La transizione

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3 risposte

  1. Erno Ferri ha detto:

    Il tema affrontato non è semplicemente grande è immenso.La crisi che investe la società ( economia,valori,relazioni sociali,rappresentanza politica ecc. ) è grande e tipica dei periodi di transizione. Non sono sufficienti alcune affermazioni per analizzare questo periodo, ma dovremmo ricordare da dove veniamo, identificare le cause della crisi attuale, elaborare un progetto di società alternativa al quale lavorare. Spesso siamo noi stessi vittime di preconcetti che limitano la nostra analisi a conseguenza di martellanti campagne mediatiche che per decenni ci hanno trasmesso discutibili concetti che sono alla radice della crisi attuale. Le domande che ci potremmo e dovremmo porre sono infinite. Non esistono più destra e sinistra? Ma cosa sono state destra e sinistra ? Valori, esperienze, azioni o uomini che incarnavano questi valori? Ripensare ai valori fondanti di queste parti è inutile o può servire per costruire modelli diversi o anche semplicemente per essere più facilmente riconoscibili e capiti? E’ casuale che i primi a sostenere il superamento di questa dicotomia siano stati i radicali che hanno preparato personale politico buono per tutte le stagioni? ” L’onesta Bonino” è stata commissario europeo sia con la presunta destra che con la presunta sinistra. Se i cittadini ” sono nelle nebbie della confusione” come possono ” fiutare l’opportunità di essere rappresentati da forze organizzate” ? Per essere una forza organizzata serve avere una notevole diffusione sul territorio nazionale che permetta di parlare a milioni di persone come è possibile arrivarci senza collaborazioni, anche parziali, con soggetti simili? Potremmo continuare all’infinito vorrei ricordare solo che un nuovo ceto dirigente non si deve limitare alle forze politiche ma deve coinvolgere tutta la società per sperare di costruire qualcosa di nuovo e adeguato alle sfide attuali.

  2. Lorenzo ha detto:

    Tutto giusto caro Luciano, ma se vai a raccontare queste cose alla gente normale quando pronunci la parola “globalizzazione” ti sei già perso due terzi dell’udienza. Il gregge, specialmente quello inebetito e mediatizzato di oggi, sa a malapena balbettare qualche slogan orecchiato per caso, e se ha cominciato a votare contro è semplicemente perché non ne può più della continua falcidia del suo benessere e dell’invasione extracomunitaria. Chi saprà coniugare questi due temi avrà in mano le chiavi del futuro.

    Giusta invece l’osservazione secondo cui i dominanti italiani si sono distinti per servilismo ai poteri globalizzatori. Io credo che ciò sia dovuto all’enorme forza del PCI, che nel momento di passare all’altra sponda, ha cercato (con pieno successo) di trasvalutare la vecchia bandiera socialista in quella global-europeista, simbolo di un capitalismo ‘buono’ (!!) che valeva la pena di seguire. Per questo l’europeismo ha avuto tanta forza nel Belpaese.

    • Luciano ha detto:

      Caro Lorenzo, è vero, c’è un problema di informazione e di comunicazione e spesso noi ci illudiamo che la “gente” – il popolo? – sappia reagire perché ha preso coscienza della situazione dopo essere stata adeguatamente informata. Invece, come nel caso del referendum sulla Costituzione, anch’io sono convinto che le motivazioni del NO siano state le più varie e fra queste sospetto che il peggioramento del condizioni di vita di una larga parte della popolazione e la reazione all’immigrazione incontrollata siano state quelle che hanno pesato maggiormente sull’esito, e non molto dissimili da quelle che hanno propiziato il brexit. Ma, ovviamente, non ho elementi per averne assoluta certezza.

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