La Tunisia è stata inserita nella lista nera dei Paesi considerati ad alto rischio per il finanziamento al terrorismo e per riciclaggio di denaro. La decisione presa dall’Europarlamento con 357 voti a sostegno della mozione, 283 voti contrari e 26 astensioni, riflette le differenti vedute dei parlamentari di Bruxelles oltre ad aprire una serie di interrogativi sulla reale efficacia delle politiche che gli Stati dell’UE adottano nei confronti di Paesi considerati partner strategici quale è sempre stata definita la Tunisia.

Le motivazioni a favore della mozione rimandano alle problematiche emerse negli anni seguiti alla promulgazione della nuova Costituzione tunisina, avvenuta nel 2014 a tre anni di distanza dalla fine del regime autocratico di Zine El Abdine Ben Ali. Negli anni immediatamente successivi la Tunisia è stata bersaglio di due efferati attentati terroristici. Il 18 marzo del 2015 un commando di terroristi affiliati a ISIS ha attaccato il museo del Bardo, situato a fianco del parlamento, uccidendo 22 persone. Pochi mesi dopo, il 26 giugno, altre 38 persone hanno perso la vita in un attentato compiuto su una spiaggia della località turistica di Port El Kantaoui, alle porte della città di Sousse, e rivendicato sempre da ISIS.

Contemporaneamente, le organizzazioni terroristiche Ansar Al Sharia e Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) hanno continuato a fare propaganda nel Paese puntando soprattutto a fare breccia nei settori più poveri della società tunisina e a radicalizzare in particolare i più giovani. Ciò ha dimostrato che la minaccia terroristica in Tunisia è impellente e attecchisce soprattutto nelle aree dell’entroterra, dove i problemi economici e le disparità sociali sono maggiori e il messaggio progressista della nuova Costituzione più debole.

Il ruolo di Ennahda

In questi anni a ritagliarsi un importante ruolo nel tentativo di far prevalere una nuova concezione dell’Islam è stato Ennahda, il Movimento della Rinascita. Il suo più importante ispiratore, Rashid Ghannushi, ha infatti affermato la necessità abbandonare l’idea di un “islam politico” e di abbracciare piuttosto l’idea di una democrazia islamica. La Tunisia è stata così definita un Paese “islamicamente laico”, vale a dire un Paese in cui la religione musulmana diviene un elemento che riguarda la sola sfera privata e non quella pubblica.

In un’intervista rilasciata qualche anno fa a L’Espresso, Ghannushi ha dichiarato che «gli imam in moschea non possono più essere dei responsabili politici. L’attività nelle moschee va controllata e chi vuole diffondere il messaggio religioso si dovrà staccare dal partito e fondare associazioni indipendenti che si occupino solo del messaggio religioso».

Le risposte del governo

A seguito degli attentati terroristici del 2015, come sottolineato anche dal centro di ricerca ITSTIME (Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies), il presidente della Repubblica Tunisina Beiji Caid Essebsi nel dichiarare lo stato di emergenza non ha solo concesso poteri speciali alla polizia e all’esercito ma ha anche promosso una serie di campagne di sensibilizzazione per arginare l’ondata del terrorismo e trasmettere all’estero un’immagine il più possibile positiva del Paese. Tra queste le più importanti sono state intitolate “I will come to Tunisia this summer” e “Tunisia I feel like”. Queste iniziative, nel complesso, hanno dimostrato gli sforzi fatti dal governo per ripristinare la fiducia della comunità internazionale nei confronti della Tunisia circa la situazione della sua sicurezza interna e la funzionalità delle sue infrastrutture strategiche.

Le conseguenze della decisione dell’UE

Con l’adozione della posizione comune 2001/931/PESC, l’Unione Europea ha individuato i criteri per l’inserimento di persone, gruppi e entità nell’elenco dei terroristi e definito le azioni che costituiscono atti terroristici e le misure restrittive da applicare. Il Consiglio e il Parlamento europeo, ai sensi del regolamento n. 2580/2001, hanno previsto il congelamento dei capitali e delle attività finanziarie dei Paesi accusati di essere finanziatori del terrorismo. Successivamente, nel dicembre del 2017, è stato raggiunto un accordo politico sulla modifica della direttiva antiriciclaggio 2015/849. Con questo passaggio sono state previste nuove norme volte a evitare che il sistema finanziario di un Paese sia usato per sostenere attività criminali e rafforzate le leggi sulla trasparenza per impedire l’occultamento di fondi su vasta scala.

La decisione di includere la Tunisia nella lista nera dei Paesi ritenuti ad alto rischio di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo ha spaccato non solo l’Europarlamento ma anche, più in generale, la comunità internazionale. Ci sono numeri inequivocabili, come l’altissimo numero di foreign fighters tunisini che hanno lasciato il Paese per andare a combattere al servizio di Al Qaeda o ISIS in Nord Africa e Medio Oriente. La preoccupazione espressa da molti Stati è però che questo passaggio dell’UE possa avere, già nel breve periodo, delle ripercussioni negative sull’intero processo di democratizzazione avviato nel post-rivoluzione del 2011 aggravando l’instabilità dell’intera area nordafricana.

Agli occhi del governo tunisino questa decisione non può pertanto che apparire immeritata alla luce degli sforzi compiuti sia per migliorare l’assetto politico-sociale del Paese che per contenere i danni causati dall’espansione del fenomeno terroristico.

D’altronde, se le decisioni prese a Bruxelles sono queste, come si può puoi parlare di promozione di un «buon vicinato» con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo?