe scelte puzzano ormai solo di propaganda.
La classe dirigente europea e quella politica ad essa “vincolata” manifestano palesemente un’unica ossessione: portare a compimento la liquidazione degli Stati nazionali e delle rispettive Costituzioni democratiche.
Tutto ciò in favore di uno Stato federale “leggero”, con poco o nessun potere redistributivo che si occupi solo di tutelare il corretto funzionamento dei mercati e poco altro.
Mentre la democrazia si riduce alle lotte per le libertà civili si completa così la globalizzazione: il capitale si sottrae al conflitto delocalizzando e privando le classi lavoratrici nazionali del loro terreno naturale di scontro.
La soluzione perfetta per un liberista.
“Né il Partito democratico né la sinistra democratica diranno alla gente: «Vedete, il vostro problema è che negli anni Settanta siamo stati tra i fautori di un processo di finanziarizzazione dell’economia e di svuotamento del sistema produttivo. Per questo il vostro salario e il vostro reddito ristagnano da trent’anni, mentre la ricchezza prodotta rimane nelle tasche di pochi. Tutto questo è il frutto delle nostre politiche».” (N. Chomsky)
E mentre nuovi movimenti e riciclate formazioni continuano a seguire la tradizione degli ultimi decenni, appare sempre piu evidente che quella dell’azione e del pensiero politico che rappresenta l’identità del nostro popolo sia l’unica fonte dalla quale trarre ispirazione per contrastare lo strapotere delle odierne oligarchie transnazionali.
Il resto è fuffa.
“Chi si orienta in base alla categoria del Meno Peggio sappia che l’ideologia del menopeggismo, fase suprema delI’Antiberlusconismo, farà sì che le retoriche di Bertinotti e Diliberto verranno soddisfatte al 5 per cento mentre il 95 per cento sarà nelle mani ‘sistemiche’ delle oligarchie capitalistiche, nel sorriso da furetto presuntuoso di Amato e nel ghigno di sufficienza nichilista di D’Alema”. (C. Preve)
Togliatti chi, quello che era fiero di essere sovietico, gli Italiani essendo un popolo di mandolinari?
Quello che sputava sul risorgimento?
Quello che come Ercole Ercoli vendeva i suoi connazionali al Baffafone (addatornà)?
Matteo,
dove e quando Togliatti, che da giovane era stato interventista con riguardo alla prima guerra mondiale, avrebbe sputato sul risorgimento? Puoi citare la fonte per cortesia o in subordine la frase alla quale accenni, seppure asseritamente estrapolata da qualche discorso o scritto?
Veramente caro Stefano, ne abbiamo già parlato in passato di cosa pensasse di Mazzini.
E, in generale, di quanto diciamo “non amasse” gli esuli di Giustizia e Libertà accusati di “risorgimentalismo”.
Poi, va beh, il tipo era quello che era ed è stato capace nella sua storia di dire tutto ed il contrario di tutto, anche leccare il deretano a Mussolini ed ai “fratelli in camicia nera”, di elogiare Stalin e poi la destalinizzazione, ecc…
Ma vedere uno come Togliatti accostato ad un gigante come Craxi rasenta la bestemmia e la blasfemia.
è come mettere, per dire, Mattei e Cefis nello stesso pantheon, tanto per estremizzare.
Dissento nella maniera più assoluta.
Non parlerei della persona ma dispecifici temi. Quanto al risorgimento, il giovane Togliatti fu interventista nella prima guerra mondiale, considerata compimento del risorgimento; rivendicò enfaticamente e con evidente forzatura, in assemblea costituente, il carattere di secondo risorgimento della resistenza; nella lettera ai compagni in camicia nera, da te citata, il gruppo dirigente del PCI dichiarò che i comunisti erano gli eredi di Mazzini e Garibaldi (non rileva se egli non abbia avuto modo di firmarla personalmente); le brigate comuniste nella resistenza si chiamarono Brigate Garibaldi; nel primo appello alla resistenza del 1943 Togliatti chiamò “chiunque ha cuor di italiano” a combattere i tedeschi, senza menzionare tra i nemici i fascisti, che quindi erano destinatari dell’appello; l’intellettuale di riferimento del PCI allora era Concetto Marchesi, ultrarisorgimentale; volle l’amnistia più di ogni altro precisando più volte che la Costituzione era nata da una lotta contro il fascismo e non contro i fascisti che dovevano essere riconquistati allavita nazionale; votò l’art. 7 della Costituzione premettendo che si doveva evitare una nuova spaccatura del paese tra cattolici e non cattolici. La critica al “risorgimentalismo” di Giustizia e Libertà, a prescindere dal fatto che bisognerebbe leggere il testo, di per sé non significa nulla nel senso che non è critica del risorgimento; la critica alle proposte di organizzazione economica che potevano provenire da chi nel 1945-1947, o magari negli anni precedenti, richiamava Mazzini, non può essere interpretata, se si vuole essere onesti, come contestazione del Risorgimento. Perciò mi pare ovvio che la tesi secondo la quale Togliatti sputava sul Risorgimento destituita di ogni fondamento, non esistendo fatti che possono essere allegati a sostegno di essa ed esistendo fatti che provano il contrario.
Credo che la infondata tesi che tu sostieni sia una delle tante falsità ideologiche nate e diffuse in anni nei quali una delle componenti della lotta politico-ideologica era l’anticomunismo.
Anticomunista?
Mio padre era ed è, nonostante l’età, uno stalinista convinto ed incazzato, uscito dal PCI e dalla CGIL ai tempi di Berlinguer proprio per ripicca contro certe “tendenze”.
Non è l’anticomunismo ad avermi spinto, come diresti tu, a “destra”, bensì il disprezzo per la “cultura” antifascista della scuola pubblica.
Questo non toglie che l’unico partito che in qualche modo ha difeso la tradizione risorgimentale in Italia è il PSI di Craxi.
Non la DC, non il MSI (ostaggio di Evola) ne tantomeno il PCI.
Ciò che dici sul PSI di Craxi è indubitabile. Craxi ha proprio l’idea di disancorare il partito socialista dal marxismo e di ricollegarlo a Garibaldi. Però fino agli anni sessanta il partito più patriottico (non risorgimentale), sia pure ovviamente legato al comunismo internazionale, fu il PCI, non il PSI. Il PSI lo è divenuto dopo. Le colpe sono di Berlinguer, non di Togliatti.
Avrai ragione tu.
Certo, io mandolinaro non lo sono, checché ne pensasse il Migliore.
Preferisco il Rock N Roll.