Carlo Calenda potrebbe essere l’uomo della concordia nella polveriera del Pd. La proposta che arriva dall’ex ministro dello sviluppo economico è un manifesto che propone di stilare un’unica lista delle forze politiche e civiche europeiste per le prossime elezioni europee. Al suo appello hanno risposto in molti da Claudio De Vincenti, ex ministro per la coesione territoriale, l’imprenditore Andrea Illy, i sindaci, tra gli altri, Giuseppe Sala, Dario Nardella, Valeria Mancinelli, Giuseppe Falcomatà nonché i Presidenti di Regione Sergio Chiamparino, Catiuscia Marini, Francesco Pigliaru, Enrico Rossi e Stefano Bonaccini. Lo scopo è contrastare l’avanzata dei movimenti populisti e sovranisti e il rischio di avere un Parlamento europeo se non a maggioranza sovranista ma con un nutrito gruppo di parlamentari euroscettici.
Sul punto Formiche.net ha sentito l’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti, tra le sostenitrici del manifesto di Carlo Calenda.
Che significato ha la proposta europeista dell’ex ministro Calenda per l’unità interna del Pd?
Credo sia una proposta alta che non riguarda solo la lista per le europee. Tutti gli esponenti del Pd che si sono espressi a favore di questa iniziativa di Carlo Calenda hanno lanciato un segnale importante mettendo l’Europa al centro della progettualità del Pd. Salutiamo positivamente questo manifesto di valori per l’Europa. L’idea di far collaborare tutti coloro che si sentono europeisti credo sia la direzione giusta e un elemento positivo per la politica italiana e anche per il Partito democratico.
In Italia funzionano argomenti di marca europeista?
L’Italia è sempre stata un Paese europeista, uno dei Paesi fondatori dell’Ue. Oggi il rischio di una deriva sovranista e nazionalista è fortissimo. Questo rischio non è astratto, non riguarda solo l’Europa ma ricadrebbe concretamente e drammaticamente anche sull’Italia. Non è soltanto una questione di valori del passato, e penso al manifesto di Ventotene, è una questione di futuro. Viviamo in una competizione globale dove ci sono, ad esempio, potenze come Stati Uniti e Cina: immaginare che non si lavori per gli Stati Uniti d’Europa sarebbe drammatico per le prospettive future del continente. Occorre promuovere una compattezza tra gli Stati membri grazie alla quale l’Europa sappia non solo competere ma proporre un proprio modello, che è quello di un umanesimo democratico. Io ho un sogno: proporre, in Italia, un servizio civile universale a tutti i ragazzi e le ragazze, compatibile con i progetti di vita di ognuno, ma obbligatorio, un dovere civile, testimonianza di cittadinanza attiva e di capacità di servizio alla propria comunità. Sarebbe bellissimo se questo sogno potesse tradursi anche a livello europeo. L’Erasmus è stato importante nella costruzione dell’immaginario europeo tra i nostri giovani, penso che avrebbe un impatto straordinario se in un momento della propria vita tutti i giovani si mettessero a disposizione dell’Europa.
Quali sono le linee programmatiche da seguire per difendere l’Unione Europea e per rendere credibile quella difesa?
Ci sono stati momenti in cui l’Europa ha avuto progetti comuni e su quello i cittadini si sono sentiti coinvolti ed emozionati, pensiamo all’entrata nell’Euro. Non dimentichiamo che in Italia i cittadini hanno pagato una tassa, poi restituita, per entrare nell’Euro. Dopo questo periodo ci sono state tappe che hanno frenato lo spirito europeista e l’Europa degli ultimi anni ha visto una prevalenza del Consiglio europeo, e quindi degli Stati nazionali, a scapito della Commissione, e dunque dell’organo sovranazionale. È chiaro che per far tornare l’Europa un progetto che emozioni i cittadini non possiamo pensare di continuare a parlare esclusivamente o prevalentemente di stabilità finanziaria. Credo che debbano esserci degli obiettivi identitari forti e comuni, ricordiamo che l’Europa è ancora il continente in cui si spende per il sociale circa la metà della spesa sociale globale.
Per parlare di un tema di cui io mi sono occupata, difesa e costruzione della sicurezza, risulta chiaro, soprattutto negli anni in cui il terrorismo si è globalizzato, che è molto più efficace una risposta europea per la sicurezza che non le singole risposte nazionali. In questo ambito, dal 1954 il processo di costruzione di una difesa comune si era bloccato. Negli scorsi tre anni, però, il percorso si è rimesso in moto e si è sottoscritto il primo progetto di cooperazione rafforzata sulla Difesa , solo un primo passo ma che ritengo estremamente positivo. Non se ne parla più molto, ed è un male perché senza un’adeguata spinta politica il rischio che il meccanismo si inceppi di nuovo è molto alto. Avere più Europa vuol dire essere più sicuri, avere più diritti, anche sociali, e avere più sviluppo.
L’obiettivo che vi ponete, dunque, è molto alto: riportare l’Europa nel cuore dei cittadini. Quali sono le tappe da seguire per riuscire a far passare il messaggio che l’Europa non è l’origine di tutti i mali?
L’Europa è stata indicata come origine di tutti i mali soprattutto dalla propaganda sovranista, però chiunque abbia memoria storica e utilizzi il raziocinio sa che l’Europa ha consentito, dal dopoguerra ad oggi, di avere più di 70 anni di pace e sviluppo nel nostro continente, dopo due devastanti guerre mondiali. Se usciamo dalla propaganda dei social capiamo quanto importante sia il progetto europeo. Certamente ci sono dei limiti perché l’Europa, perdendo spinta politica, è stata vissuta come troppo burocratica, non è riuscita a far sentire i cittadini europei come soggetti che hanno alcuni diritti proprio in virtù della cittadinanza europea. L’Europa deve far sentire che si interessa alla vita concreta e quotidiana dei cittadini, questo lo si fa lavorando su progetti, ripartendo dai fondamentali e eliminando le storture.
Quali sono le principali storture che vanno cambiate?
Quando siamo stati al governo abbiamo portato con determinazione la discussione sul fatto che fosse un errore avere un un approccio molto più incentrato sull’austerità che sullo sviluppo. La nostra non è stata una contestazione sterile o funzionale alla propaganda interna, ma finalizzata a trovare soluzioni alle criticità di natura economica e sociale conseguenti alla crisi economica. In Europa si è iniziato a parlare di crescita, di sviluppo e di un piano di investimenti, perché il rigore dei conti è un elemento importante ma non può essere l’unico totem europeo, ma doveva essere fatto prima e con minori timidezze. Ora occorre proseguire in questa direzione e oltre allo sviluppo economico è necessario introdurre il tema del sociale, perché non c’è dubbio che in Europa in questi anni siano aumentate le disuguaglianze e la fascia di persone che vivono sotto la soglia di povertà. Questo è un problema rispetto al quale l’Europa non può essere lontana, così come non può non risolvere in maniera solidale il tema delle migrazioni. Le cronache di questi giorni ci parlano di un ennesimo terribile naufragio e della morte di 117 persone, qualche giorno fa abbiamo appreso della morte in mare di un ragazzino 14enne che aveva cucito nella giacca la sua pagella, forse immaginando che potesse essere il modo migliore per presentarsi. Ecco, tutto questo non può non richiamare la coscienza di tutti.
Cosa può fare l’Europa per evitare ulteriori stragi in mare?
L’Europa deve immaginare un grande progetto per l’Africa che aiuti lo sviluppo; ricordiamo che è un continente in cui c’è una dinamica demografica galoppante. Allo stesso tempo l’Europa deve ripartire dal Migration Compact che propone una pluralità di strumenti per gestire in maniera solidale e nella legalità il fenomeno migratorio.
Secondo lei cosa rischia l’Italia e l’Europa se alle prossime elezioni europee dovesse arrivare una folta pattuglia sovranista nel Parlamento Europeo?
Nella storia dell’Europa, come nella storia del mondo, quando si soffia sulle divisioni e si alimentano i conflitti si sa dove si inizia e non si sa dove si va a finire. Quando le nazioni mettono sempre “prima” se stesse, poi diventa difficile trovare quegli elementi di coesione necessari per la convivenza armoniosa e pacifica. Io ritengo che identità e interessi di un Paese siano importanti ma uno Stato con una identità forte non teme di confrontarsi con gli altri. Chiudersi nei propri confini vuol dire avere paura di relazionarsi e quando succede questo aumentano i dissidi e le conflittualità anche solo potenziali.
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