Iraq e Siria: la guerra contro il Califfato sarà ancora lunga
di LOOKOUT NEWS (Alfredo Mantici)
A Mosul si avvicina la battaglia decisiva per il controllo della parte ovest della città in mano a ISIS. In Siria la mediazione di Mosca porta per la prima volta alla formazione di un fronte comune contro i gruppi jihadisti
Quando nell’estate del 2014 le truppe del Califfato occuparono Mosul dopo una vergognosa ritirata dei soldati dell’esercito iracheno, i miliziani dell’ISIS entrarono in città sparando indiscriminatamente a tutti i civili che incontravano. Le immagini allora diffuse dai siti jihadisti hanno mostrato decine di barbare uccisioni di passanti. Il giorno dopo l’occupazione di quella che fino a pochi anni fa era la più ricca città dell’Iraq, i soldati del Califfo Abu Bakr Baghdadi trasferirono con dei camion nei campi alla periferia della città oltre 2.500 militari iracheni presi prigionieri a Mosul. I soldati vennero sterminati e poi seppelliti in gigantesche fosse comuni.
Allora l’ISIS sembrava invincibile e prossimo a prendere anche la capitale Baghdad, dopo aver assunto il controllo di tutto il “Triangolo sunnita” del nord dell’Iraq. Dal 17 ottobre 2016 le cose a Mosul, seppur lentamente, sono però iniziate a cambiare. Dopo due anni di addestramento intensivo, al quale hanno collaborato anche istruttori italiani, le forze irachene con il sostegno di team delle forze speciali e dei caccia americani hanno lanciato un’offensiva per riconquistare la città. All’operazione hanno preso parte anche i curdi i cui leader, sempre sospettosi nei confronti del governo di Baghdad, hanno accettato di inviare i loro combattenti a combattere al fianco delle truppe regolari irachene. Mentre le milizie sciite sostenute dall’Iran, odiate dalla popolazione sunnita, hanno accettato di astenersi dal partecipare all’offensiva.
Dopo tre mesi di violenti combattimenti strada per strada, durante i quali ISIS ha usato almeno 3.000 autobomba guidate da autisti suicidi votati al martirio, le truppe di Baghdad affermano di aver completato nei giorni scorsi l’occupazione di tutta la parte orientale di Mosul e dei cinque ponti sul fiume Tigri che collegano ai quartieri occidentali, ancora nelle mani del Califfato. I ponti erano stati bombardati dagli americani per ostacolare i rifornimenti destinati ai miliziani jihadisti asserragliati nella parte orientale della città, e ora non possono essere riparati per essere utilizzati nell’assalto finale ai quartieri dell’ovest dove vivono ancora circa 550.000 civili a maggioranza sunniti e che in larga parte, a detta delle autorità irachene, appoggiano il Califfato. Anche se giungono notizie contrastanti (alcuni miliziani sarebbero ancora asserragliati in alcuni edifici), la battaglia per l’est della città è vinta ma quella decisiva si svolgerà a ovest e deve ancora cominciare.
Al momento le operazioni sono state interrotte per permettere ai militari iracheni di fare rifornimenti e rimpolpare i ranghi dopo i primi tre mesi di durissima lotta che hanno visto le unità di élite della Counter Terroism Force perdere, tra morti e feriti, fino al 50% delle forze schierate in campo. Durante una conferenza stampa al Pentagono, il portavoce della Combined Joint Task Force, il colonnello John Dorrian, nel commentare lo scorso primo febbraio la conclusione della prima fase dell’operazione per la liberazione di Mosul ha affermato che nella battaglia per la parte orientale della città sono state inflitte all’ISIS «perdite tremende» e che sono stati eliminati 18 dei capi militari del Califfato ma anche che occupare rapidamente i quartieri occidentali «non sarà semplice». «Il terreno nella parte occidentale di Mosul è impervio – ha spiegato -. Le strade strette e la densità delle abitazioni facilitano il combattimento ravvicinato» e, quindi, favoriscono i miliziani jihadisti rendendo difficile per le forze della coalizione usare armi pesanti e forza aerea senza far pagare prezzi inaccettabili in termini di vite umane ai civili intrappolati in città.
Anche l’attraversamento del Tigri sarà un problema. Le truppe governative dovranno costruire ponti di fortuna o tentare di attraversarlo usando delle imbarcazioni, il tutto sotto il tiro costante dei cecchini del Califfato. Insomma, la liberazione completa di Mosul appare tutt’altro che a portata di mano e, secondo fonti militari irachene, difficilmente sarà portata a termine prima della fine della prossima estate.
In questo panorama nel quale le luci predominano sulle ombre, c’è anche spazio per qualche nota positiva. Nei quartieri orientali gli abitanti, sollevati dall’assenza di milizie sciite accanto a quelle governative, stanno tornando a una vita normale come gli unici inquilini superstiti dello zoo di Mosul, un leone e un orso miracolosamente scampati a tre mesi di bombardamenti.
Il punto di situazione in Siria
Dopo i colloqui di Astana, la capitale del Kazakhstan dove il 23 e 24 gennaio si sono incontrati rappresentanti di Russia, Turchia e Iran insieme a una delegazione di rappresentanti delle forze ribelli moderate e di inviati del governo di Damasco, la situazione militare sul terreno in Siria si sta facendo critica per i gruppi jihadisti. Le milizie del Califfato e di Jabhat Fateh Al Sham (ex Jabhat Al Nusra), escluse dalla tregua, per la prima volta sono finite nel mirino di attacchi coordinati effettuati da truppe turche, truppe di Damasco e da caccia russi e americani.
Il 31 gennaio un jet americano ha bombardato a Idlib il Carlton Hotel, usato come caserma e quartier generale da Jabath Fateh Al Fateh. Lo stesso giorno, le forze di Assad hanno stroncato un attacco lanciato dall’ISIS contro un aeroporto militare a Kureiwes a est di Aleppo, lasciando sul terreno 30 morti. Il primo febbraio le forze governative hanno rotto l’assedio dello Stato Islamico alla base aerea di Deir Ezzor, creando così dopo mesi di assedio un collegamento sicuro con la base militare di Panorama.
Intanto le milizie curde peshmerga dell’YPG (Unità di Protezione del Popolo), rifornite di armi pesanti e di mezzi blindati dagli americani, hanno annunciato il 2 febbraio l’intenzione di partecipare all’operazione delle forze armate turche “Scudo sull’Eufrate”, nel tentativo di liberare Raqqa, la capitale del Califfato in Siria, dove si trovano ancora almeno 20.000 foreign fighters jihadisti e dove sarebbe rifugiato il Califfo Al Baghdadi.
Si tratta di un’iniziativa più importante sul piano politico che militare, perché i curdi finora erano visti come il fumo negli occhi dalle autorità di Ankara. Uno sviluppo positivo nel caos siriano reso possibile proprio dai colloqui di Astana, dove i ribelli anti-Assad – anche se obtorto collo – hanno accettato di deporre momentaneamente le armi mentre tutte le altre forze in campo si coalizzano in un’offensiva coordinata contro i jihadisti. Un successo indubbio della diplomazia russa che può segnare l’inizio della fine dell’avventura di Al Baghdadi in Siria.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/iraq-mosul-siria-isis-combattimenti-mappe/
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