Dopo la catastrofe: come ricostruire la scuola pubblica
Un brano tratto da un lungo e ancora attualissimo scritto di Marino Badiale (ARS Liguria) uscito su “Appello al popolo” nell’ottobre del 2011.
Occorre rendersi conto che un fenomeno di tale rilevanza storica come l’annientamento della scuola italiana non può essere l’effetto di una causa risibile come la miseria intellettuale e politica di personaggi del calibro di Luigi Berlinguer o della signora Moratti. Questi personaggi, assieme al resto del miserabile ceto politico e giornalistico di cui essi sono perfetti rappresentanti, possono agire indisturbati solo perché, evidentemente, ciò che fanno esprime alcune tendenze profonde del nostro tempo. Occorre cioè rendersi conto che la negazione del ruolo del pensiero e della cultura è oggi una tendenza spontanea e fortissima, e che lottare per difendere la scuola come luogo in cui si educano i giovani attraverso la loro introduzione nel mondo del pensiero e della cultura, significa lottare contro aspetti strutturali di questa fase storica. Significa cioè mettersi volontariamente e lucidamente in una posizione “conservatrice” e “anacronistica”. E’ questa lucidità che sembra mancare all’insieme dei docenti italiani, ed è questa mancanza di lucidità a rendere particolarmente difficile la lotta contro il degrado.
Per combattere contro l’annientamento della scuola italiana, che si traduce nel degrado della figura del docente, occorre naturalmente combattere l’aspetto centrale di tale annientamento. La negazione della scuola è conseguenza logica della negazione della centralità delle tradizionali “materie di insegnamento”: l’italiano, la matematica, la filosofia, la fisica, la storia, la geografia e poche altre. Per combattere il degrado occorre allora rimettere al centro proprio le tradizionali “materie”: occorre avere come punto fermo e inderogabile l’assioma che la scuola è, essenzialmente, il luogo dove si insegnano italiano, matematica, filosofia, fisica, storia, geografia e poche altre materie fondamentali. Con questo intendiamo dire che l’insegnamento delle materie tradizionali deve costituire l’asse culturale di riferimento della scuola italiana. Questo ovviamente non esclude che nelle varie scuole si insegnino anche altre cose, a seconda del tipo di istituto. Ma deve essere chiaro che esiste un fondamento culturale omogeneo per tutta la scuola italiana, e che esso è rappresentato da poche materie fondamentali.
Ogni discorso sulla scuola deve partire da qui. Da qui si può cominciare a parlare delle finalità socio-educative della scuola. E per dire qualcosa anche su questo tema, cominciamo subito a dedurre, dalla centralità dell’insegnamento delle “materie”, due fondamentali valori educativi della scuola. La scuola, grazie all’insegnamento delle “materie”, fornisce i filtri culturali per dipanare l’immensa massa di “informazioni” alle quali i giovani, come tutti, sono esposti. Inoltre insegna il valore del duro lavoro dello studio. Per quanto riguarda il primo punto, è evidente che oggi non si tratta di offrire ai giovani stimoli e informazioni: il nostro mondo è un mondo di persone iperstimolate sul piano mediatico e spettacolare e rimpinzate di informazioni. Un mondo di esposizione continua alla televisione, a cui si aggiunge lo spazio immenso di internet. In questa situazione il punto cruciale, ciò che distingue gli individui attivi dai recettori passivi e manipolati, è la capacità di filtrare le informazioni, di selezionare, di rifiutarsi alla bulimia informativa e di scegliere le informazioni importanti e significative. Ma è appunto la lezione di organizzazione concettuale fornita da uno studio serio e approfondito di materie come la lingua italiana, la storia, una disciplina scientifica, a fornire questa capacità di selezione critica delle informazioni. Allo stesso modo, il fatto di capire che solo attraverso un duro e serio lavoro di studio si può arrivare a risultati di questo tipo, o a qualsiasi tipo di risultato, è un altro fondamentale valore educativo dell’insegnamento disciplinare.
Queste osservazioni rappresentano però solo il punto di partenza. Il passaggio successivo è la riacquisizione da parte dei docenti dell’autorevolezza perduta. Il docente deve tornare ad essere una figura che ha autorità e stima sociale, e ce l’ha appunto in quanto è colui o colei che insegna quelle particolari materie. Questo è naturalmente il passaggio più difficile. Come dicevamo sopra, l’annientamento della scuola italiana è un fatto storico di vasta portata, possibile solo grazie al fatto che la negazione della cultura e del pensiero sono diventati senso comune. E’ dunque difficile riacquistare stima sociale in una società che nega stima proprio alla cultura e al pensiero, e quindi alla scuola e a chi ci lavora. Ma questa difficoltà, già grave di per sé, diventa insormontabile se i docenti introiettano la mancanza di stima che sentono nell’intero ambiente sociale. Vale a dire che il primo passo i docenti devono farlo su di sé. Il primo passo per combattere il degrado della scuola e dei docenti è la riconquista dell’autostima da parte dei docenti stessi. E poiché il docente, come s’è detto, è colui o colei che insegna quelle ”materie”, occorre che i docenti siano, essi per primi, convinti della centralità e dell’importanza di quello che fanno, vale a dire di quello che insegnano. Occorre che i docenti siano, essi per primi, convinti che insegnare Dante e Galileo, Platone e Manzoni, Newton e Petrarca sia un compito fondamentale e centrale; che un mondo in cui la gente impara a scuola la tradizione culturale cui quei nomi, e gli altri simili, fanno riferimento, è un mondo migliore di quello in cui questo non succede. Che insegnare Leopardi e Shakespeare significa offrire ai ragazzi una opportunità inestimabile: l’opportunità di costruirsi un’identità personale un po’ più sensata, un po’ più umana di quella che avrebbero senza Leopardi o Shakespeare. Ma non basta che i docenti credano questo. Devono saperlo. E sapere è più di credere.
Il docente sa che quanto abbiamo appena detto è vero solo se ne ha provato su se stesso la verità. Vale a dire, solo se ha nel proprio vissuto la gioia, l’emozione, la soddisfazione profonda di capire un teorema o una poesia, di comprendere realmente una dinamica storica o una cultura diversa dalla propria. In definitiva, i docenti possono recuperare stima e autorevolezza solo se tornano ad essere intellettuali veri, che credono nel valore della cultura che trasmettono perché quel valore lo conoscono per esperienza personale e pratica quotidiana. E’ chiaro che su questo punto ci deve essere una profonda autocritica dei docenti italiani. Essi per troppi anni hanno accettato un patto scellerato che consisteva nello scambio fra bassi salari e scarso impegno personale, anche sul piano culturale. Questo deve finire. Non che si possa pretendere dall’oggi al domani un radicale cambiamento delle persone. Ma si può e si deve pretendere un radicale cambiamento dei valori. Deve essere chiaro che la scuola italiana può essere ricostruita dalla macerie, e il degrado dei docenti può essere arrestato, solo se si assume come norma di cosa sia un docente il modello che abbiamo descritto. Solo con questa radicale assunzione di responsabilità, con questa severa autocritica e con questa scelta di un modello normativo di rigore culturale, i docenti italiani potranno finamente risollevare la testa.
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