Blanchard: il debito pubblico non è poi così male
di CARLO CLERICETTI
“Scoperta dell’acqua calda” è un modo di dire per definire qualcosa di scontato, e dunque una scoperta di nessun valore. E invece può succedere a volte che ammettere l’ovvio possa avere quasi il valore di una rivoluzione: dipende da chi sia il protagonista e da quale sia il contesto in cui questo avviene.
Nel nostro caso il protagonista è di assoluto rilievo. Si tratta di Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario e soprattutto autore di quello che è forse il più diffuso manuale di macroeconomia, su cui si formano migliaia di studenti. L’impostazione è quella mainstream, ossia della teoria dominante nell’ultimo mezzo secolo (quella neoclassica) in base alla quale vengono dunque formati i futuri economisti. Tanto che in Italia un altro economista, Emiliano Brancaccio, che fa parte della minoranza critica con questa impostazione, ha scritto una sorta di contro-manuale (l’”Anti-Blanchard”), invitando i docenti ad affiancarlo all’altro in modo da offrire agli studenti anche una interpretazione alternativa di una serie di punti chiave.
Blanchard ha una grande qualità, purtroppo piuttosto rara tra gli economisti: non è dogmatico. Di fronte alle “prove della realtà”, cioè ai risultati dell’applicazione della teoria alla politica economica, è capace di prendere atto e di ammettere: “Ho sbagliato”. L’ha fatto per esempio, suscitando molto clamore visto che era ancora nel ruolo di capo economista del Fmi, riguardo alle politiche imposte alla Grecia, massacrata dalla Troika. Tutta quell’austerità, in quella situazione, era sbagliata, ha ammesso prendendo atto dei risultati disastrosi e sempre molto peggiori delle previsioni che erano state fatte. Naturalmente l’ha fatto con un saggio in cui individuava la spiegazione tecnica dell’errore, che riguardava i moltiplicatori, ossia gli effetti di amplificazione della congiuntura di determinati provvedimenti. Certo, altri economisti – quelli, appunto, delle correnti critiche – lo avevano detto da prima e ascoltandoli si sarebbe potuto evitare di distruggere un paese. Ma moltissimi colleghi di Blanchard continuano nell’atteggiamento secondo cui, se la realtà non corrisponde alla teoria, è sbagliata la realtà. O, al massimo, si tratta di un’eccezione alla regola.
Ma torniamo all’oggi. In un paper datato 24 settembre, dal titolo Public Debt and Low Interest Rates, Blanchard “scopre” che quando il tasso di crescita di un paese è superiore al tasso di remunerazione del suo debito pubblico, il debito non solo è sostenibile, ma tende a ridursi senza bisogno di tagli alla spesa o aumenti di imposte. Il che, appunto, è una scoperta dell’acqua calda. L’economista però esamina le due variabili (crescita e costo del debito) a partire dal 1950 in vari paesi, e rileva che per la maggior parte del periodo si è verificata proprio quella condizione: negli Stati Uniti il costo del debito è stato in media del 3,8%, mentre il tasso di crescita nominale medio del 6,3%. E la crescita del Pil ha superato il costo del debito anche nell’area dell’euro, in Giappone e nel Regno Unito. Altri, in precedenza, avevano trovato una relazione simile, per gli Usa, fin dal 1792.
Che vuol dire tutto ciò? Una bazzecola: che l’importanza data finora al debito pubblico, una fissazione per tanti economisti e addirittura un’ossessione in Europa, è sbagliata. E dunque sono sbagliate le basi delle regole europee e sono tragicamente sbagliate le politiche che – soprattutto a partire dallo scoppio della crisi – sono state imposte a vari paesi (non a tutti, come ormai sappiamo, ma all’Italia sì). Che la teoria economica dominante è sbagliata, e nonostante che questo sia da tempo palese – come una minoranza di economisti denuncia da sempre – i politici continuano ad applicarla perché è coerente con i loro obiettivi, che sono obiettivi, più che conservatori, reazionari.
Due editorialisti molto autorevoli dei due più importanti giornali americani hanno commentato il saggio di Blanchard. Sul New York Times si è espresso David Leonhardt, ex capo dell’ufficio di Washington per il Times e premio Pulitzer nel 2011. Sul Washington Post Jared Bernstein, ex capo economista del vicepresidente Joe Biden e senior fellow presso il Center on Budget and Policy Priorities. Entrambi si dichiarano convinti della tesi (e anzi Bernstein fa autocritica dicendo di avere dato troppa importanza in passato ai problemi del debito). I due commenti sono molto simili e in tutti e due i casi si sottolinea che bisogna però stare attenti alla qualità del debito, cioè ai motivi per cui si fa. E concordano sul fatto più rilevante di cui si discute negli Usa in questo periodo, ossia la riforma fiscale di Trump: che crea debito “cattivo”, affermano, perché ridurre le tasse ai ricchi non aiuta in alcun modo l’economia. Affermazioni su cui dovrebbero meditare i sostenitori nostrani della flat tax.
A casa nostra, intanto, si annuncia un prossimo evento. Alla Cattolica di Milano il 5 febbraio sarà discusso il volume “AUSTERITA’. Quando funziona e quando no”, di Alberto Alesina, Carlo Favero e Francesco Giavazzi. Alesina è l’inventore dell’”austerità espansiva”, secondo cui tagliare la spesa pubblica stimola la crescita, cioè, appunto, ciò che la realtà prima, e Blanchard ora, hanno platealmente smentito. Da anni i suoi editoriali sul Corriere della Sera, di solito firmati insieme a Giavazzi, suscitano la triste ilarità degli economisti non allineati: non ne hanno azzeccata una, e non si capisce perché quell’importante giornale continui a dar loro spazio per dispensare pillole di sciocchezza. Il titolo del libro fa se non altro intravedere una parziale resipiscenza: sono arrivati a ipotizzare che qualche volta l’austerità non funziona. Forse basterebbe distruggere altri tre o quattro paesi e arriverebbero ad ammettere che effettivamente può fare anche qualche danno. Ognuno ha bisogno dei suoi tempi per capire quello che succede, che ci vuoi fare.
Per concludere, tocca ripetere un concetto già espresso in altre occasioni. Cambierà qualcosa nelle regole europee il fatto che persino tra gli economisti mainstream si fa strada la convinzione che finora si è sbagliato tutto? No, non cambierà niente. Perché quella linea sarà pure sbagliata dal punto di vista economico, ma è esattamente ciò che si vuole da quello politico. Poi lamentatevi dei populismi.
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P.S. – Ecco il grafico dei due economisti della Fed di St Louis segnalato nel commento qui sotto da jeantine01. Come osservano i due, nonostante che l’Italia abbia il più alto costo del debito tra i paesi esaminati, in termini reali il costo è attualmente negativo.
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