Negare il consenso agli Stati Uniti
Nel 2011 abbiamo concorso a bombardare Gheddafi a favore delle milizie di Misurata. Oggi gli USA ci chiedono di concorrere a bombardare lo Stato Islamico a favore delle milizie di Misurata e, asseritamente, del governo Al Sarraj, un governo insediato in una base navale, nominato dalla comunità internazionale e privo della fiducia di un organo rappresentativo.
Gli Stati Uniti continuano imperterriti a ribaltare verdetti dei campi di battaglia; impediscono sistematicamente che nei vari teatri di guerra, all’esito della lotta, si crei un equilibrio che tenga conto delle reali forze in campo; e ostacolano il ritorno della sicurezza, valore primario che tutto fonda, arrogandosi la pretesa di far vincere chi non è in grado di ricostituire uno Stato e quindi lasciando i cittadini che vivono nei territori colpiti dalla guerra privi di protezione rispetto a bande di delinquenti, che ovunque, in assenza dello Stato, prendono il sopravvento. E’un’azione sistemica di destabilizzazione, condotta ora per la realizzazione di obiettivi strategici statunitensi, ora per problemi di politica interna, ora per superficialità ossia per pretesi obiettivi strategici, ora per “idealismo” – ossia perché gli Stati Uniti credono di sapere cosa sia il male e pensano che a loro tocchi combatterlo (quando gli fa comodo, tra l’altro) -, ora per stupidità, credendo di dover schiacciare chiunque dichiari di essere ad essi nemico, sostituendo la guerra con pure operazioni da boia, realizzate mediante bombardamenti.
Questa mattina Alessandro Orsini, su Il messaggero, segnala che la Turchia e la Germania sono state attaccate dallo Stato Islamico, la prima ripetutamente, dopo che esse hanno deciso di collaborare ai bombardamenti dello Stato islamico. La Turchia in maniera più incisiva, perché non soltanto ha concesso l’uso della base di Incirlik ma ha anche partecipato in modo diretto ai bombardamenti. La Germania in maniera più tenute, avendo messo a disposizione della Francia una nave, aerei che effettuano il rifornimento degli aerei francesi in volo e un certo numero di soldati. Orsini suggerisce all’Italia di accogliere la richiesta statunitense, perché noi non parteciperemmo ai bombardamenti nemmeno nella limitata misura in cui partecipa la Germania. Concedendo l’uso della base di Sigonella, ci limiteremmo a far risparmiare soldi per il carburante agli Stati Uniti, che comunque sosterrebbero tutti costi dei bombardamenti (ha scritto proprio così)! Gli aerei statunitensi, infatti, anziché partire dalla Giordania, partirebbero da Sigonella. Alla fine dell’articolo Orsini ammette che il principio che segue lo Stato Islamico è di fare attentati contro chi lo attacca (colpire chi lo colpisce) e che, quindi, dando il consenso all’uso della base di Sigonella, correremmo qualche rischio di subire ritorsioni da parte dello Stato Islamico. Tuttavia, secondo Orsini, negando il consenso saremmo esposti ugualmente. A questo punto tanto vale far risparmiare un po’ di carburante agli Stati Uniti!
Orbene, a parte quanto ho osservato sul fatto che da oltre due decenni, seguendo gli Stati Uniti, agiamo per destabilizzare o comunque destabilizziamo e che quindi conviene lasciar combattere i soggetti (stati e milizie) che operano e vivono sui territori occupati dallo Stato Islamico, consentendo che si crei un equilibrio che corrisponda alle effettive forze in campo (chi poi creda di non voler accettare l’equilibrio che si sarà creato si assuma la responsabilità di aggredire lo Stato che si sarà ri-formato, se la Costituzione glielo consente), e quindi a parte la critica di principio e strategica alla politica statunitense, vi sono almeno tre altre ragioni per le quali l’Italia non deve dare il consenso all’uso della base di Sigonella.
Intanto, ormai lo Stato Islamico ha un numero enorme di nemici, considerati sia gli Stati che le milizie che lo combattono. Combattono lo Stato Islamico la Russia, gli Stati Uniti, l’esercito siriano, l’esercito iracheno, la Turchia, l’Egitto, l’Iran, l’Arabia Saudita, la Francia, la Germania, il Belgio. C’è poi un nuero infinito di milizie. In Siria, Hezbollah libanese, numerose milizie sciite siriane irachene yemenite e afghane finanziate dall’Iran, i curdi dell’YPG, Jaysh al islam e moltissime altre milizie sunnite (della fratellanza o eventualmente salafite ma nazionaliste o comunque contrarie alla immediata creazione dello Stato Islamico). In Iraq, le milizie sciite irachene finanziate dall’Iran, truppe scelte iraniane e i curdi iracheni. In Afghanistan, quasi tutti i talebani (salvo circa mille che hanno aderito allo Stato Islamico) e l’esercito afghano, che è poco più che una milizia. In Libia, le milizie islamiste di Alba libica, di Ansar al saham, di Misurata e gli “eserciti” dei due governi, quello semplicemente finto e quello non soltanto finto ma anche fantoccio. Complessivamente gli eserciti e le milizie che combattono lo Stato Islamico sono composti da decine e decine di milioni di soldati e di guerrieri, mentre i guerrieri dello Stato Islamico, in Siria, Iraq, Libia e Afghanistan, non saranno più di 50.000 complessivi. Non vi è bisogno, dunque, di nessun aiuto italiano.
In secondo luogo, il ragionamento per il quale siamo già esposti e dando le basi forniremmo un aiuto minimo che non aumenterebbe la nostra esposizione, fa acqua da tutte le parti. Si immagini, invece, che il Governo neghi le basi, contestando non certo la complessiva strategia statunitense degli ultimi venti anni (non sarebbe realistico) ma almeno la sua applicazione al caso libico. Il governo potrebbe dire: che lo Stato Islamico in Libia ha un numero di miliziani molto inferiore a quanto si credeva (precisamente, si faceva credere) qualche mese fa; che si è rinchiuso a Sirte; che in parte le milizie di Misurata hanno conquistato questa città, sia pure con costi umani enormi (oltre 300 morti e oltre 1500 feriti); che una vittoria contro lo Stato Islamico non darebbe alcuna stabilità, né farebbe diminuire l’instabilità rispetto a un anno fa o poco più, quando lo Stato Islamico non era in Libia (la “vittoria” consisterebbe nella semplice uccisione di guerrieri dello stato islamico); che, infatti, a quel tempo l’instabilità era totale, con due governi e centinaia di milizie prive di ogni raccordo tra loro; che il governo Al Sarraj è un governo sulla carta che ancora non ha dimostrato di riunire attorno a sé un numero sufficiente di milizie; che invece l’unione autonoma, per patto federativo, di alcune milizie libiche nella lotta contro lo Stato islamico potrebbe essere utile a creare i presupposti del nuovo ordine; che dunque bisogna lasciar combattere le forze libiche in campo. Una motivazione “vera”, intelligente o furba, che potrebbe ridurre l’esposizione dell’Italia.
Ma esiste una terza ragione che in realtà sconsiglia di partecipare alla folle caccia all’uomo che gli Stati Uniti vorrebbero mettere in atto e stanno già mettendo in atto in Afghanistan, in Iraq, ora anche in Siria (si consideri il recente attacco a Manbij) e in Libia. Sottratti allo Stato Islamico tutti i territori che esso controlla, non soltanto non sarebbe fatto nessun passo verso l’ordine (e in alcuni casi se ne farebbero diversi verso il disordine), ma sorgerebbe un nuovo problema: dove andrebbero e cosa farebbero i guerrieri dello Stato islamico che non morissero in battaglia?
Ce lo ha detto qualche giorno fa il capo dell’FBI: verrebbero in Europa: “a un certo punto ci sarà una diaspora di terroristi dalla Siria come non l’abbiamo mai vista finora… Del resto non tutti i terroristi dello Stato islamico moriranno sul campo di battaglia”.
A questo punto dobbiamo sperare che lo Stato Islamico riesca a mantenere alcuni territori in Iraq, in Siria, in Libia e in Afghanistan altrimenti i soldati del califfato si riverseranno in Europa e avremo eventualmente anche un attentato kamikaze al giorno, con istupidimento (da parte del mainstream) dei cittadini italiani ed europei in generale, che saranno spinti a vedere nei kamikaze – cacciati dai loro territori da Stati che non dovrebbero ingerire nelle vicende che ivi si svolgono – degli agenti dell’islam sunnita (il vero nemico statunitense in medio-oriente negli ultimi venti anni).
E’ questo l’obiettivo che hanno gli Stati Uniti? E’ questo il risultato che vuol perseguire il governo italiano?
E’ questo l’obiettivo dei giornalisti italiani spie statunitensi, che scrivono sulle più diffuse testate o parlano in televisione e spingono gli italiani a sostenere azioni che vanno contro l’interesse nazionale? E’ questo l’obiettivo dei Magdi Allam, dei Socci, de Il Giornale, di Libero, e di tutta la poltiglia revanscista, bigotta o pseudo-bigotta, grettamente nazionalista o grettamente leghista, che scambia un fenomeno politico-militare per un fenomeno religioso e che confonde la religione dell’slam con l’utopico progetto politico-militare del Califfato?
Ancora una volta i governanti italiani stanno per agire contro gli interessi degli italiani. Tuttavia, in certo senso, essi sono ingannati dalla propaganda statunitense né più e né meno degli italiani in generale e della poltiglia revanscista, bigotta, nazionalista e leghista.
Senza una nuova classe dirigente cresciuta in una lunga militanza fondata sul valore dell’indipendenza nazionale, su quello del rispetto (in casa loro) di altre tradizioni, altre culture, altri costumi, altre religioni, e sul principio di non ingerenza, non ci riprenderemo mai.
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