In questo periodo pregno di campagne elettorale tutto è utile e nulla è indispensabile. Ogni notizia può essere evidenziata, decodificata e strumentalizzata ai fini di una rincorsa politica senza freni misure. La notizia dell’introduzione da parte di Amazon dei famigerati braccialetti elettronici ha suscitato grande interesse da parte dei principali media nazionali e degli esponenti politici, rappresentati di un elettorato come non mai affamato e di continue sollecitazioni e prese di posizione. Il casus belli di tale controversia si è concretizzato quando questo progetto, ancora non avviato formalmente, è apparso ai dipendenti come un mezzo per imporgli deliberatamente delle costrizioni. Secondo il loro giudizio, essi verrebbero trattati, ma solo a quel punto badate bene, non più come impiegati ma come “schiavi”.

Tralasciando il fatto che essendo Amazon un’azienda che si occupa soprattutto di logistica è nel suo interesse massimizzare i risultati velocizzando le prestazioni dei propri lavoratori (nei limiti e nelle regole del sistema economico attuale), si può osservare drammaticamente come il piano di discussione su cui si è aperto il dibattito tra politicanti, riposi su una fallacia: il fermarsi alla forma e non approfondire la sostanza. L’ideologia e la morale sono armi molto complesse da utilizzare ma che si fondono con la politica sin da tempi più antichi, e che plasmano il modo in cui si interpreta la realtà che ci circonda.

Nel mondo della globalizzazione, di internet, e del capitalismo senza bandiere ci ritroviamo in una situazione stagnante o come l’avrebbe definita Bauman, “liquida”. Non ci facciamo più domande se non quelle che ci vengono imposte, non andiamo ad approfondire i temi se non quelli che ci sono già stati approfonditi da altri. Uno scivolamento sul piano surcodificato dal significante ideologico.

Tuttavia, se si osserva con più attenzione questa polemica sui braccialetti, si potrà evincere un fattore che è stato portato ancora in auge da questa controversia ideologica: la perdita della coscienza di classe. La classe sociale era lo zoccolo duro di un proletariato che decideva non solo le sorti della sovrastruttura ideologica in cui si protraeva l’evoluzione della società, ma soprattutto ne occupava il ruolo di motore, di muro portante. I nuovi modelli di produzione economica hanno decostruito e mutato questo ruolo, trasformando il soggetto della classe sociale non più in una collettività unita, che lotta per i propri ideali e per il bene dei lavoratori, in uno strumento di profitto, di produzione di capitale che deve sottostare a delle norme, che deve rispettare delle consegne, che deve agire negli interessi di una società capitalista che utilizza le regole di mercato per massimizzare i propri profitti. E non è solo un problema dei lavoratori. Il problema, seguendo Lukacs nei suoi scritti giovanili sulla politica, è la mancanza di una guida intellettuale, di una classe quanto proletaria tanto intellettuale capace di convogliare e guidare empiricamente la collettività.

Non sarà un braccialetto dunque a rendervi schiavi, bensì parafrasando Althusser, l’incapacità di riconoscere che noi stessi ci stiamo tenendo in manette, che la nostra soggettività, il nostro cogito maturato nell’inconscio capitalista tiene a freno quella coscienza di collettività e di evoluzione che, come afferma György Lukacs:

«Non può essere il privilegio di una qualsivoglia classe intellettuale o il prodotto di qualsivoglia pensiero librantesi al di sopra delle classi. In questa vocazione alla redenzione del proletariato; e solo mediante la coscienza di classe dei proletari è possibile prevenire alla conoscenza e alla comprensione di questo cammino dell’umanità e, con ciò, alla guida intellettuale.»