Più che un anniversario da festeggiare, quello di oggi è una sorta di trigesimo: lo Statuto dei Lavoratori non c’è più e questa considerazione va ben al di là dell’attuale vigenza giuridica della legge n. 300 del 20 maggio 1970. Correvano gli anni ’50 e Giuseppe Di Vittorio già comprendeva quanto fosse indispensabile una legge per la tutela della persona sul luogo di lavoro: una tutela che andasse oltre la protezione individuale delle prerogative del lavoratore. Lo scopo era quello di costruire un ambiente sano, tutelato, garantito, che consentisse all’individuo di potersi esprimere in piena libertà. Quello che Di Vittorio desiderava era cementare il rapporto tra lavoro e democrazia che all’art. 1 è scolpito in cima all’altare della nostra Carta Costituzionale.

Giuseppe Di Vittorio, quel cerignolano autentico e passionale, lo sapeva benissimo ciò che è valido ancora oggi: nessun uomo sarà davvero libero di essere uomo, nessuna donna sarà davvero libera di essere una donna, nessuna persona sarà davvero libera di esprimere il proprio orientamento sessuale, la propria religione, le proprie convinzioni civili e politiche, senza tutele reali che possano garantirli dall’ingiustizia ritorsiva di qualche malintenzionato.

Nel corso degli anni lo Statuto ha subito molti attacchi e non solo lo Statuto: complessivamente la legislazione in materia di lavoro è stata saccheggiata dai servi del liberismo capitalistico al soldo dei potenti. Basti pensare alla proliferazione dei contratti precari, alla compressione dei diritti sui luoghi di lavoro, ai salari da fame, agli orari interminabili e parzialmente e mal pagati, alla scarsa sicurezza sui luoghi di lavoro che registra oggi un aumento incivile dei morti sul lavoro e chi più ne ha più ne metta.

Questo schifo, perché differentemente non potrebbe essere definito, è stato convintamente sostenuto dalla finta retorica del merito, dalla finta narrazione del rapporto tra diritti e occupazione, dal mendace sogno di miliardi e miliardi di euro sul confine, pronti a giungere in Italia se solo fossimo stati generosi al punto da sacrificare la nostra dignità nelle fabbriche e nelle aziende.

La verità era un’altra e la conoscevano benissimo quegli sciacalli: la compressione dei diritti era necessaria a sostenere un nuovo modello di società che altrimenti non sarebbe sopravvissuto, un modello caratterizzato dalle tutele riservate ai più forti e ai più ingordi, a scapito dei più deboli e dei più emarginati.

E prima di venirci a raccontare frignando di essersi battuti per i braccianti immigrati delle campagne di Di Vittorio (scandalo!), presentandoci un condono quasi fosse una rivoluzione civile, questi signori hanno picconato lo Statuto dei Lavoratori.

Nel 1970 lo Statuto prevedeva il divieto di controllo a distanza dell’attività del lavoratore: si ritenne fosse ingiusto, oltre che sostanzialmente nocivo, contemplare la possibilità che il datore di lavoro potesse scrutare attimo dopo attimo l’attività del proprio dipendente. È il rapporto fiduciario, dopotutto e per legge, alla base dell’istaurazione di un rapporto di lavoro subordinato. Così è stato fino al 2015, quando con il Jobs Act di Renzi, Poletti e Bellanova si è ampiamente allentata la maglia di questo divieto e quello che ne è scaturito (tra braccialetti gps e microchip geo localizzanti) è ampiamente noto.

Nel 1970 lo Statuto prevedeva il divieto di demansionamento del lavoratore: si ritenne che la carriera dovesse essere concepita in ottica di crescita e progressione. Il lavoratore non poteva essere adibito a mansioni inferiori a quelle via via acquisite e non poteva mai incorrere in una riduzione della retribuzione. Cosi avrebbe dovuto essere e al lavoratore non era neppure riservato il diritto di contrattare condizioni peggiorative, proprio perché tale contrattazione avrebbe potuto essere alterata dalla sua fisiologica debolezza al confronto col datore di lavoro. Così è stato fino al 2015, quando con il Jobs Act di Renzi, Poletti e Bellanova si è introdotta una normativa persino più permissiva di quella prevista dal Codice Civile del 1942: oggi il datore di lavoro ha il diritto di adibire il lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle acquisite e, mediante un accordo, quest’ultimo è in grado di rinunciare persino a pezzi importanti della propria retribuzione.

Ma la pupilla di Renzi non è stata la prima a fare la commedia in conferenza stampa: un’altra grande performer l’aveva preceduta, la commentatrice preferita di Floris, la cara Elsa Fornero.

Nel 1970 lo Statuto prevedeva il diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo: nessun datore di lavoro doveva disporre arbitrariamente di un bene tanto essenziale per la persona, del suo lavoro. Se un giudice avesse accertato l’illegittimità di un licenziamento, avrebbe potuto e dovuto restituire il posto al lavoratore. Così è stato fino al 2012, quando con la Legge Fornero di Elsa e Mario Monti, altro prestigioso opinionista televisivo, si è drasticamente ridimensionato questo diritto fino quasi ad annullarlo e le cose sono peggiorate nel 2015 col Jobs Act di Renzi, Poletti e Bellanova. Oggi sono rarissimi i casi in cui un lavoratore ha diritto di tornare in azienda o in fabbrica in caso di licenziamento illegittimo: nella stragrande maggioranza delle circostanze dovrà accontentarsi di un mero indennizzo, peraltro ben più contenuto del risarcimento del danno previsto dall’art. 18 dello Statuto del ’70.

E sarebbero questi signori i difensori del popolo italiano? Sarebbero questi personaggi a rappresentare la parte responsabile e l’unità nazionale di cui il Paese ha bisogno? Sarebbero questi individui a dover tutelare gli ultimi, gli emarginati, i più deboli della nostra società?

Non possiamo smettere di lottare, ognuno di noi nel suo piccolo, prima di tutto ricordando: ricordando Giuseppe Di Vittorio, un grande cerignolano che seppe rendere giustizia e onore ai morti delle lotte del lavoro, e a chi venne degnamente dopo di lui e seppe condurne la memoria per mano fino allo Statuto dei Lavoratori del 1970; ricordando poi, trasformando legittimamente la nostalgia in odio, chi ha osato distruggere quel sogno, chi ha avuto l’impudenza di sputare sulle tombe degli italiani che seppero fare della lotta per la giustizia del lavoro una ragione di vita, chi ha sorretto la meschina ipocrisia di qualificare certe conquiste come una roba del secolo scorso.

Fonte: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/italia/le-vostre-finte-lacrime-hanno-distrutto-lo-statuto/