I "beni comuni" tra realtà e utopia

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  1. Tonguessy ha detto:

    Essere grati a Tony Negry? Per avere scatenato il solito polverone autoreferenziale sostenuto da neologismi radicalchic tipo "biopolitico"? 

    Bene, impegnamoci allora nella "biopolitica" negriana e vediamo cosa succede! Magari scopriamo che è esatta la conclusione di Cavallaro: non esiste la terza via. O c'è Stato o c'è Mercato.

    Tracciare una terza via significa avallare l'ipotesi secondo cui lo Stato qualcosa sta facendo, grazie alla "biopolitica", mentre il Mercato da bravo Moloch divora tutto e tutti.

  2. stefano.dandrea ha detto:

    Caro Tonguessy, il complimento a Negri da parte di Cavallaro non era ironico ma era una tipica modalità retorica con la quale si iniziano le vere stroncature. Copio il commento che ho lasciato su economiaepolitica.it:

    Autorevole.
    Per dimostrare che ciò che scrive Toni Negri è (da sempre) confuso basta riportare le sue frasi. Per proporre una soluzione, serve la chiarezza. Come quella di Luigi Cavallaro.
    Non voglio dire che si debba convenire con Santi Romano, il quale scrisse “Io adoro lo Stato”. Ma l’antistatalismo e al contempo l’antiliberismo di una certa sinistra la rende incomprensibile per chi utilizzi parametri razionali o anche soltanto ragionevoli. Alla fine si tratta di anarchici senza anarchia.
    Vogliono il socialismo (se ancora lo vogliono) senza stato. Vogliono il lavoro autonomo senza la (giusta) difesa corporativa dal capitale a favore del quale o contro il quale il lavoratore autonomo svolge le prestazioni. Il vero lavoro dipendente, quello più alienato, non interessa più, perché chi lo svolge non può far parte della “moltitudine”: l’operaio serviva all’operaismo e non l’operaismo all’operaio. D’altra parte, se si debba decidere collettivamente che cosa produrre e che cosa non produrre, che cosa importare e che cosa non importare, non sembra interessarli: soltanto sollevare il problema evoca l’”autoritarismo”, contro il quale si battono ciecamente. Io ho rinunciato a leggerli da qualche tempo. Ammiro Luigi Cavallaro per la perseveranza.

  3. Claudio Martini ha detto:

    Fra le tante cose che si possono rimproverare al fascismo c'è sicuramente la "Statolatria", di netta marca francese, di cui sono intrisi sia i testi mussoliniani sia quelli, ben più autorevoli, dei teorici dell'Istituzionalismo; ancor più in là nel tempo troviamo in Ferdinand Lassalle un propugnatore dello Statalismo come miglior viatico al successo del Movimento Operaio. Non a caso uno studioso serio, e che perciò non editato dalla Harvard Press, come Gianfranco La Grassa rimprovera ai "tardo-comunisti" nostrani di non aver compreso il carattere "lassalista" e per nulla marxista del Socialismo Reale. La Grassa ci torna utile anche per muovere una critica a coloro che, sic et simpliciter, ritengono lo Stato come un'alternativa credibile contro la religione capitalista: l'economia di piano, l'economia del calcolo economico, ha il grave difetto di spostare il conflitto tra gruppi alla ricerca dell'egemonia dal piano economico-imprenditoriale (con tutti gli innegabili vantaggi sul piano dell'innovazione e lo sviluppo delle forze produttive) al piano ideologico-partitico, nella forma infausta di scontro tra correnti; il risultato, ampiamente visibile in URSS  e ampiamente evitato in Cina grazie alle aperture agli investimenti esteri, è che la formazione particolare che adotta quel tipo di "socialismo" incorre in quella che si può definire "sindrome spagnola", sul modello della spaventosa, e sorprendentemente rapida, decadenza iberica avvenuta tra XVII  e il XVIII secolo, a fronte della concorrenza con i superiori, e ad oggi insuperati, sistemi calvinisti (Inghilterra e Olanda, ora yankee).
     è un problemaccio. Siamo orfani del marxismo (non del pensiero di Marx), e ancora non possiamo abbracciare una convincente teoria che ci permetta di combattere al meglio il Capitale. Ci vorranno anni. Con uno slogan, potremmo dire che l'alternativa al mercato non può essere "una Nazione al servizio dello Stato (e quindi delle classi dominanti)" ma "uno Stato al servizio della Nazione (e quindi delle classi dominate)". Ma, appunto, è uno slogan.

     

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