Livello di deficit, tasso di interesse e trade-off tra politica fiscale e politica monetaria.
C’è una dottrina tra gli economisti mainstream che sostiene che: (1) il deficit pubblico genera pressioni in aumento sul tasso d’interesse e (2) l’aumento del tasso d’interesse riduce l’investimento privato. Il Governo può ottenere una maggiore quantità di risorse finanziarie nell’economia, ma questo solo a spese della perdita di investimenti privati. Ciò significa che realizzare deficit di bilancio ha come minimo qualche aspetto negativo.
Paul Krugman è un sostenitore di questa dottrina. Io no, e mi ha chiesto di spiegare perché. Krugman sta rispondendo a una rubrica che ho scritto, nella quale ho criticato la sua visione della Teoria della Moneta Moderna – MMT.
Risponderò direttamente alle domande che ha sollevato:
I sostenitori della MMT affermano, come pare faccia S. Kelton, che esista un solo livello di deficit compatibile con lo stato di piena occupazione e che non esista la possibilità di sostituire la politica fiscale con quella monetaria? Stanno affermando che la politica fiscale espansiva riduca in realtà il livello dei tassi d’interesse? Mi dia risposte positive o negative, per favore, con le spiegazioni su come è giunta a queste conclusioni e perché il semplice modello che ho esposto sopra è sbagliato.
Scrivo prima le risposte rapide, seguite dalle spiegazioni del mio pensiero.
#1: C’è un solo livello appropriato di deficit? Risposta: no. Il livello di deficit appropriato dipende dal comportamento del settore privato, [comportamento] che cambia. La MMT fissa il livello di spesa pubblica sempre a quello che è necessario a raggiungere la piena occupazione e accetta qualunque livello di deficit sia tale.
#2: La politica monetaria è in grado di sostituire quella fiscale? Risposta: poco o per niente. In una fase di crollo economico, il taglio dei tassi d’interesse è una risposta debole a fronte delle scarse aspettative di profitto. In un periodo di boom, aumentare i tassi d’interesse riesce a fare poco per impedire l’avvio di nuove attività, anzi, tassi più elevati potrebbero persino sostenere l’espansione attraverso il canale del reddito da interesse.
#3: Una politica fiscale espansiva riduce i tassi d’interesse? Risposta: sì. Introdurre moneta nell’economia determina l’aumento delle riserve bancarie e la riduzione della domanda di fondi [di riserva] federale da parte delle banche. Qualunque banchiere te lo dirà.
#4: La MMT accetta il “modello semplice” di Krugman? Risposta: no. Possiamo tornare a questo alla fine.
C’è un solo livello appropriato di deficit? No, perché – prima di tutto – la MMT introdurrebbe un’alternativa pubblica nel mercato del lavoro – un lavoro garantito finanziato a livello federale che garantisca così la piena occupazione durante il ciclo economico. Il deficit allora aumenterebbe e diminuirebbe con l’andamento del ciclo poiché il piano di lavoro garantito diventerebbe un nuovo stabilizzatore che si muove automaticamente verso il “livello appropriato”, in risposta ai cambiamenti del livello di spesa aggregata.
In assenza di un lavoro garantito, le cose si complicano. Lasciando stare la politica monetaria (e del tasso di cambio), il Governo deve consentire al deficit di raggiungere il livello necessario a soddisfare il desiderio di risparmio netto del settore privato. Se il settore privato vuole spendere meno e risparmiare di più, il settore pubblico avrà bisogno di soddisfare tale desiderio realizzando un deficit maggiore, altrimenti l’economia si allontanerà dallo stato di piena occupazione. Krugman ha elaborato lo schema perfetto – basato sul modello dei saldi settoriali adottato dalla MMT – per spiegare tutto questo 10 anni fa.
La politica monetaria è in grado di sostituire quella fiscale? Non molto. Krugman nota come la MMT affermi che la politica fiscale possa sempre realizzare il “livello appropriato” di deficit per mantenere la piena occupazione. Contesta quindi questa affermazione asserendo che si può avere qualsiasi livello di deficit e avere comunque piena occupazione, in quanto la banca centrale può sempre fissare il “livello appropriato” di tasso di interesse per raggiungere l’obiettivo. Non sono d’accordo.
È vero che la Fed può perseguire qualunque politica di tasso d’interesse desideri. Non consegue, tuttavia, che ridurre i tassi d’interesse induca un livello di spesa sufficiente a mantenere la piena occupazione. Per quanto possa essere basso il livello dei tassi d’interesse, non si può semplicemente presumere che coloro che si indebitano siano disponibili a contrarre una maggiore quantità di debito privato. Le aziende si indebitano e investono quando sono sommerse di clienti (o si aspettano di esserlo). Non contraggono maggiori debiti semplicemente perché la banca centrale gli sventola credito a buon mercato sotto gli occhi.
L’evidenza suggerisce che i tassi d’interesse non siano molto importanti quando si parla di investimenti privati: si faccia riferimento a J.P. Morgan (qui e qui), alla Reserve Bank of Australia (qui), alla Federal Reserve (qui) e alla Bank of England (qui). È persino possibile, come ha dimostrato la MMT, che la riduzione dei tassi d’interesse rallenti ulteriormente l’economia, perché ridurli riduce le spese governative (relative al pagamento degli interessi), esacerbando in tal modo gli effetti della politica fiscale restrittiva.
Questo è in effetti ciò che la Teoria della Moneta Moderna suggerì quando la Banca Centrale Europea arrivò a fissare tassi d’interesse negativi, che la MMT considera al pari di una tassa recessiva. Ma la MMT riconosce che l’aumento dei tassi d’interesse potrebbe compensare una politica fiscale restrittiva, anche se in maniera altamente regressiva, poiché gli interessi pagati dal Governo tendono ad andare a coloro che hanno un livello di reddito più elevato.
Una politica fiscale espansiva riduce i tassi d’interesse? Sì, inequivocabilmente. Non lo si vede nella grafica stilizzata di Krugman (nel seguito), ma succede nel mondo reale, dove esiste il mercato interbancario.
Si immagini che il Governo realizzi un livello di deficit pari a un trilione di dollari, staccando assegni per armi, stipulando contratti per realizzare enormi progetti infrastrutturali e così via. Tutti questi assegni vengono depositati presso gli istituti finanziari di tutto il Paese. Ogni volta che viene depositato un assegno, la banca commerciale ottiene un credito sul conto di riserva di cui è titolare presso la Fed.
Quando paghi le tasse, la tua banca perde riserve, ma con un livello di deficit pari a un trilione di dollari c’è un’enorme quantità di riserve immessa nel sistema bancario. Se la banca centrale non intraprende alcuna azione per impedirlo, il tasso d’interesse sui prestiti overnight – il tasso dei fondi federali – arriverà al livello zero.
Perché? Perché tutte le banche sono piene di riserve non fruttifere e ognuna cercherà di prestarle all’altra. Quando ognuno è venditore e nessuno è acquirente, il prezzo raggiunge il livello zero. Per evitare che ciò accada, la banca centrale interviene.
Prima del crollo di Lehman nel 2008, la Fed ha condotto operazioni di mercato aperto (vendendo obbligazioni per drenare dal settore privato una quantità di riserve tale da consentire un aumento del tasso d’interesse). Tutto questo è stato coordinato con il Dipartimento del Tesoro su base giornaliera, come ho spiegato qui.
Oggi, la Fed semplicemente paga un interesse sulle riserve per ottenere un tasso positivo. Ciò non cambia il fatto che il deficit, di per sé, eserciti una pressione al ribasso sul tasso d’interesse a breve termine.
Sì, la Fed svolge una funzione di reazione e può scegliere di aumentare i tassi in risposta alle pressioni inflazionistiche percepite, che sono associate alla spesa in deficit. Ma questa è una questione differente. Questa è una battaglia contro la gravitazione “naturale“.
C’è qualche ragione per cui il modello semplice proposto da Krugman è sbagliato? Sì, come anche il suo ideatore ha confermato. La MMT rifiuta il modello IS-LM che Krugman usa per dimostrare che l’aumento del deficit di bilancio esercita una pressione al rialzo sui tassi d’interesse e spiazza gli investimenti privati.
Il modello rimane il cavallo di battaglia per molti Keynesiani mainstream. La MMT lo considera fondamentalmente sbagliato. È incompatibile con gran parte della “Teoria Generale dell’Occupazione, dell’Interesse e della Moneta” di Keynes. È stato ideato per un regime di tasso di cambio fisso e non è un modello stock-flow consistent.
Ecco il modello che Krugman presenta come una sfida alla MMT.
Ciascuna delle curve IS (1-3) rappresenta una diversa posizione fiscale. Questo modello dimostra come il Governo possa espandere il livello di deficit e determinare lo spostamento dell’economia da una condizione di recessione – corrispondente al punto A – a una condizione di piena occupazione, spostando la curva IS1 alla posizione IS2. L’economia ha raggiunto in tal modo il pieno impiego, ma con un livello di tassi d’interesse più elevato e un minor livello di investimento privato.
Si tenga questo a mente: un livello di deficit più elevato dà luogo a un livello di tassi d’interesse più elevato, che riduce l’investimento [privato]. L’ultimo passaggio viene definito [effetto di] “spiazzamento”. Questo è l’intrinseco trade-off che la MMT nega e che Krugman difende.
Ed è facile per lui difenderlo, perché il suo modello assume un’offerta di moneta fissa, che spiana la strada all’effetto di spiazzamento!
Il modello di Krugman considera l’investimento come una semplice funzione del tasso d’interesse. Tassi più elevati significano investimenti inferiori e viceversa. Le banche centrali possono spremere (o rallentare) l’economia semplicemente riducendo (o aumentando) il tasso d’interesse. È quasi Pavloniano nella sua semplicità: ad un determinato stimolo segue una certa risposta.
L’analisi di Keynes era più sfumata. Le decisioni d’investimento per Keynes avvenivano in prospettiva, erano fortemente influenzate dagli “animal spirits” imprenditoriali e dipendevano in modo preminente dalle aspettative di profitto di questi ultimi. Quando le prospettive di profitto sono sufficientemente cupe, non ci sarà riduzione del tasso d’interesse che indurrà le imprese a contrarre prestiti e a investire in nuovi impianti e attrezzature (si pensi alla Grande Recessione).
Viceversa, quando le prospettive sono positive, le imprese possono contrarre prestiti e investire ancora di più, nonostante il desiderio della banca centrale sia quello di rallentare l’espansione aumentando i tassi d’interesse (si pensi alla crisi delle casse di risparmio). La curva IS decrescente non consente nessuna di queste possibilità. Eppure entrambi i risultati possono verificarsi e si verificano.
Un ultimo punto. Krugman sostiene che esista un trade-off intrinseco tra politica fiscale e politica monetaria. Sono d’accordo, ma non con il trade-off che descrive lui. Il deficit di bilancio non fa aumentare automaticamente i tassi d’interesse, e tassi d’interesse più elevati non si traducono automaticamente in una spesa privata inferiore.
Questo trade-off è contestato, e non solo dalla MMT. Il vero trade-off che conta è quello che Hyman Minsky e James K. Galbraith hanno evidenziato. La politica monetaria “funziona” nel momento in cui induce le persone a indebitarsi. La politica fiscale funziona nel momento in cui porta reddito nelle tasche delle persone. Come sosteneva Galbraith:
Ci sono due modi per aumentare la spesa totale, fatto che definiamo “crescita economica”. Un modo compete al Governo ed è quello di spendere in deficit. L’altro compete alle banche e consiste nel concedere prestiti. Per le persone, i deficit del bilancio pubblico – nonostante la cattiva reputazione – sono decisamente migliori del prestito privato. Il deficit pubblico mette il denaro nelle tasche dei privati… Questo è definito come un aumento della “ricchezza finanziaria netta”… Al contrario, quando una banca eroga un prestito, quel denaro non è gratuito né il proprio.
Questo è il trade-off che mi interessa. Dovremmo fare più affidamento sulla politica monetaria che funziona facendo leva sul bilancio del settore privato o sulla politica fiscale che funziona rafforzandolo?
Il gioco è fatto. Due no, un “non proprio” e un sì in risposta alle domande di Krugman. (S)fortunatamente questa sarà l’ultima risposta da parte mia, dato che i miei editori mi hanno chiesto di continuare qualsiasi ulteriore discussione offline. Ringrazio Paul per avermi coinvolto, sono più che felice di aver risposto.
Originale pubblicato il 1° marzo 2019
Traduzione a cura di Veronica Frattini, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo
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