di TERMOMETRO GEOPOLITICO
(Alberto Negri)
Atene spende 5,5 miliardi di euro in armi, tra cui 18 caccia francesi Rafale. Alta tensione nel Mediterraneo orientale con la Turchia sulle frontiere marittime, il gas offshore ma anche molto altro: una partita geopolitica che coinvolge Francia, Egitto, Israele, Emirati. Italia, Germania e Spagna si defilano.
Venti di guerra nell’era del Covid? Solo un possibile scontro con la Turchia può spingere la Grecia _ in crisi economica nera anche per la pandemia _ a spendere 5,5 miliardi di euro in armi, tra cui 18 caccia francesi Rafale. Significa che la tensione nel Mediterraneo orientale ha raggiunto livelli molto alti.
Il punto di non ritorno con la Turchia di Erdogan è stato superato da un pezzo ma si fa finta di nulla sperando che sotto la minaccia di sanzioni europee Ankara faccia dei passi indietro. In realtà è difficile immaginare che il Sultano della Nato rinunci alle sue provocazioni come fa periodicamente mandando altre navi nella zona economica esclusiva greco-cipriota disegnata secondo convenzioni che Ankara non ha mai firmato.
I leader dell’Unione europea riuniti a Bruxelles per il summit del 10 e 11 dicembre hanno deciso di sanzionare le azioni “illegali e aggressive” della Turchia nel Mediterraneo nelle acque territoriali di Grecia e Cipro, ma in realtà Ankara non sembra affatto preoccupata. Le sanzioni sono per ora soltanto cosmetiche ed Erdogan le ha già sbeffeggiate, come del resto quelle americane imposte per l’acquisto da parte della Turchia dei sistemi antimissili russi S-400.
Il fronte delle sanzioni dure e pure infatti appare piuttosto minoritario considerato che Germania, Spagna e Italia sostengono una linea più morbida, mentre Francia, Grecia e Cipro vorrebbero invece imporre sanzioni economiche dure e un embargo sulla vendita di armi alla Turchia. Le divisioni dipendono ovviamente dal prevalere degli interessi nazionali su quelli comunitari.
Il caso italiano ne è un chiaro esempio. Secondo l’esperto di Turchia, Michael Tanchum, analista presso l’Istituto austriaco per gli studi europei e sulla sicurezza, “per l’Italia la priorità sul piano della politica energetica è la Libia. La compagnia Eni, in buona parte compartecipata dallo Stato italiano, controlla il 45% della produzione italiana di petrolio e gas. Tutto il gas della Libia, tutto il suo gas naturale va in Italia”. Quindi, l’Eni e l’Italia hanno un forte interesse ad allinearsi alle posizioni della Turchia in Libia visto che ormai i nostri interessi nazionali in Tripolitania sono sotto protettorato turco. Quanto alla Spagna, i legami con Ankara sono piuttosto economici. La Spagna ha comprato molti titoli di debito turco, la sua esposizione ammonta a 63 miliardi di dollari, che è più di Francia, Germania, Italia e Regno Unito messi insieme.
Per la Francia il discorso nel Mediterraneo orientale è diverso. Macron ha forgiato un’alleanza anti-turca con Grecia, Cipro, Egitto, Israele, Emirati, ovvero con i partner del possibile gasdotto East-Med che dovrebbe portare dalla coste elleniche all’Europa le risorse di gas offshore di Egitto, Israele e Cipro.
Questa alleanza poi ha una sua estensione ideologica e geopolitica con il patto tra la Francia e il generale Al Sisi recentemente decorato a Parigi con la Legione d’Onore. I francesi sono i maggiori fornitori di armi del Cairo, hanno sostenuto il generale Haftar alleato di Al Sisi in Libia e inoltre come il generale egiziano sono schierati in rotta di collisione con Erdogan sul sostegno ai Fratelli Musulmani e all’Islam politico. Una partita strategica in cui Israele rientra con il Patto di Abramo in quanto le monarchie del Golfo sostengono a piene mani, ovvero con dollari sonanti, il regime egiziano impegnato a contrastare i Fratelli Musulmani su tutti i fronti.
Ecco perché questo conflitto tra greci e turchi è così vasto e incandescente. Con radici storiche che da cent’anni formano insieme agli interessi economici una miscela esplosiva.
E’ una contesa che va avanti da quasi un secolo, da quando, dopo il Trattato di Losanna del 1923, nacque la Turchia moderna. Fra il 1958 e il 1982 la Convenzione di Ginevra sul diritto del mare (Unclos) firmata da Atene, ma non da Ankara, ha dato vita a una stagione di tensioni pressoché continue fra i due Stati che oggi sono diventate ancora più esplosive. La Grecia ha ratificato il trattato nel 1994 e dal quel momento ha facoltà di aumentare il limite delle acque nazionali da 6 a 12 miglia marine, con la Turchia che è arrivata a minacciare una dichiarazione di guerra se Atene dovesse mettere in atto quanto deciso dall’Unclos. In realtà, la Grecia non ha mai applicato la Convenzione. Se il limite delle acque territoriali passasse realmente da 6 a 12 miglia nautiche, il 71% dell’Egeo farebbe parte delle acque nazionali greche e le acque internazionali si ridurrebbero dal 48% a meno del venti per cento.
E Ankara lo ritiene inaccettabile, soprattutto dopo che ha adottato la dottrina strategica della “Mavi Vatan”, la Patria Blu, che ha un obiettivo fondamentale e apparentemente irrinunciabile: controllare il mare per controllare le risorse energetiche e imporre la propria influenza. Scopo politico che ha un significato anche economico: sarà il mare, la “patria blu”, a sostenere i piani egemonici e di leadership di una Turchia che vuole riemergere dopo un secolo dai trattati di Sevrés e Losanna.
La Grecia teme lo scontro con la Turchia e ha stanziato 5,5 miliardi di euro per il suo programma di riarmo militare: si tratta di un aumento del 57 per cento rispetto al 2019 e riflette la necessità di Atene di garantire la propria sicurezza nel contesto sempre più teso del Mediterraneo orientale. Si tratta di una cifra enorme vista nel contesto della crisi innescata dalla pandemia del Covid-19 che, tuttavia, non ha fermato i piani del governo di centro-destra. Uno dei primi sviluppi concreti sarà proprio l’acquisto di 18 aerei Rafale prodotti dalla francese Dassault ma anche di caccia americani F-16 e di fregate sia francesi che americane. La Grecia ha inoltre potenziato i rapporti militari con altri Paesi della regione, come Emirati Arabi, Egitto e Israele sempre nell’ottica di consolidare un’alleanza regionale contro la Turchia.
Ecco come il mare sotto casa nostra sta cambiando ed è questo uno dei motivi per cui le forniture di armi italiane all’Egitto _ due fregate per 1,2 miliardi di euro e altri contratti per un totale di 10 miliardi _ sono importanti e da valutare con grande attenzione.
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