PROPOSTA DI RIFORMA DEL SISTEMA BANCARIO – Documento per l’assemblea nazionale dell’ARS-FSI (5 giugno 2016)
L’ANALISI
1. L’evoluzione del sistema bancario italiano
a. Dalle origini alla fine della prima globalizzazione
Nel rincorrere le origini del sistema bancario è agevole riscontrare come tale istituzione, pur avendo inequivocabile funzione di interesse pubblico, nacque per impulso di privati cittadini i quali, nel tardo Medioevo, arrivarono paradossalmente a finanziare i sovrani europei.
Tale carattere privatistico venne mantenuto per diversi secoli in tutto il mondo. In Italia fu la crisi della prima globalizzazione e del liberismo, culminata con gli scandali bancari degli anni venti del secolo scorso, a mettere in discussione la gestione del sistema bancario da parte del capitale privato.
b. La Legge Bancaria del 1936
Il fascismo si trovò a dover fronteggiare i colpi di coda del morente sistema globalista e liberista, che stava andando in pezzi ovunque e di cui la crisi del 1929 segnò storicamente la fine. Così come fecero quasi tutte le nazioni in quel periodo, il regime fascista cercò di governare la finanza operando dapprima sulla leva valutaria (deflazione dell’economia, fissazione della nuova parità aurea della lira, ripristino della convertibilità in oro o in divise estere convertibili, “gold exchange standard” e obbligo di riserva aurea non inferiore al 40% del circolante), successivamente effettuando una serie di interventi che spostarono il baricentro della finanza dal privato al pubblico.
La Banca d’Italia venne ad assumere funzioni di vera e propria banca centrale e di organo di controllo del sistema creditizio. Nel pieno della Grande Depressione, la svalutazione della sterlina (settembre 1931) e di gran parte delle altre monete, equivalse, di fatto, a un’ulteriore rivalutazione della lira. La deflazione colpì pesantemente la politica economica italiana con importanti conseguenze sull’economia e la finanza.
A quel punto lo Stato si vide costretto a salvare dal tracollo le maggiori banche miste, gonfie di partecipazioni azionarie sempre più svalutate, che la insana commistione tra industria e settore creditizio aveva creato.
Vennero creati l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI), con il compito di assicurare i finanziamenti di medio-lungo periodo e poi l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), che acquisì le partecipazioni azionarie delle banche in difficoltà e i pacchetti di controllo delle banche stesse.
A metà degli anni Trenta venne decretata la cessazione della convertibilità della lira in oro e fu sospeso l’obbligo di riserva aurea (che non verrà più ripristinato).
Nel 1936 vide la luce la legge di riforma bancaria. La Banca d’Italia venne definita “istituto di diritto pubblico” e si vide affidare definitivamente, per legge, la funzione di emissione; gli azionisti privati vennero espropriati delle loro quote, che furono riservate a enti finanziari di rilevanza pubblica; alla Banca fu proibito lo sconto diretto agli operatori non bancari, in modo da sottolinearne così la funzione di “banca delle banche”. Si definì, inoltre, un nuovo assetto della vigilanza creditizia e finanziaria. Venne ridisegnato l’intero sistema creditizio nel segno della separazione fra banca e industria e della separazione fra credito a breve e a lungo termine. Si sancì che l’attività bancaria doveva essere ritenuta funzione di interesse pubblico; fu costituito il nucleo delle BIN (Banche di Interesse Nazionale): Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma a capitale pubblico; si concentrò l’azione di vigilanza nell’Ispettorato per la difesa del risparmio e l’esercizio del credito (organo statale di nuova creazione), presieduto dal Governatore e operante anche con mezzi e personale della Banca d’Italia, ma diretto da un Comitato di ministri presieduto dal capo del Governo.
«Alla fine del 1936 la svalutazione della lira, lungamente attesa, favorì la ripresa economica e il riequilibrio dei conti con l’estero. Contemporaneamente, per effetto di un semplice decreto ministeriale, fu rimosso ogni limite alla possibilità dello Stato di finanziarsi per mezzo di debiti verso la Banca centrale: l’autonomia di quest’ultima toccò il punto più basso» (Centro studi Banca D’Italia).
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