La crescita reale delle 54 economie regionali del continente nero è stata, dopo la crisi del 2016, del 3,6% nel 2017, del 4,1% che si prevede per tutto l’anno in corso, e di un probabile 4,5% nel 2019. Una crescita lenta ma stabile del PIL che dura da almeno dieci anni e non sembra collegata ai cicli finanziari occidentali. Ovvio, le materie prime africane sono a prezzi bassi, ma stabili da molti anni. Sul piano monetario, a parte le 14 nazioni che usano il Franco CFA (che è a cambio fisso con l’Euro), tutte le valute africane hanno perso dal 20 al 40% del loro valore in rapporto al dollaro USA.

Nelle economie africane ad alta presenza di materie prime, vi è oggi una crescita sensibile dei mercati interni, crescita che è collegata a una diminuzione della quota di popolazione operante nell’agricoltura. I salari non agricoli sono maggiori di quelli dei contadini, si crea quindi una qualche domanda interna. E allora, perché emigrano in così tanti verso il Mediterraneo e gli altri Paesi africani? Semplice: perché anche questo è un modo di accelerare lo sviluppo economico dei 54 Paesi del continente nero. Meno esercito industriale di riserva in Africa, salari più alti, piena occupazione e sostegno ai redditi da parte delle organizzazioni umanitarie occidentali. Ecco la formula.

Nel 2017 vi è stato oltre un milione di migranti interni all’Africa, soprattutto verso il Sud Africa, la Costa d’Avorio, l’Uganda, la Nigeria e l’Etiopia. Esattamente le aree dalle quali provengono gran parte dei migranti che passano il Mediterraneo, segno che vi è un eccesso di domanda di lavoro in quei Paesi. Che viene indirizzata verso l’Europa. I migranti interni, peraltro, contribuiscono al 19% del PIL in Costa d’Avorio, al 13% in Rwanda, al 9% in Sud Africa.

Mentre il 51% di tutti i flussi finanziari privati in Africa è oggi formato dalle rimesse degli emigranti interni, che formano il primo capitale di rischio per l’aggiornamento delle loro economie nazionali. In Liberia e nel Lesotho, addirittura, le rimesse degli emigranti valgono rispettivamente il 26 e il 18% del PIL.

Nel marzo 2018, poi, 44 nazioni africane hanno costituito l’African Continental Free Trade Area che permette anche lo spostamento libero e incontrollato delle persone (pure verso il Mediterraneo, ovviamente). Non avremo i dati certi, se faremo gli hotspot in Africa. I dati delle migrazioni infra-africane sono comunque significativi: nel 2017 si tratta di 19,7 milioni di persone, mentre nel 2000 erano solo 12,5 milioni. Simile è il tasso di crescita delle migrazioni extra-africane, dai 6,9 milioni del 1990 ai 16,9 del 2017. Il tasso di migrazione verso UE, Medio Oriente e USA è tale da farci pensare che l’intera migrazione infra-africana potrebbe tranquillamente, oggi, assorbire la quota di quella che passa il Mediterraneo.

Se rimane l’attuale tasso di crescita delle migrazioni interne all’Africa, possiamo calcolare un aumento annuale dei migranti del 2,8% e un tasso di crescita media del PIL panafricano del 3,5%. Con l’inserimento in Africa dei flussi oggi diretti in UE, i migranti potrebbero aumentare del 5,2% garantendo comunque un PIL in crescita del 2,9% annuo. In sostanza l’Africa potrebbe funzionare in autonomia.

Perché è possibile un’autonomia migratoria intra-africana

L’elemento in più di effettiva possibilità di un’autonomia migratoria intra-africana è il fatto che comunque l’85% dei salari dei migranti interni all’Africa viene speso nei Paesi dove essi lavorano, creando così un mercato interno tale da stimolare, da solo, lo sviluppo. L’aumento dei consumi alimentari poi, determinante in economie ancora agricolo-pastorali, vale oggi il 35% dei mercati interni di quelle nazioni africane che ospitano migranti, mentre gli aiuti degli occidentali servono o per abbassare i prezzi dei prodotti primari o per creare, rivendendoli, altra liquidità. Anche gli aiuti umanitari, connessi inevitabilmente con la migrazione infra-africana sono, insieme alle rimesse e ai pur tenui aumenti di produttività, il fondamento dell’attuale crescita economica africana.

Dai calcoli più affidabili degli statistici, si prevede che l’Africa, da sola, potrebbe assorbire, senza deformare la sua “formula produttiva”, altri 5,5 milioni di migranti in più, che quindi non avrebbero bisogno di spingersi fino in Europa. Marx, da fervente colonialista, diceva che «le colonie dell’Impero sono essenziali per permettere l’extra-salario degli operai inglesi». Allo stesso modo oggi gli aiuti umanitari sono determinanti per creare il capitale di partenza di tante piccole imprese, agricole o meno, nel Continente Nero.

Per quel che riguarda l’Africa Sub-sahariana, oggi il 79% dei migranti di quella regione si muove all’interno dell’“Africa Nera”, meno del 22% va fuori dall’Africa, meno del 15% si dirige verso l’Europa o gli USA. Quindi, ripeto, dato il tasso di crescita medio, il continente africano può facilmente assorbire quella quota di migranti che passa il Mediterraneo.

Quelli che se ne vanno in UE o in altre aree molto sviluppate sono proprio quei migranti che provengono dai Paesi africani più ricchi, mentre i migranti dell’Africa Settentrionale si spostano soprattutto all’interno dell’Africa settentrionale e in Medio Oriente.

Tanto più le banche internazionali concedono meno prestiti e a tempi rapidi ai Paesi africani, quanto più il flusso delle rimesse è estremamente importante per la stessa sopravvivenza dei Paesi più poveri dell’area. Una “economia di sostituzione” finanziaria, fatta con i salari dei migranti all’interno del Continente Nero. Peraltro, per evitare la trappola del debito, molti leader africani hanno costituito, nel luglio 2016, un Fondo per il Finanziamento dell’Unione Africana, che viene sostenuto da una tassa dello 0,2% su tutte le importazioni.

Un altro elemento per capire la migrazione verso l’UE è la corruzione. Se si va a vedere il tasso di corruzione dei vari Paesi africani, si scopre che tanto è maggiore l’irregolarità amministrativa tanto maggiore è il tasso di migrazione verso l’Occidente, soprattutto delle giovani generazioni. Il che determina un impoverimento economico e demografico rilevantissimo. I giovani del Gambia lasciano il loro Paese nove volte di più, in proporzione, dei loro coetanei del Senegal o della Nigeria.

Ecco, la diffusione dei failed states in varie parti dell’Africa Nera non ci permetterà il controllo affidabile dei canali migratori, e ci lascerà alla mercé delle reti criminali, ormai collegate con le grandi organizzazioni criminali internazionali, che organizzano questi traffici, che sono destinati a durare.

Articolo pubblicato su Alleo.it