La morte dell’accademia italiana
di DAVIDE VISIGALLI (FSI Genova)
Tutti sappiamo dei tagli che affliggono il settore pubblico. L’università non è immune a questo processo che ormai possiamo definire storico. Anzi, essendo un settore quasi invisibile all’opinione pubblica, i vari governi non si sono tenuti sopra una soglia di decenza e hanno tagliato in maniera continua e quasi assoluta.
Negli anni l’FFO (il fondo ordinario statale con il quale vengono finanziate le università) è stato tagliato di oltre il 20% e i finanziamenti alla ricerca tramite bandi competitivi (altro cancro del settore) sono calati drasticamente, in alcuni anni addirittura non sono stati erogati.
In questo contesto, i tagli si sono abbattuti sulle nuove assunzioni, facendo perdere migliaia di posti da ricercatore e azzerando il turn-over nel mentre si aumentava l’uso di contratti precari esenti da tasse, arrivati oggi a superare il 50% della forza lavoro presente in accademia.
Ad oggi, a fronte di poco più di 50.000 professori ci sono 8.000 nuovi ricercatori, per di più soltanto a tempo determinato grazie alla legge Gelmini. Non parliamo del personale non di dirigenza che praticamente è già sparito. Cosa sarà l’università tra vent’anni non mi sembra difficile immaginarlo.
Ovviamente queste politiche di “avanzo primario” hanno avuto un risvolto nella società lavorativa. Si pensi alla medicina, settore di prestigio e a piena occupazione, dove oggi si contrappone ad un esiguo numero di infermieri e medici negli ospedali, non solo il numero chiuso per accedere alla formazione, ma una mancata immissione in ruolo delle persone già laureate, che iniziano a indirizzarsi verso altri lavori e competenze.
Per farvi capire l’entità del fenomeno, quest’anno hanno partecipato all’esame di ingresso per le varie specializzazioni mediche, obbligatorie per esercitare nel pubblico, 16.000 laureati con 7.000 posti disponibili. Gli altri si aggiungeranno alla gara dell’anno prossimo. Se va male per i medici… figurarsi per gli altri.
Ultimo dato che sostiene la mia tesi è il numero di laureati rapportato al loro voto di laurea.
Su 88.000 nuovi laureati il 49% esce con 110 e lode, mentre quasi il 90% sopra al 106. Si parla tanto di eccellenza e poi si agisce esattamente al contrario nella formazione universitaria. La prossima classe dirigente. I prossimi depressi, che con una laurea in mano non riusciranno nemmeno a raggiungere il reddito dei loro genitori, nessuno dei quali laureato.
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