Dopo la morte di Hugo Chavez, avvenuta nel marzo del 2013, tra le fila del PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) si è molto presto diffusa la consapevolezza della debolezza della leadership politica di Nicolas Maduro e del quasi subitaneo calo di consensi del gruppo dirigente chavista, rimasto orfano del suo capo carismatico.

La bassa popolarità di Maduro si manifestava già nelle elezioni presidenziali celebrate nello stesso anno della morte di Chavez quando, nonostante la generale ondata di commozione dovuta alla recente dipartita del Comandante en jefe eterno de la Revolución Bolivariana, il suo successore designato riusciva a stento ad affermarsi nelle urne con uno scarto di appena 224 mila voti sul suo avversario Henrique Capriles Radonsky. La forte polarizzazione dell’elettorato del Paese aveva contraddistinto l’intera storia recente del Venezuela ma con l’elezione dell’Assemblea Nazionale tenutasi il 6 dicembre 2015 si verificava il primo vero e proprio tracollo del chavismo ed un ribaltamento degli umori dell’elettorato di dimensioni sorprendenti: in quella circostanza, infatti, le opposizioni di centro-destra, riunite nella M.U.D. (Mesa de Unitad Democratica), conquistavano la maggioranza assoluta del Parlamento di Caracas con ben 109 deputati in luogo dei soli 55 eletti dal Partito “oficialista” alla guida del Governo del Paese.

A partire da quel momento, la compagine madurista, resasi consapevole del crollo vertiginoso di consensi nel Paese, si è sempre più arroccata in una gestione autoreferenziale del potere esecutivo, rompendo il patto costituzionale col popolo venezuelano e con le opposizioni e lanciando una campagna di epurazioni di stampo staliniano nei confronti di qualsiasi voce critica si sia levata tanto nell’area di governo quanto nella stessa opinione pubblica venezuelana.

Una giovane donna circondata dalla Guardia Nazionale nelle giornate di protesta dell’estate 2017

Diversi dirigenti chavisti storici della prima ora, fra cui spiccano i nomi dell’ex ministro dell’Ambiente Ana Elisa Osorio, dell’ex ministro per la Pianificazione Economica, il già citato Jorge Giordani, dello storico Presidente della PdVSA Rafael Ramirez e quello della ex Procuratrice Generale Luisa Ortega Díaz sono stati delegittimati dalle loro rispettive funzioni con modalità alquanto eclatanti e, in alcuni casi, quegli stessi dirigenti storici, un tempo vicinissimi a Hugo Chavez, oggi sono stati costretti a trovare riparo all’estero per sottrarsi alla furia vendicatrice della cricca di potere vicina a Maduro.

L’involuzione autoritaria del madurismo si è percepita in tutta la sua nettezza nel 2016, quando il Governo ha iniziato arbitrariamente a restringere molti spazi di pluralismo democratico nel Paese ed ha avviato un’azione di sabotaggio sistematico di qualsiasi istituzione politica gli facesse da contrappeso, violando così in modo palese lo spirito e la lettera della carta costituzionale approvata nel 1999, che fa della diversificazione e separazione dei poteri il suo elemento maggiormente democratico ed innovativo.

In particolare, Nicolas Maduro ha manifestato la sua evidente paura di confrontarsi direttamente con l’elettorato quando ha sabotato con dei cavilli il referendum revocatorio sulla sua figura di Presidente, un processo di consultazione previsto dalla Costituzione venezuelana e col quale lo stesso Chavez non aveva avuto alcun timore di misurarsi, uscendone vincitore alla grande nell’anno 2005. Inoltre, sempre nel 2016 il Governo, per paura di subire un’ulteriore bocciatura nelle urne, con motivi pretestuosi ha deciso di rinviare sine die l’elezione dei Governatori degli Stati in cui è amministrativamente ripartito il Venezuela. Uno dei più gravi atti di rottura del patto costituzionale e di violazione del principio sulla separazione dei poteri, con cui lo stesso Governo ha confermato la sua inequivocabile intenzione di non voler più avere alcun rispetto della volontà popolare, si è avuto nel marzo del 2017, quando il Tribunale Supremo di Giustizia (un organismo politicamente contiguo a Maduro) con un colpo di mano ha provato ad avocare a sé le prerogative dell’Assemblea Nazionale controllata dalle opposizioni, disconoscendo di fatto il carattere cogente delle leggi approvate dal Parlamento e aprendo così un conflitto politico-istituzionale di difficilissima soluzione.

Quest’ultimo atto oggettivamente eversivo dell’ordine costituzionale ha rappresentato un grave segno di debolezza del campo madurista ed ha avviato una fase di scontro durissimo per le strade e nelle piazze delle principali città del Venezuela, dove migliaia di oppositori e di cittadini comuni, accettando a loro modo la sfida del Potere esecutivo, hanno fatto sentire la loro protesta assaltando palazzi pubblici e ricorrendo a forme anche estreme e violente di disobbedienza civile, come la creazione capillare di blocchi stradali e barricate in diverse zone del Paese. Da quel momento in poi, la repressione degli apparati di sicurezza governativi – a partire dalla militarizzata Guardia Nacional Bolivariana – è stata durissima e non ha risparmiato alcun mezzo di coercizione, ivi inclusi gli arresti arbitrari di oppositori, la violenza su semplici manifestanti inermi e il funzionamento di Tribunali speciali militari per sanzionare reati a sfondo politico.

Nella fase culminante delle proteste (estate del 2017), per il loro carattere particolarmente aggressivo si sono fatti notare i cosiddetti colectivos, gruppi motorizzati di para-militari contigui alla criminalità organizzata attiva nelle grandi concentrazioni urbane, i quali sembrano avere stipulato un patto di fiducia col Governo al fine di esercitare in suo nome il controllo del territorio nelle zone più “calde” del Paese, specie all’interno di quei barrios cittadini in cui è maggiore il rischio che possa montare da un momento all’altro la protesta popolare per il carovita.

Sempre nel 2017, Nicolas Maduro, al fine di provare a sottrarre definitivamente il potere legislativo al Parlamento eletto nel 2015 e in cui il suo partito è in minoranza, ha fatto insediare un’inconsueta Assemblea Costituente eletta con modalità e criteri palesemente anti-democratici e a partire da quel momento il conflitto con le opposizioni ha assunto una portata irreversibile e non più sanabile. La scelta inattesa di convocare quest’Assemblea Costituente è apparsa a molti come uno sfacciato escamotage a cui è ricorso il madurismo per paralizzare le funzioni del Parlamento, sostituendolo con una nuova assemblea composta unicamente da suoi sodali: peraltro, nel Paese fino ad allora non si era mai avvertita alcuna esigenza di riscrivere le norme della ancor giovane carta costituzionale del 1999, definita dagli stessi chavisti come la Costituzione più bella del mondo.

Dopo l’insediamento di questa contestata Assemblea Costituente – la cui legittimità non è stata riconosciuta dalle opposizioni – Maduro ha poi scelto di giocare d’anticipo sulla sua rielezione alla Presidenza del Paese e così, ormai certo di avere assunto il totale controllo politico della nazione, ha convocato delle nuove elezioni presidenziali svoltesi il 21 maggio 2018 e celebrate addirittura con diversi mesi di anticipo rispetto alla naturale scadenza del suo mandato. E dopo che il Tribunale Supremo Elettorale ha bloccato la partecipazione alle elezioni presidenziali di alcuni fra i candidati maggiormente in grado di insidiare Maduro, la sua scontata rielezione ha assunto il sapore di una farsa, visto l’aperto sabotaggio della competizione deciso dai principali partiti di opposizione e vista la conseguente bassissima partecipazione dell’elettorato.

In questo contesto di serio indebolimento dell’immagine e del prestigio internazionale del Paese, il 10 gennaio 2019 Maduro ha infine prestato giuramento entrando ufficialmente nel suo secondo mandato presidenziale.

Il sistema di propaganda acritica filo-governativa. La chiusura fanatica ad ogni contributo critico. L’influenza nefasta degli epigoni del marxismo-leninismo di casa nostra

A dispetto della retorica sbandierata da Chavez e da Maduro, lungo un ventennio di bolivarismo in Venezuela non si è mai propriamente assistito ad alcun reale processo di transizione verso il socialismo. Pure essendo innegabile la volontà del gruppo dirigente venezuelano, quanto meno nella prima fase del periodo chavista, di consentire anche alle fasce più povere della popolazione di godere di una parte minima di dividendi azionari derivanti dalla rendita petrolifera, il processo politico bolivariano in tutti questi anni non ha mai realizzato alcuna trasformazione strutturale dei rapporti sociali tra le classi del Paese, se non nel senso di avere inferto sicuramente un colpo mortale all’intera classe media produttiva a beneficio dell’ampliamento a dismisura del ruolo dello Stato nell’economia: in ogni caso, tutto ciò non ha mai condotto all’instaurazione di un autentico modo di produzione socialista nel Paese di Bolívar.

A questo proposito, appare convincente l’osservazione dell’analista Gianni Petrosillo, secondo cui quello che in America Latina viene chiamato a torto socialismo del XXI secolo nulla avrebbe a che fare col socialismo scientifico di ispirazione marxiana nel mentre tutt’al più si tratterebbe, in buona sostanza, di un mito fondativo comunitario su basi psicologiche, moralistiche e, persino, religiose. Nulla di più distante da Marx e, purtroppo, anche dalla realtà. L’analisi di Petrosillo sulla inconsistenza ideologica e sugli errori teorici alla base del processo politico bolivariano, da lui formulata nel 2013 e cioè prima che il Paese precipitasse nell’attuale spirale perversa di recessione e iper-inflazione, appare per certi versi profetica e pertanto vale la pena di essere qui citata per esteso:

Alla lunga, la superficialità dottrinale e l’incapacità di discernere, seppur a grandi linee, l’andamento del flusso degli avvenimenti storici si pagano, e a caro prezzo. Fatalmente gli effetti benefici dello chavismo rallenteranno. I tentativi di riformare per decreto in senso collettivista l’economia falliranno perché non hanno mai funzionato da nessuna parte (se non per periodi ridotti) e quei postulati sociali calati dall’etere della fantasia dimostreranno di non poter competere con la più flessibile e performante vivacità capitalistica. Se non saranno introdotti dei correttivi si giungerà alla putrefazione e alla precipitazione di tutti gli indici economici, indebolendo il paese, prima finanziariamente e poi politicamente, rendendolo facilmente preda dell’aggressività di gruppi capitalistici, politici e finanziari, interni ed esterni.

Il sottoscritto, occupandosi da tempo con interesse di vicende politiche latino-americane, ha avuto modo di interagire in più occasioni con il sistema di propaganda e informazione con cui il Governo di Caracas ha provato in questi anni – senza riuscirci affatto – a fronteggiare il clima di isolamento politico e di diffuso ostracismo culturale che ne limita pesantemente l’azione e ne offusca l’immagine nello scenario europeo.

Uno degli aspetti che ho trovato maggiormente discutibili all’interno della vasta rete di solidarietà con la revolución bolivariana che il Governo di Caracas, anche attraverso il suo sistema di ambasciate, ha attivato qui in Europa, consiste nella connotazione puramente propagandistica o, sarebbe meglio dire, fideistica, del tipo di adesione che si sollecita, basata cioè su un’adesione incondizionata ed acritica, quasi messianica, all’azione politica del madurismo: alla luce di questa discutibile impostazione di fondo, qui in Europa l’intera area della solidarietà al Governo venezuelano è finita molto presto nelle mani di piccoli gruppi settari e fanatici, tutti appiattiti sull’idea errata di trovare per il tramite dell’esperienza rivoluzionaria venezuelana un’occasione irripetibile per rilanciare a queste latitudini il consunto impianto ideologico di segno vetero marxista-leninista.

Questo tipo di impostazione delle reti di solidarietà alla revolución bolivariana ha fatto molto male al processo politico venezuelano ed all’immagine dello stesso Governo di Caracas in Europa e in Italia, in quanto ha chiaramente contribuito ad accentuarne l’isolamento rispetto alla nostra opinione pubblica, già bombardata da una informazione main-stream che da sempre demonizza il bolivarismo in modo ingiustamente semplicistico e liquidatorio, senza averne nemmeno descritto la reale natura.

È grave che, anziché intendere il processo politico bolivariano come un inedito cantiere e laboratorio di una nuova forma di socialismo all’insegna dell’umanesimo cristiano, del rilancio di una sana idea di patria e del concetto di sovranità dei popoli del sud del mondo – com’era probabilmente nelle intenzioni del “Comandante” Hugo Chavez – i gruppi e gruppuscoli settari di quel poco che residua dell’estrema sinistra vetero marxista-leninista ancora attivi in Europa abbiano stretto il Venezuela bolivariano in un abbraccio asfissiante, realizzando un’inaccettabile distorsione dei suoi principi ispiratori e così impedendo alla radice ogni possibile approccio in termini di apertura e curiosità positiva da parte dei popoli europei.

E così, laddove il socialismo venezuelano avrebbe potuto contaminare anche i popoli europei dei suoi giusti principi ispiratori, tanto necessari in un continente, come il nostro, interamente assoggettato al disegno neo-oligarchico materializzatosi attorno alle istituzioni anti-democratiche della Ue, i gruppuscoli estremistici della sinistra radicale europea hanno impropriamente inteso il chavismo come una semplice riedizione del comunismo novecentesco, riproponendone tutti i clamorosi errori ideologici, con tutto il corredo di illusioni utopistiche e di interpretazioni dogmatiche a ciò connesse.

In Italia, in particolare, tutti gli ambienti in qualche modo legati alla rete di associazioni e movimenti interessati ad esprimere solidarietà politica alla Repubblica Bolivariana del Venezuela ed al Governo di Maduro fanno capo alla figura ingombrante ed onnipresente di Geraldina Colotti, ex componente di primo piano delle vecchie Brigate Rosse – UCC ed oggi attiva soprattutto come scrittrice e giornalista.

La Colotti, dopo essersi rifugiata nei primi anni ’80 del secolo scorso a Parigi ai tempi della nota dottrina Mitterand, ha poi scontato una condanna in carcere in Italia anche per avere concorso alla preparazione dell’assassinio del Generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri, consumatosi nel 1987, un delitto di cui si è sempre parlato pochissimo e che tuttavia meriterebbe una maggiore attenzione giacché presenta dei contorni particolarmente anomali ed inquietanti, tali da sollevare più di qualche dubbio sulla purezza rivoluzionaria di quella fazione del brigatismo attiva sulla scena solo per un brevissimo periodo degli anni ‘80.

Ebbene, noi non siamo in grado di sapere se Nicolas Maduro – il quale mostra di avere dei rapporti stretti e confidenziali con la ex BR Colotti – abbia mai compiuto i necessari approfondimenti sulla ambigua storia delle Brigate Rosse in Italia, sugli effetti devastanti che tale organizzazione – a suo tempo pesantemente infiltrata ed eterodiretta fin nei suoi livelli apicali dai servizi segreti dell’area atlantica – ha avuto per le sorti del movimento operaio del nostro Paese né ci è noto sapere se egli si sia mai preoccupato di leggere il curriculum vitae della stessa Colotti. In ogni caso, appare senz’altro singolare e per certi versi sorprendente che a Caracas qualcuno nei piani alti del Governo abbia deciso di affidare incautamente proprio ad una ex brigatista irriducibile e mai pentita il ruolo di principale portabandiera del socialismo bolivariano in Italia, fidandosi ciecamente dell’aura mitologica di rivoluzionaria perseguitata che la scaltra giornalista pasionaria, nativa di Ventimiglia, ha saputo abilmente costruire attorno alla sua immagine, abusando della grave ingenuità che contraddistingue la stragrande maggioranza dei giovani che compongono la galassia militante attiva nell’area politica della cosiddetta sinistra antagonista.

Qualche tempo fa, la Colotti, dopo avere raccontato per anni le vicende del Venezuela ai lettori de Il Manifesto, è stata allontanata dalla redazione del giornale visto che i suoi articoli erano così sfacciatamente e fideisticamente filo-maduristi da mettere in discussione la stessa credibilità della testata già diretta dalla penna di Luigi Pintor. Ciononostante, ogniqualvolta in Italia si tiene un evento di solidarietà politica col Venezuela, la ex brigatista mostra di rivendicare una sorta di controllo del territorio quasi assoluto e monopolistico sui temi della revoluciòn bolivariana, al punto da essersi imposta come una figura temuta e rispettata da tutti gli attivisti di quell’area politica, come se si trattasse di un capo implacabile a cui non è mai consentito dire di no, pena la messa all’indice da un vasto mondo politico e culturale ruotante attorno ai temi della solidarietà internazionalista con l’America Latina.

L’ex esponente delle Brigate Rosse – UCC Geraldina Colotti in un abbraccio confidenziale con il Presidente del Venezuela Nicolas Maduro

Quale futuro per il Paese di Bolívar e Chavez?

Non sappiamo quale futuro attende il Venezuela nel breve e medio periodo ma possiamo solamente formulare alcune osservazioni di fondo. Dopo 20 anni di gestione chavista e madurista del potere, i risultati dell’economia del Paese parlano un linguaggio implacabile e che non ammette repliche: un fallimento di dimensioni così catastrofiche dell’economia come quello che vive oggi il Venezuela decreta di per sé tanto la evidente sconfitta politica del gruppo dirigente cresciuto all’ombra di Chavez, che non si è dimostrato all’altezza dei propri compiti storici, quanto l’inconsistenza dell’idea di presentare illusoriamente come processo di transizione al socialismo quello che ha vissuto e che ancora sta oggi vivendo il Venezuela.

I meriti dell’azione ispiratrice dei primi anni del chavismo andrebbero ri-valorizzati e recuperati attraverso un ripensamento del socialismo bolivariano fin dalle sue radici dottrinali, che andrebbero rinforzate e vivificate mediante l’avvio di un sano dibattito laico e aperto anche alle critiche, recuperando senz’altro il contributo dei tanti dirigenti del chavismo della prima ora che in questi ultimi anni sono stati emarginati e ingiustamente relegati nell’oblio da Nicolas Maduro e da Diosdado Cabello (quest’ultimo molto influente nell’ambito delle forze armate bolivariane, il cui controllo è oltremodo decisivo per il destino del Paese).

A livello geopolitico, appare innegabile la funzione del Venezuela quale odierno attore decisivo per la possibile affermazione di un nuovo mondo multipolare e infatti attorno alla tenuta dell’indipendenza del Paese da eventuali aggressioni militari esterne si gioca gran parte del suo futuro, con la consapevolezza che purtroppo, in mancanza di rapide soluzioni per il miglioramento dell’economia interna, l’ampio malessere sociale presente nel popolo potrebbe ben presto dare luogo a fenomeni di grave instabilità, rischiando di fare imboccare alla nazione dei sentieri dagli esiti del tutto imprevedibili.

Resta chiaro che, se il Venezuela dovesse prossimamente subire delle aggressioni militari da parte degli USA o di Paesi vicini governati dall’ultradestra come la Colombia o il Brasile, occorrerà senza alcun dubbio protendersi a difesa della sacrosanta intangibilità dei suoi confini e della sua legittima sovranità.

Ma anche per tali ragioni, se si vuole davvero aiutare il Paese ad uscire dall’isolamento internazionale e dalla drammatica crisi politica e umanitaria in cui esso è oggi avvinto, il compito di tutti gli amici genuini e disinteressati del Venezuela bolivariano dovrebbe essere preliminarmente quello di cessare di fornire un sostegno acritico e fideistico al Governo di Maduro e, allo stesso tempo, di provare ad avviare una discussione ampia e onesta nel campo chavista al fine di mettere a fuoco tutti gli aspetti nei quali il processo politico bolivariano ha palesato i suoi limiti, onde avviare al più presto quegli interventi indifferibili e vitali che il popolo venezuelano si attende e di cui oggi non può più fare a meno.

Che Dio salvi la Repubblica Bolivariana del Venezuela!