Alternativa: scuola statale, la grande riforma

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  1. Luciano Fuschini ha detto:

    La tristezza ha accompagnato la lettura di un testo tanto saggiamente propositivo. Tristezza nel costatare come siano isolate voci come queste, in mezzo al ciarlare vincente dei venditori di fumo. Avrei una sola obiezione: è vero che Luigi Berlinguer, coi suoi pedagogisti fuorviati dal peggior sinistrismo, quello americaneggiante tutto schede e test, unito alla demagogia del rifiuto della selezione, è stato forse il peggior ministro della Pubblica Istruzione, il che è tutto dire, ma non è vero che il declino della scuola pubblica è cominciato con la sua gestione. La demolizione era in atto almeno dagli anni Settanta. 

  2. Tonguessy ha detto:

    Una disamina esaustiva alle questioni sollevate dall'articolo (splendido il punto 6) richiederebbero  molte pagine.

    Mi limito solo a sottolineare alcuni punti: "il depauperamento intellettuale e morale, prodotto su scala di massa dall’odierna società del mercato e della tecnica"  di cui parlano i redattori, fa il paio con glu Universali Astratti e con la Matematica così potentemente rivalutati nell'articolo. La Storia (in generale, e della Filosofia in particolare)  ci ha consegnato dei dati sufficientemente precisi: è grazie all'invenzione degli Universali che nascono concetti e paradigni astratti e non verificabili. La platonica cavallinità di cui abbiamo discusso in altra occasione. Tutto il mondo così come lo conosciamo ruota attorno ad astruse verbalizzazioni relativi ad astrazioni che non trovano nessuna controparte sensoriale e che sono la base di ideologie che escludono qualsiasi verifica fisica.

    Per citare Epicuro: ""Per mio conto io non so concepire che cosa è il bene, se prescindo dai piaceri del gusto, dai piaceri d'amore, dai piaceri dell'udito, da quelli che derivano dalle belle immagini percepite dagli occhi e in generale da tutti i piaceri che gli uomini hanno dai sensi. Non è vero che solo la gioia della mente è un bene".

    Il che ci porta diritti diritti alla questione della Matematica intesa come materia che "educa all'astrazione".  In effetti, tutta la descrizione del Mondo su basi matematiche la dobbiamo a quel Cartesio che con la sua dicotomica Res Extensa contro Res Cogitans ci ha catapultati nel mondo in cui la Natura (Res Extensa) è un'ente che non richiede nè attenzioni nè cure, ma solo studi approfonditi da parte dell'uomo (cogitans) ai fini di piegarla al proprio volere. La cosa ha radici molto lontane, come ho cercato di spiegare nel mio articolo su Talete

     https://www.appelloalpopolo.it/?p=2531

    E' mia convinzione che un'umanità educata alla logica e alla matematica, agli universali e alle astrazioni in genere non sia un'umanità migliore di quella educata al rispetto e alla cura del mondo. In che senso un valente scacchista sarebbe da preferire ad un bravo boscaiolo? Insomma sono convinto che il depauperamento intellettuale e morale di cui parlano Bontempelli e Bentivoglio possa trovare delle cause serie in quegli stessi rimedi che vengono proposti.

  3. stefano.dandrea ha detto:

    Tonguessy
    io un boscaiolo l'ho conosciuto negli ultimi due anni, perché ha tagliato un bosco di gente che frequento abitualmente. Non so se fatica più lui o i muli di cui si serve. Sia lui che il figlio che chi eventualmente lo aiuta sono costretti a fare un uso energetico del vino, che utilizzano come doping. Oggi il suo lavoro è a rischio. Dice di non rientrarci più, a causa della concorrenza (diverso è il caso del boscaiolo che ha anche una segheria). E' davvero un animale da fatica. Ebbene credo che sia persona del tutto inadatta a impostare un problema (che non sia il suo; ma francamente mi sembrava inadatto anche a risolvere i suoi problemi) e a risolverlo o comunque ad argomentare una o altra soluzione. Credo, insomma, che avrebbe bisogno di studiare.
    Per fare il boscaiolo non è necessario studiare; basta lavorare come un mulo. Il valente scacchista, quando non è un malato per passione e quindi con tutti i limiti dei malati (sono candidato maestro di scacchi e sono stato malato e soprattutto ho conosciuto molte persone enormemente più malate di me), generalmente è persona che sa impostare e risolvere problemi o comunque argomentare una o altra soluzione.
    Stiamo attenti. Lo scrittore sardo che ha scritto il romanzo del gregge dal quale è stato tratto il film "padre padrone" ha dichiarato poco tempo fa di ringraziare il padre (quel padre che non lo mandò a scuola) perché se egli ha saputo raccontare la vita del gregge lo deve al padre. Un conto però è valorizzare i saperi materiali e tutelare chi fa lavori duri; altro conto è sostenere che la scuola dovrebbe far diventare lo scolaro come il boscaiolo al quale ho accennato o il pastore sardo padre dello scrittore (di cui non ricordo il nome). Francamente nessuno vuole o vorrebbe frequentare questa scuola.
    La capacità di astrazione manca nei bambini ( se ad essi dici "tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino" i bambini cercano con lo sguardo la gatta) e manca anche in alcuni soggetti, in particolare, spesso ma non sempre, manca agli imprenditori, i quali dedicano tutta la vita e tutti i pensieri ad un solo obiettivo e diventano monocoli incapaci di vedere il mondo dagli altri 359 gradi dai quali può essere guardato. Oggi siamo nelle mani di fanciulli e si vede (tu stesso hai spesso descritto il cortocircuito che si è verificato e che impedisce si seguire la "logica" dell'attività dei politici).
    Io credo che la capacità di conoscere, comprendere e fare propri i principi e i concetti astratti – Stato, nazione, internazionalismo, periodo storico, fase storica, umanesimo, contratto, obbligazione ecc. e, per venire agli scacchi, controllo del centro, vantaggio di sviluppo, dominio di diagonali, case deboli, case forti – sia un miglioramento, che si può desiderare o meno. Le capacità mentali del boscaiolo o del pastore – le capacità di impostare problemi e risolverli; le capacità di relativizzare per ragioni di storia e di geografia, le capacità di separarsi dal proprio piccolo mondo e di interrogarsi sul resto del mondo – generalmente sono quasi inesistenti. Tanto che nessuno desidera sviluppare intelligenza e capacità mentali medie dei boscaioli. Non si va a scuola con questi obiettivi, bensì proprio per non essere limitati come il boscaiolo e il pastore. Entro un certo limite lo Stato ti obbliga ad acquisire (obbliga i tuoi genitori a farti acquisire) certe capacità (la scuola dell'obbligo). Se le astrazioni si prestano all'uso ideologico, possono al tempo stesso essere smascherate soltanto con l'uso della logica astratta. Il pensiero è puramente e semplicemente astratto. L'uso ideologico delle astrazioni persuaderà anche il boscaiolo e il pastore. Soltanto chi ha sviluppato concetti astratti e capacità critiche sarà in grado di sfuggire all'uso ideologico dei concetti.
    D'altra parte sarebbe davvero assurdo che taluno volesse vivere come un animale o come un bambino e poi volersi assicurare contro i rischi di cagionare danni a terzi servendosi della scienza attuariale o versare contributi per prendere pensioni che risultino da determinati calcoli o pretendere che gli immobili siano costruiti con le dovute caratteristiche antisismiche ecc. ecc.
    Essere antimoderni, per respingere quei tratti della modernità schiavizzanti, infantilizzanti, deprivatizzanti, inquinanti e che spesso presuppongono o impongono proprio la perdità delle capacità critiche e astrattive si. Essere antimoderni per perorare una o altra forma di primitivismo non mi trova d'accordo. Oltre che obiettivo irrealistico (anche il mio è irrealistico) si tratta per me di un non obiettivo. Colui che dopo aver frequentato, adempiendo i propri doveri, la scuola dell'obbligo decide di fare il boscaiolo ha il diritto di farlo. Questa mi sembra la massima da rispettare.

  4. Tonguessy ha detto:

    Giova ricordare che il traghettamento dall’era industriale a quella finanziaria è avvenuta grazie alla matematica di Merton e Scholes (Nobel per l’economia, e qui ce ne sarebbero di cose da dire, perchè non è un Nobel vero e proprio ma un’invenzione delle banche) che hanno gettato le basi per la finanza speculativa. Con base matematica, ovviamente.
    I danni che sanno fare certi matematici, dalla soluzione dell’equazione di terzo grado per calcoli balistici e bancari (Ars Magna di Cardano) non sono minimamente paragonabili ai danni che un boscaiolo può fare. Perchè il boscaiolo cura il bosco (facendo fatica, ma mi pareva che fare fatica tu non lo vedessi poi così male) mentre l’esperto finanziario convince il parco buoi ad avere fiducia in quelle formule che permettono al capitale di rivalutarsi nelle tasche degli speculatori. Non si cura del mondo, si cura solo del capitale.
    Eppoi, se siamo in tre ad essere irrealisti (io, te ed i redattori) perchè uno dei tre Ou Topos (il mio non-luogo) deve necessariamente essere scartato? Proibito ricordarci che l’umanità ha fatto a meno di matematici, fisici, ingegneri, biologi, medici, economisti, speculatori e capitali per quasi la totalità della propria esistenza in questa terra?

  5. romano calvo ha detto:

    Con tutto l'apprezzamento per le idee di questo articolo, che è vero va meditato, io che di scuola media e superiore me ne occupo da decenni, non trovo  in questo articolo nemmeno una idea utile per uscire dal pantano in cui costringiamo i nostri figli a sprecare 8 anni di vita. Probabilmente chi lo ha scritto non conosce la frustrazione, la demotivazione, lo sbragamento culturale ed etico di buona parte del personale scolastico attuale. O forse si illude che aumentandogli lo stipendio di 200 euro ed inserendo un po più di matematica e storia le cose potrebbero migliorare. Ma non credo Bontempelli fosse così sprovveduto. Si tratta forse semplicemente di un pezzo di un puzzle ancora da costruire. Magari partendo dalla concreta realtà della scuola statale superiore italiana oggi.

  6. stefano.dandrea ha detto:

    Caro Romano, non credo che si tratti di un pezzo di un puzzle ancora da costruire. Credo che l'articolo dica chiaramente cosa la scuola deve essere e abbia anche un contenuto implicito.

    Basta con i progetti e con i "giochi gruppo";

    Basta con le immagini: filmati; libri pieni di figure.

    Basta con i libri descrittivi e lunghissimi, pieni di notizie e informazioni. Il libro, nelle scuole medie secondarie, deve essere denso, chiaro nella forma ma profondo nei concetti, tale da imporre una lettura lenta, che il pensiero in azione possa seguire.

    Basta elevare l'età della scuola dell'obbligo. Sedici anni è il massimo invalicabile, che solo una società ipocrita – che vuol produrre in realtà perditempo consumatori indebitati – può voler superare.

    Sottrarre i bambini alla miniera o alla dura vita della campagna o della montagna doveva servire a sottoporli alla severa disciplina dello studio. I giovani, dai quattordici anni in poi, devono esercitare i muscoli del culo.

    Basta con l'ipocrisia della scuola facile. Basta con la vergognosa tutela della riservatezza che vorrebbe non segnati in rosso i bocciati (nei quadri di fine anno). Basta con il terrore di bocciare. Dai quattordici anni in su sarebbe bene che la scuola bocciasse tutti coloro che non raggiungono i risultati attesi. Non dobbiamo produrre laureati. Dobbiamo produrre uomini. E uomini sono soltanto coloro che fin da bambini sono stati educati a capire il senso del limite, a lottare contro sé stessi per superarsi, ad accettare la sconfitta, il fallimento, la delusione. Si la sconfitta; la più grande maestra che si possa immaginare.

    Ecco cosa scriveva il grande latinista comunista Concetto Marchesi: "Passati i limiti della scuola obbligatoria, giunti sulle soglie della scuola specializzata, della scuola professionale, della scuola media superiore, si deve iniziare l'opera salutare di selezione che Quintino Sella, il vecchio statista piemontese, auspicava senza vederne i modi e la possibilità di attuazione, quest'opera di selezione la quale deve consistere nel dirigere e nell'avviare tutte le attitudini e le capacità dei singoli individui verso quelle vie in cui possono più degnamene operare e progredire. Selezionare non vuol dire costituire la folla degli umiliati e dei reietti, vuol dire disperdere la folla degli spostati e per spostati intendo semplicemente coloro ai quali le facoltà naturali indicano altre strade degnissime di opera e di profitti che non siano quelle delle scuole superiori": https://www.appelloalpopolo.it/?p=2226

     

    Certo, si pone il problema della famiglie e della diseducazione che danno ai bambini. Il fatto che oggi i bambini non sanno stare seduti quattro ore. Bene il compito primario della scuola elementare è di combattere contro la inciviltà dei genitori e di riuscire a far star seduti per quattro ore i bambini.

    Questo gravissimo problema, che si perpetua anche per i giovani di età avanzata, con genitori che rompono i testicoli ai docenti, va risolto attrobuendo alla scuola un potere che oggi non ha e la funzione di sottrarre i giovani alle ansie dei genitori. Nel proprio campo, la scuola prevale senza limiti sui genitori. Il concetto l'ho espresso, assieme ad altri principi, nel Manifesto:

    "21. La libertà nella scelta dei metodi educativi è sacrosanta. Invece, l’obiettivo dell’educazione è un dato indiscutibile: che il giovane sia coraggioso, intelligente, colto, paziente, disponibile a sopportare immensi sacrifici per il raggiungimento degli obiettivi che si prefigge, magnanimo con i deboli e dignitoso con i potenti. La realizzazione di questo obiettivo non è affidata soltanto ai genitori, bensì anche alla Scuola; o soltanto alla Scuola, quando i genitori si rivelino inidonei o deliberatamente si sottraggano al loro sommo dovere.

    22. Le funzioni essenziali della Scuola e dell’Università sono due: formare gli uomini e valorizzare i talenti. La Scuola, se si tratta di Scuola tecnica, può eventualmente svolgere anche la funzione di fornire agli studenti notizie e tecniche utili a svolgere un lavoro. L’Università e i licei, che non siano licei tecnici, mai.

    23. Bisogna ridare prestigio alla Scuola. Ma il prestigio presuppone il potere. Nella sfera di competenza della scuola, il potere educativo della medesima, se contrasta con l’orientamento dei genitori dello scolaro, deve prevalere. La scuola deve sottrarre i giovani alle pretese e alle ansie dei genitori, per renderli uomini.

    24. La scuola non deve formare uomini moderni, bensì semplicemente uomini, che sappiano guardare dentro di sé e fuori di sé. https://www.appelloalpopolo.it/?p=22

    Quella che ti ho descritto è l'ideale della scuola di massa socialista (la scuola sovietica era così). Essa è mille volte migliore rispetto alla scuola di massa liberale che ci ritroviamo (anche per colpa di forze che, invece di essere socialiste, sono state liberali, sia pure "di sinistra").

    Tu mi dirai, sempre che condivida gli obiettivi: ma questa scuola non si può realizzare. Bene servirebbe un partito, il Fronte Popolare, che queste cose le dice tutti i giorni. Un partito che non ha bisogno di tanti indignati liberali di sinistra che amano protestare in nome della scuola laica. Ha bisogno del consenso della parte migliore, che ancora esiste, dei ceti popolari. Spesso si tratta di persone che non hanno mai partecipato ad una manifestazione.

    Più cresce il degrado, più le idee che ti ho espresso diverrebbero forti. Ma riuscirà mai un Fronte popolare italiano, magari votato dal solo 4 % degli elettori, a sostenere queste cose in Parlamento?

  7. romano calvo ha detto:

    Beh intanto stai tirando fuori elementi che nel testo di Bontempelli non avevo visto. Forse ci sono troppi impliciti. Vedo però che continui a non sfiorare mai il tema centrale: il docente ed il sistema organizzativo in cui deve operare.Forse dai per scontato che l'attuale corpo insegnante sia preparato, motivato  ed in grado di trasferire apprendimenti. Dai per scontato che il contesto organizzativo in cui avviene l'apprendimento sia quello migliore. Io no. Conosco troppo bene e dall'interno la malattia, per far finta che non esista. E ad oggi ho visto che l'unico vero antidoto è dare spazio alle comunità locali, fuori dai programmi ministeriali, per consentire a chi ci crede di fare scuola e non semplice contenimento dei mostri. E per quanto riguarda la bocciatura io mi appassiono maggiormente verso una scuola che fa di tutto per trasferire apprendimenti, ad ognuno secondo le proprie capacità e necessità. Quella roba della selezione, avviene normalmente in tutte le società. Nel tuo modello vorresti semplicemente basarla sul possesso di skills di natura logico-matematico, mentre gli skills che servono sono anche la capacità di progettare, di cooperare, di fare manuale ecc. Il discorso diventa lungo. Pur trovandomi in profondo e preoccupato dissenso per quanto hai detto sopra, vorrei che si potesse ragionare in modo pacato. Partendo però da quello che la scuola è e la scuola fa oggi. 

  8. stefano.dandrea ha detto:

    Non vedo contrasto tra la bocciatura e capacità di progettare, di cooperare, di fare manuale ecc Chi non ha le capacità richieste a fine anno viene bocciato. Possiamo discutere sugli standard richiesti. Ma chi non li raggiunge viene bocciato e ripete. Non è un problema. Non tutti, però, alle superiori, devono imparare il fare manuale e, finita la scuola dell'obbligo, non tutti devono (continuare a cercare di) imparare la storia o la matematica.

    Quindi il dissenso non c'è, salvo che tu sia contro la bocciatura in sé.

    Quanto ai docenti, ormai i professori che sono dentro sono dentro (io sono figlio di due professori di scuola media secondaria). Perciò l'ipotetico miglioramento sarebbe lento. Anche su questo concordiamo. E non credo si possa dissentire.

    Come migliorare il corpo docente. Non vedo altro modo che bandire un concorso ogni due anni e stabilire che chi è bocciato in tre concorsi non può più partecipare (avviene nel concorso in magistratura); anzi: chi prende l'abilitazione in tre concorsi senza vincerli. A quel punto puoi anche decidere di fare il precario per venti anni. Ma sai con certezza che non avrai mai il posto sicuro. E non perché lo stato è cattivo; bensì perché preferisce che entrino i giovani bravi. Il pluribocciato può sempre decidere di fare un altro lavoro (come accade a molti che per anni studiano per superare il concorso in magistratura o per il notariato e non lo vincono).

    Insomma, come la metti la metti, bisogna essere severi. Con sé stessi, in primo luogo. Una società non severa non è seria. Ciarla a vuoto. Una società non severa è per vocazione naturale una società di consumatori, di indignati, di "uomini" senza una o altra fede, senza coraggio. La diffusione di questi mali non è casuale; non dipende dalla casta; non dipende dalla inefficienza della pubblica amministrazione. Dipende da scelte che stanno al fondo della società. Senza modificare quelle scelte, non c'è soluzione. Si possono soltanto svolgere discorsi che si reggono su uno spillo.

  9. romano calvo ha detto:

     
    I limiti della scuola non stanno solo nelle materie insegnate o nei problemi del singolo studente o del singolo docente, ma derivano dall’impostazione complessiva  di quella stanza che si chiama aula frontale, segmentata in  banchi e attraversata ogni ora da un docente diverso, con quel tipo di comunità che non è  una comunità.
     La famiglia ha perduto quella forza autoritaria e costrittiva che aveva un tempo,  la stessa scuola ha perduto insieme autorità  e autorevolezza.
     
     
     

    Il rigore  la severità costituiscono una componente essenziale di una comunità educante,  ma essa  non può esser fondata se  non su un progetto condiviso.
     
     

    Si dice che i  ragazzi non vogliono faticare. Non è vero:  abbiamo migliaia di esempi di fatiche  enormi in cui i ragazzi si impegnano, quando sono convinti di qualcosa.

    E allora, siccome la scuola è anche fatica dobbiamo tornare alla motivazione ed alla libertà che sono state conquistate  nella vita quotidiana. La libertà è pretesa che si motivi quello che si fa.
    L’ipse dixit non convince, non regge in un regime di questo genere, scolla il rapporto tra la domanda sociale di istruzione che deve essere rispettosa della domanda sociale di libertà.
    La pura imposizione  oggi è impotente.



    Quali sono allora le molle dell’educare? La curiosità: la scuola è il luogo dei “perché“, scoprire e capire. E poi la bellezza e la gioia che purtroppo oggi sono bandite dalla scuola.
     
    Non c’è gioia senza grande fatica, gioia di vivere un’avventura, un’esperienza  intellettuale,  esistenziale, come è quella  dell’apprendere.
     
     
    La scuola ha curato la razionalità ma l’ha separata dall’emozione, addirittura sezionando il cervello in due, e con esso la natura umana.

    Questa è l’impostazione che abbiamo ricevuto 100 anni fa e che ci stiamo portando dietro ancora, e che non riguarda  il modo di operare  del singolo docente ma il sistema.
    Non si nega il valore della sintassi, dell’astrazione, senza le quali non c’è cultura: si nega il fatto che esse  vengano prima, che siano tutto. Sono infatti sempre meno i ragazzi “contemplativi”.
    Va invertito il processo di apprendimento in  tutte le sedi scolastiche. Perché questo segna il cambiamento delle impostazioni: rapporto fra fare e sapere, superamento del disprezzo per la manualità che costituisce invece elemento essenziale del sapere, specie se usciamo dal monopolio  del  linguaggio verbale.
    Chi suona il flauto lo fa con la bocca e con le mani e pensa anche con la bocca e le mani, fa cultura anche con la bocca e le  mani. Perché il sapere lo determina anche la fisicità.
    Nella scienza si sperimenta con le mani  e si costruisce insieme la teoria e le grandi leggi con cui interpretiamo l’universo.
    L’apprendista, cioè il bambino che impara, incarna bene l’idea di apprendimento, perché tutto tocca, vuole sapere, vuole capire…
    Non si può imparare a nuotare se non ci si immerge nell'acqua. Come diceva Hegel, contro Kant, è solo dal confronto con i fenomeni che si possono cogliere i limiti del nostro intelletto. Pretendere di individuare questi limiti prima di iniziare a conoscere equivale a “voler imparare a nuotare prima di immergersi nell’acqua”.
    E lo stesso San Tommaso, a cui nulla si può imputare in fatto di capacità di astrazione, scrisse che: “Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”. Non c’è nulla nell’intelletto che non sia prima passato sotto la percezione dei sensi.
     
    Perché la scuola italiana è così scarsa nelle indagini OCSE? Non perché i nostri ragazzi non abbiano una serie di nozioni, ma perché non le sanno applicare.
    E’ il problem solving che manca. Abbiamo una scuola che ha formato attraverso la filologia un’intera classe  dirigente, ha formato una burocrazia che non è neanche sfiorata dal problema del risultato. 
    Questa classe dirigente la stiamo ora scontando perché ha escluso dalla scuola quei piccoli imprenditori e tecnici che invece hanno fatto il miracolo economico dell’Italia.
    Siccome insegnare è un mestiere difficilissimo  la premessa è conoscere quello che  si insegna ma anche conoscere l’anima di chi ci ascolta.
     
    Non si può seminare senza sapere se quel terreno è adatto a quel seme, perché se è inutile, il seme lo rifiuta. Se c’è una parte sempre più grande di alunni  che si annoia, che si stanca, che gira  l’occhio altrove non si può solo imputarlo al fatto che il ragazzo è “maleducato”.
    La scuola si  deve rivolgere a tutti. Deve certamente allevare i suoi talenti: non c’è niente di più ingiusto  che comprimere i talenti al livello degli altri,  è ingiusto e iniquo perché spesso quei talenti  non sono riconosciuti per ciò che valgono.
     
    Bisogna creare le condizioni per chi ha dentro di sé un fuoco più bruciante di altri,  possa camminare più spedito. Ma nello stesso modo bisogna creare le condizioni per sostenere la media e  anche quelli che sono al di sotto della media. Qualità ed equità. I cervelli non sono tutti uguali. Non c’è niente di più iniquo che pensare all’eguaglianza come uniformità.
    Bisogna superare l’impostazione morfo-sintattica dell’apprendimento linguistico. E’ necessario il contrario: parlare, contare, suonare, vedere  le immagini viene prima di scrivere e di leggere. Certo che si deve arrivare a leggere. La gente che sa parlare impara anche a scrivere; la gente che impara a suonare in certi paesi non sapendo solfeggiare, suona, e poi leggerà. Persino nella scienza si sperimenta e contemporaneamente si studiano i concetti.
     
    Ma la scuola secondaria si articola ancora in una prima ora, seconda ora, terza ora, quarta ora … fraziona e segmenta il sapere, lo scompone e fissa, cristallizza ed estranea la sensibilità discente. La società  è mobile e la scuola è fissa, rigida. Per questo non interpreta la domanda sociale di cultura.
    Le stesse epoche storiche, i fenomeni naturali spezzettati sono quasi indecifrabili; l'organizzazione.
    Le competenze dei docenti sono spezzettate. La stessa impostazione universitaria per la preparazione delle lauree è eccessivamente segmentata per uno che deve andare ad insegnare.
     
     La stessa sequenza oraria del tempo scuola è decisiva. Negli altri paesi quello che si fa alla prima ora lo si fa con un certo numero di studenti della classe, e quello  che si fa nella  seconda e terza ora si fa con un numero più ampio. Il gruppo classe si compone, ricompone, scompone, a seconda del tipo di apprendimento disciplinare dettato dalla natura di quello stesso apprendimento. 
    In una qualunque scuola dei paesi più evoluti trovate questo metodo, questa prassi:  non si possono  avere le stesse persone che si faccia un esperimento scientifico o si faccia una lezione di storia, o la lettura di una poesia.
    Ci sono diversità che vanno tenute presenti, e questa omogeneità forzata, che è stata quella della  ministerializzazione, che oggi è assolutamente fuori tempo massimo.
     
    L’autonomia della scuola è in primo luogo ricerca didattica, che significa studiare i comportamenti di chi apprende  e vedere  se funziona o non funziona. E’ il modo di  proporre un determinato insegnamento, perché il modo di creare conoscenza e  apprendimento  richiede ricerca permanente e questo eleva la dignità del docente, gli dà  una funzione maggiore di quella che le riforme organizzative possono offrire. Investire nella quotidianità dell'attività di apprendimento: la scuola intera va investita di questo e deve diventare una comunità educante, deve essere severa e rigorosa ma capace di coinvolgere in progetti di auto-apprendimento, in cui  le vocazioni e gli interessi, le curiosità, sono ricchezza e vanno stimolati.
    Occorre un monitoraggio permanente dell'attività di apprendimento, non i corsi di recupero tardivi. Occorre un monitoraggio permanente della crescita quotidiana dell’alunno, per arrivare quando c'è un suo rallentamento, nel momento ancora utile non solo per reprimere ma anche  per  trovare una strada per superare quell’ostacolo.
     
    Questo è il manifesto per la riforma della scuola che vorrei leggere.

    Romano Calvo 
     
     

     
     
     

     

     
     
     
    Non c'è dubbio che ciò è più faticoso e richiede più risorse, però se questa è la priorità va praticata.

     
     
     

  10. stefano.dandrea ha detto:

    Caro Romano,
    dissenso assoluto sui punti fondamentali. Sono dell'avviso che quelli che la pensano come te siano stati la causa principale dello sfracelo. Siete in tanti a pensarla così, facci caso (molti senza la tua intelligenza e le tue capacità agomentative). Come me la pensano in pochi. E in democrazia si realizza la volontà della maggioranza.
    Hai toccato tanti punti. Quindi passerei per un momento in attesa che qualcuno si introduca nel dialogo, che è interessante. Ti rileggo e ti rispondo con calma
    Su un punto però dovrai convenire: Veltroni non è laureato, D'Alema nemmeno, Vendola si è laureato a trentanni (credo). Non credo che Gasbarri sia laureato. Bossi non è laureato. Nel consiglio comunale della mia cittadina credo che il 70% non siano laureati (nel 1977, quando pochi erano in assoluto i laureati, il 70% erano laureati). Sia chiaro, la laurea di per sé non significa niente, perché c'è l'autodidatta geniale. Però, le statistiche contano.

  11. Piero Pagliani ha detto:

    La questione in oggetto l’ho vissuta da due punti di vista opposti ed entrambi parziali.
    In quanto discente, frequentando un prestigioso liceo classico milanese, iperselettivo ma nel pieno delle lotte studentesche di cui tale liceo era all’avanguardia (c’è un nesso tra le due cose, e si chiama “falsa coscienza nella lotta per un posto al sole”).
    Come docente freelance in varie università, specialmente in India. E su questo ritorneremo.
    Mia moglie, docente per moltissimi anni di matematica in istituti per ragionieri, mi ha sempre accusato di avere una visione parziale delle cose, in altri termini di fare riferimento alla mia esperienza nel “prestigioso liceo classico” e di non avere idea di cosa succede in istituti più, diciamo così, “proletari”. La cosa venne fuori la prima volta durante una discussione sul libro “Segmenti e bastoncini” di Luigi Russo, in cui io mi riconoscevo.
    Mia moglie sottolineava l’impossibilità di riportare in altri contesti scolastici la maggior parte dei suggerimenti di Russo, sovente non espressi in termini positivi ma impliciti nelle sue critiche alla scuola italiana post Berlinguer.
    Eppure mia moglie è sempre stata nota come una professoressa molto esigente, di vecchio stampo, pronta a sostenere, se necessario, la necessità di bocciare, dopo però aver scrutinato non solo i voti, ma anche le condizioni sociale e familiari dell’alunno. Tra l’altro mi faceva notare che i docenti “lassisti” erano disprezzati dagli alunni, quantunque di tale lassismo essi si approfittassero.
    E in questo atteggiamento contraddittorio degli alunni c’è forse gran parte della questione che stiamo discutendo.
    Che esigenza ha chi frequenta la nostra scuola? Che servizio, che guida può offrire la scuola?
    Un parcheggio? un supermarket di pezzetti di psudo-cultura? strumenti per potere “affrontare il mondo del lavoro” – e quale eventualmente? strumenti critici? La risposta dipende dall’ordine di studi?
    Non è facile dare risposte con una qualche pretesa di conclusività. Riporterò allora solo alcuni punti basati su ciò che so.
    1) Circa 20 anni fa dovetti discutere, per il mio lavoro, sull’utilizzo di sistemi di insegnamento basati sui computer, con un consulente del governo USA per le politiche scolastiche. Una volta in disparte mi disse guardando con compassione le nostre avanzatissime soluzioni tecnologiche: “Il nostro sistema scolastico è ormai completamente devastato. Adesso si cerca di puntare sui computer, sulle reti, sulla tecnologia. Lo abbiamo già fatto massicciamente, ma non riusciamo ad uscire dal disastro”.
    Eppure abbiamo avuto per anni consiglieri del nostro Ministero ubriacati da Internet e uomini di governo per i quali dovevamo per forza copiare il disastro d’oltreoceano. Non posso farla lunga, ma essendomi occupato di queste cose vi posso assicurare le immense idiozie che ho dovuto sentire a tutti i livelli.
    2) Prego verificare questa notizia di pochi anni fa. Un magistrato aveva sentenziato che uno studente poteva legittimamente rifiutarsi di farsi interrogare in Matematica se questa interrogazione lo poteva rendere infelice. Io ho letto stupefatto coi miei occhi l’articolo che riproduceva quella sentenza, che cito a senso, ma non ricordo più dove.
    Verosimile? Inverosimile? Bene, allora sentite questa. Ogni anno vado in India a tenere conferenze e lezioni. Tre anni fa, se non ricordo male, lessi una notizia molto simile su un quotidiano indiano (dovrei averlo ancora da qualche parte): si discuteva dell’opportunità di rendere facoltativi sia l’Inglese sia la Matematica, per non creare insoddisfazioni nei giovani studenti indiani. Non so come sia andata a finire, ma evidentemente nel mondo gira una forte preoccupazione riguardo i giovani studenti.
    E che tipo di giovane si vuole formare, allora?
    Vi domando: con queste cialtronaggini si possono formare giovani capaci di avere un senso critico, di lottare, di prendersi le proprie responsabilità, o non è più probabile che escano dei poveri infelici affetti da depressione (la sindrome più comune tra i giovani, anche della classe media indiana) perché se la possono prendere solo con se stessi dato che non hanno mai dovuto lottare per ottenere nulla?
    E allora, ritorniamo ad un punto precedente. La scuola deve fornire strumenti critici.
    Noi nel Sessantotto avevamo due leitmotiv: “No alla scuola di classe”, “No alla scuola nozionistica”. Siamo stati presi sul serio, non sto scherzando,  e abbiamo ottenuto una scuola iperclassista totalmente nozionistica.
    Perché è iperclassista una scuola che tendenzialmente non fornisce uno strumento critico che sia uno e inonda la testa degli allievi di spizzichi e bocconi di tutto e di più. Una sistema scolastico dove devono esistere le superscuole perché quelle normali sono ormai considerate “ciofeche” (la maggior parte delle università statunitensi, mi dicono docenti che vivono e lavorano là, sono in realtà licei. Così se voglio una vera formazione universitaria devo andare ad Harvard, alla Carnegie Mellon, a Standford, nelle super-università).
    Non c’è nulla di più orrendo della differenza di classe travestita da egalitarismo. Purtroppo di questo imbroglio la sinistra è stata maestra, a volte col coltello tra i denti, a volte con le migliori intenzioni (non si sa cosa sia più pernicioso).
    Allora apriamo, da qui in avanti, il dibattito sugli strumenti critici. Io vi parteciperò come posso dato che, come ho già detto, possiedo solo un’esperienza molto parziale.
    Ad ogni modo. Durante il Sessantotto criticavamo lo studio del Greco perché non c’entrava nulla col mondo del lavoro. Immane idiozia di cui non mi perdonerò mai. E perché mai un giovane a quell’età deve essere già rimbecillito da ciò che gli servirà nel mondo del lavoro? L’unica scusante è che, grazie a docenti che terrorizzavano, il Greco e tutte le altre materie “inutili” – di fatto tutte tranne Educazione Fisica perché ci si divertiva a non farla:) – dovetti invece studiarmele, eccome, fino a maturarmi col massimo dei voti.
    Col senno di poi, se c’è una materia che mi ha fornito strumenti critici è stata il Greco. Poi all’Università fu la Storia, la Filosofia e -udite udite – la Matematica.
    La Matematica, se non la si riduce a far di conto e al calcolo differenziale e integrale, usato per produrre modelli economici che solo in rari casi ne hanno azzeccata una (per un motivo molto semplice: non includono un parametro fondamentale, cioè il Potere e la lotta per il potere), se ci si inoltra ad esempio nel campo della Logica o in quello della Geometria Algebrica, delle Categorie, allora si vedrà che esiste una matematica concettuale che poco ha a che vedere con la dicotomia cartesiana. Non solo, la produzione matematica è tutto tranne un gioco razionale di bussolotti. Chi ha fatto teoremi sa che la revisione razionale del risultato è l’ultima cosa, dopo intuizioni, letture o discussioni (e quindi scambi sociali), sogni, scarabocchi senza senso, mal di pancia e tachicardie. Se tutto ciò è fredda razionalità …   
    Giorgio Agamben, in un memorabile studio di molti anni fa, sostenne una tesi suggestiva. L’uomo non nasce col linguaggio, deve apprenderlo. Il processo di apprendimento del linguaggio, cioè dello strumento con cui l’uomo si riferisce all’ambiente naturale e sociale che lo circonda, pone una distanza tra l’ambiente e il soggetto. E’ grazie a questa distanza che l’ambiente da annusare diventa un mondo da capire e quindi inizia la possibilità della Storia.
    Per avere una visione critica, è necessaria una distanza, un po’ come per capire le figure in un quadro impressionista. Lo strumento critico è nel linguaggio. Il linguaggio è uno strumento critico. Per questo ce lo vogliono sottrarre e sostituire con le immagini in movimento, con l’immediato controllato da fuori.
    Chiamandolo “spontaneità”.
     
    Piero Pagliani

  12. stefano.dandrea ha detto:

    Grande Piero. Applausi.

    A questo punto sento di doverti dare un consiglio fuori tema, da avvocato. Scrivi il tuo (breve) intervento per Chianciano, più o meno lungo come questo. Imparalo (quasi) a memoria . E poi, dopo aver fatto le prove, recitalo alla platea.

  13. Penso che in ognuno di questi post ci sia una parte di realtà. Da questa bisogna partire, perché la scuola è elemento centrale per costruire una strategia di uscita dalla società dello spettacolo e dei consumi.
    Abbiamo fatto (come Alternativa) l'errore di cominciare questa importante discussione e di non continuarla. Questa discussione tra D'andrea, Calvo e Pagliani potrebbe esser l'occasione per riprendere il filo.
    Ma, per favore, non per 'post'. La questione è troppo seria e centrale per ridurla alle tattiche da blogger
     
    Ettore Macchieraldo

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