[Il ritratto] La Libia di Haftar, il generalissimo “americano” traditore di Gheddafi che piace anche ai russi
di TISCALI.IT (Alberto Negri)
Se la Russia fa il doppio gioco, gli Stati Uniti ne fanno uno triplo. Ufficialmente riconoscono il governo di Tripoli e hanno dato all’Italia via libera per la conferenza di Palermo. Ma in realtà preferiscono un ruolo defilato: alla conferenza hanno mandato soltanto un sottosegretario. Non puntano molto su Tripoli e i Fratelli Musulmani ma piuttosto su Haftar, vicino al Cairo e Riad, alleati storici di Washington. Allo stesso tempo però tengono d’occhio il generale per i suoi legami con Mosca e si servono della Francia per controbilanciare il ruolo dei russi
Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Con questo dilemma alla Nanni Moretti, con cui ha tenuto in sospeso tutti fino all’ultimo il generale Haftar si è guadagnato in questi giorni più titoli di giornali e tv di Trump e Putin. Gli americani il loro uomo in Libia in fondo ce l’hanno già da tempo, anche se è alleato della Russia, dei francesi e dell’Egitto del generale Al Sisi. Khalifa Haftar è la vera star del vertice sulla Libia. Ma Haftar è cittadino americano da 20 anni e ha vissuto anche a Langley, in Virginia, sede della Cia. In poche parole l’uomo forte della Cirenaica è “l’amico americano”, anche se lui in tutti i modi cerca di attenuare questi legami.
Ma il passato parla chiaro. Gli Stati Uniti sono in contatto da decenni con il generale e con lui avevano pianificato già negli anni Ottanta il rovesciamento di Gheddafi che il presidente Ronald Reagan aveva bombardato nel 1986 senza riuscire a farlo fuori. I contatti con i russi derivano invece dagli studi di tattica militare in Unione Sovietica: quando tornò da Mosca fu tra i primi giovani ufficiali a schierarsi con Muammar Gheddafi nel golpe che lo portò al potere nel 1969 rovesciando re Idris. Quattro anni dopo, il nome di Khalifa Haftar compare in uno dei capitoli più importanti del Novecento, la guerra dello Yom Kippur. Haftar guidò le truppe libiche in appoggio alla coalizione di paesi arabi che tentarono di respingere la controffensiva israeliana nel Sinai, dopo l’attacco a sorpresa di Egitto e Siria nell’ottobre del 1973.
Con il generale egiziano Abdel Fattah Al Sisi, sostenuto dai soldi dell’Arabia Saudita, Haftar è il più fiero avversario dei Fratelli Musulmani molto ben rappresentati nel governo di Tripoli di Sarraj, sostenuto dall’Italia. La sostanza di questa vicenda libica è che Haftar ha fatto fuori islamisti radicali e jihadisti, cioè ha vinto almeno in Cirenaica la sua battaglia, mentre i Fratelli Musulmani di Tripoli, appoggiati dal Qatar, altro nemico dei sauditi, sono assai in ribasso nel mondo musulmano e nella Sponda Sud del Mediterraneo.
Il generale Haftar si propone di fare piazza pulita degli islamisti come vorrebbe anche Mosca _ grande protettrice di Bashar Assad in Siria _ che in Libia gioca una doppia partita. Da una parte i russi appoggiano Haftar e gli egiziani, che corteggiano per avere nuove basi militari, dall’altra Putin sostiene anche gli sforzi di mediazione dell’Italia per tenere a bada la Francia che è un concorrente più pericoloso di Roma.
Se la Russia fa il doppio gioco, gli Stati Uniti ne fanno uno triplo. Ufficialmente riconoscono il governo di Tripoli e hanno dato all’Italia via libera per la conferenza di Palermo. Ma in realtà preferiscono un ruolo defilato: alla conferenza hanno mandato soltanto un sottosegretario. Non puntano molto su Tripoli e i Fratelli Musulmani ma piuttosto su Haftar, vicino al Cairo e Riad, alleati storici di Washington. Allo stesso tempo però tengono d’occhio il generale per i suoi legami con Mosca e si servono della Francia per controbilanciare il ruolo dei russi.
Gli americani misero gli occhi sul generale Haftar già negli anni Ottanta. Nel conflitto tra Ciad e Libia Haftar era uno dei comandanti dell’esercito del regime di Gheddafi. Nel 1987, durante la guerra contro il Ciad, il generale fu preso prigioniero nel corso della battaglia di Wadi al-Dum.
In prigionia formò un contingente di circa 2mila prigionieri libici, la “Forza Haftar”, equipaggiata dagli Stati Uniti, col compito di rovesciare il regime libico. Fu rilasciato nel 1990 grazie ai buoni uffici degli americani e trascorse quasi 20 anni negli Usa, ottenendo anche la cittadinanza di quel Paese. Nel 1993, mentre si trovava nella sua residenza in Virginia, fu condannato in patria, in contumacia, alla pena capitale per “crimini contro la Jamahīriyya libica”. Alcune fonti parlano, senza che si possano ovviamente fornire prove credibili, dei suoi legami con la Central Intelligence Agency, comunque smentite dallo stesso generale.
Ma proprio nel 1996 la Cia tenta un colpo di stato ai danni del Colonnello libico in cui Haftar avrebbe dovuto avere un ruolo: il piano andò in fumo nonostante l’adesione del generale. Nel 2011 torna in patria per sostenere attivamente l’insurrezione contro il regime di Gheddafi ma è nel febbraio del 2014 che tenta il suo primo colpo di mano quando appare in televisione per annunciare che il Governo libico era stato sospeso. Non gli viene dato molto credito ma solo pochi mesi più tardi lancia l’operazione Karama, ossia “Dignità” sferrando un attacco contro le milizie fondamentaliste a Bengasi. Da lì inizia la sua ascesa circondato, da vero Raìs, da un gruppo ristretto di collaboratori, tra cui due dei suoi figli, Saddam e Khalid, che comandano due brigate, mentre gli altri suoi figli, Uqba e Sadiq, lo consigliano in materia economica e diplomatica.
Nell’aprile 2018 alcuni media libici lo avevano dato per morto e invece il generale, capo dell’esercito di Tobruk, era vivo ed è tornato in Libia minacciando in settembre di metter Tripoli sotto assedio. Fino all’ultimo, prima del suo arrivo a Palermo, ha tenuto sulla corda tutti, un vero amante dei colpi di scena e dei golpe.
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