Telegram è probabilmente la piattaforma di messaggistica più utilizzata all’interno della galassia jihadista. L’applicazione fondata dai fratelli russi Nikolai e Pavel Durov nel 2013 permette l’utilizzo di chat segrete con cifratura definita end to end – punto a punto – che permette alla conversazione di rimanere salvata solo sui dispositivi utilizzati dagli utenti e non nel server cloud della piattaforma.

Non è però questa la caratteristica che ha portato Telegram a diventare la chat preferita dall’ambiente jihadista. Oltre al servizio di messaggistica istantanea Telegram permette anche la creazione di “gruppi”, come il competitor WhatsApp, e soprattutto di “canali”. La differenza sostanziale tra “gruppi” e “canali” è che nei primi viene concesso agli utenti di comunicare tra loro, come un normalissimo gruppo di WhatsApp, mentre nei secondi gli utenti hanno solo la possibilità di vedere cosa l’amministratore del canale pubblichi, che sia un file, un messaggio, un video o una foto. La possibilità di poter creare questi “canali” ha permesso così ad ogni gruppo terroristico di poter creare un proprio canale ufficiale, utilizzandoli, per lo più, come diffusore e grancassa per divulgare video propagandistici, comunicati e bollettini informativi. Il tutto al riparo dall’authority del web o di social network più utilizzati, quindi più controllati, come Facebook e Twitter.

Se è vero che quindi Telegram ha fornito a queste organizzazioni un notevole mezzo di diffusione per la loro propaganda, è anche vero che ha messo a disposizione un incredibile mezzo di analisi per chi si occupa di studiare o prevenire il fenomeno del terrorismo di stampo jihadista. Il monitoraggio dei canali legati a queste organizzazioni, ma anche di quelli in cui convergono semplicemente dei fan di quest’ultime, può indicarci tendenze, evoluzioni e cambiamenti, magari anche strategici e dottrinali, che i gruppi presto o tardi assumeranno.

L’osservazione di canali e gruppi di Telegram, ad esempio, permise di intravedere la frattura che sarebbe arrivata tra il gruppo Hayat Tahrir al Sham (HTS) e il comando centrale di Al Qaeda. Nonostante il monito di Al Zawahiri sia arrivato solo di recente, e relativamente tardi rispetto alla nascita del gruppo HTS e al suo smarcamento da Al Qaeda, su questi canali già circolavano numerose discussioni sulla bontà o meno delle intenzioni di Al Joulani di svincolarsi dalla casa madre. Discussioni non solo tenute da fan, magari anche lontani dal teatro siriano, ma tenute anche da ideologi che godono, soprattutto nel contesto siriano, di notevole stima e riconoscimento come il giordano-palestinese Abu Muhammad Al Maqdisi e il saudita Abdullah Al Muhaysini – quest’ultimo coinvolto proprio sul campo della disputa. L’escalation di attentati tra Kabul e Jalalabad di fine gennaio, che ha visto competere Stato Islamico ed Emirato Islamico dell’Afghanistan è solo l’ultima parte di un film, di cui Telegram ci aveva fornito un trailer mesi prima. Infatti non passarono inosservati i numerosi corsi di lingua pashtu diffusi sui canali dei sostenitori del Califfato

I sostenitori del Califfato in Italia

L’attento e costante monitoraggio di Telegram ha permesso l’individuazione di alcuni canali legati al fondamentalismo islamico made in Italy. Tra la dozzina di chat e gruppi italiani di sostenitori e simpatizzanti della causa jihadista due sono quelli che meritano la maggiore attenzione: Ghulibati a Rum e Ansar al Khilafah fi Italia.

Il primo è un canale di traduzione e divulgazione e si occupa soprattutto di tradurre i bollettini informativi diffusi dall’agenzia Amaq, divisione mediatico-informativa affiliata allo Stato Islamico. Analizzando le traduzioni del canale, salta subito all’occhio il non essere madrelingua italiano dell’amministratore o di chi si occupa della stessa. Il canale in questione alterna momenti di attività, in cui vengono tradotti tutti i bollettini informativi che Amaq pubblica in una giornata, a momenti di stallo in cui il canale cessa il suo lavoro, anche per settimane intere. Se e quando il canale viene chiuso, causa segnalazione di qualche utente, possono passare anche mesi prima della sua nuova comparsa. Questa discontinuità operativa ci dimostra che dietro l’attività di Ghulibati a Rum si celi l’opera amatoriale di un amministratore che si occupa di questa funzione solo e quando riesce a ritagliarsi del tempo utile. Dietro al gruppo non risiede quindi un’organizzazione ben definita e strutturata e che si occupi di proselitismo. Ci troviamo, in questo caso, semplicemente davanti a un fan, un simpatizzante, che probabilmente mai andrà oltre le traduzioni dei comunicati del gruppo.

Discorso differente e più approfondito merita invece Ansar al Khilafah fi Italia – Sostenitori del Califfato in Italia. Innanzitutto a causa della sua duplice natura. Ansar al Khilafah fi Italia infatti ha sia un canale che un gruppo, dove gli utenti registrati sul primo possono prendere contatto tra di loro e discutere, anche con gli amministratori del gruppo. Entrambi, inoltre, sono collegati a due siti internet, Ansar al Islam fi Italia e Ansar al Jihad fi Italia. Il secondo sito permette l’accesso e la visualizzazione dei contenuti a tutti gli utenti interessati che vogliano leggere gli articoli postati sul portale. Il primo invece richiede la registrazione ai naviganti interessati ad accedere alle pubblicazioni postate sul sito, tra le quali troviamo anche traduzioni di libri o di articoli di vari ideologi o dei discorsi del sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi o del suo ex portavoce Abu Mohammad Al Adnani. Gli amministratori di questo sito sono gli stessi del canale di Telegram.

Nel caso di Ansar al Khilafah fi Italia, differentemente da Ghulibati a Rum, abbiamo quindi una struttura di riferimento già più solida alle spalle dei canali di Telegram, che conta sull’aiuto di diversi amministratori e collaboratori e su due siti internet di riferimento. L’attività del gruppo ha vissuto fasi alterne. Mentre infatti la maggior parte degli sforzi degli amministratori veniva concentrata sul sito e sul continuo aggiornamento di articoli e contributi, l’attività legata al canale Telegram ufficiale del gruppo si limitava alla condivisione del link utile per accedere a Ghulibati a Rum, quando questo veniva riaperto e indicando quindi un collegamento tra i due canali, alla divulgazione di qualche articolo e a brevi scambi di battute, sul gruppo, tra gli utenti. Sia il gruppo che il canale non sono mai andati incontro all’oscuramento o alla chiusura, forse grazie anche alla loro attività incostante e poco preoccupante e grazie al risicato numero di utenti, non andato mai oltre le cinquanta unità.

La nuova fase di Ansar al Khilafah fi Italia

L’attività del canale Ansar al Khilafah fi Italia è notevolmente aumentata a partire dal mese di dicembre. Mentre il canale, fino a novembre, aveva goduto di una reputazione e di una diffusione prettamente italiana, dal mese di dicembre il link d’accesso per entrare sia nel canale che nel gruppo è iniziato a circolare in molte chat e canali legati al fondamentalismo islamico ma di vocazione internazionale. Da segnalare è soprattutto la comparsa del link in questione in due canali ben noti in questo ambiente che portano il nome di The Anfaal e Connections. Il primo è un canale propagandistico dello Stato Islamico che si occupa prevalentemente di supportare la battaglia ideologica del Califfato contro Al Qaeda, ha un notevole focus sulla situazione nel Kashmir e spesso diffonde link di canali o gruppi affiliati o vicini ai miliziani di Daesh. Il secondo invece è un canale che si occupa esclusivamente della condivisione dei link d’accesso ad altri canali di Telegram sempre legati allo Stato Islamico, tra i quali troviamo anche Le Moujahid Solitaire e Lone Wolves che forniscono informazioni ed addestramento online, in francese e in inglese, agli aspiranti lone wolf europei.

Grazie a questa nuova pubblicità, il canale Ansar al Khilafah fi Italia è riuscito quasi a quadruplicare i suoi utenti, giunti nel mese di gennaio quasi a duecento unità. In concomitanza con il crescere della campagna elettorale italiana, sono stati postati più volte alcuni passaggi del libro di Al Maqdisi Democracy is a Religion, condannando quindi le imminenti elezioni italiane. Gli amministratori del canale hanno poi creato altri due canali legati a quello principale. Califfato Tecnologia, nel quale si danno in italiano istruzioni utili alla navigazione sicura e si forniscono varie applicazioni sia per Android che per iPhone per eludere qualsiasi tipo di controllo del cellulare o del computer. Tra le applicazioni fornite, ne va menzionata anche una per l’istruzione all’utilizzo di droni.

Ansar al Khilafah fi Italia backup, canale di riserva dove iscriversi e che diventerà il canale ufficiale una volta che il primo verrà chiuso. Poco dopo la creazione di quest’ultimo, il canale ufficiale è stato chiuso. Dimostrazione del fatto che gli amministratori del canale italiano sanno bene come ci si muove nell’ambiente e che non sono dei novellini alle prime armi. La chiusura del canale ufficiale ha segnato, nella mentalità degli amministratori del gruppo e dei loro utenti, il riconoscimento definitivo al loro salto di qualità. «L’azione dei kuffar nei nostri confronti non conosce sosta […] ma neanche la nostra nei loro» recita il messaggio di uno degli amministratori non appena riaperto il canale ufficiale.

La chiusura del canale originale deve aver suggerito ai fan del Califfato che la loro opera, soprattutto nell’ultimo mese d’attività, ha preso una buona direzione. Sembra così che si voglia addirittura alzare di più il tiro. Una volta sottotitolato in italiano l’ultimo episodio di Inside the Khilafa, serie di video prodotta da Al Hayat Media che mostra al pubblico la vita nel Califfato, un utente ha avuto l’idea di girare un video a Roma e di pubblicarlo poi sul canale Ghulibati a Rum. Un amministratore ha poi interrotto la conversazione, invitando a proseguirla in privato.

È utile precisare che questo nuovo corso operativo intrapreso dal canale Telegram di fan dello Stato Islamico non pone l’Italia in un pericolo maggiore di quanto non si trovi già. Le circa 250 espulsioni per terrorismo internazionale effettuate dal governo italiano a partire da gennaio 2015 dimostrano che il nostro Paese ha un problema con il fondamentalismo islamico, anche se non grave come quello di altri Paesi europei. Questo traffico di messaggi social d’incitamento a commettere azioni terroristiche è tale che non può e non deve passare inosservato ai servizi di polizia e intelligence. Soprattutto se un domani dovessimo riscontrare su tali canali le traduzioni in italiano dei tutorial adibiti alle istruzioni dei potenziali lone wolf nostrani.