Contro l’inezia liberale – Marx vs Popper
da MARX XXI
(Giovanni Paolo Sirianni e Pier Giorgio Corriero)
In questo video si espongono le storiche antitesi di Popper al marxismo, questo accompagnando il pensiero di quest’ultimo alle solite immancabili distorsioni delle teorie marxiste. Il quarto video si intitola “Popper Vs Marx” ed essenzialmente si basa su una esposizione con numerose fallacie sintattiche delle critiche popperiane al marxismo, alle quali già si accennava nell’introduzione. Popper viene rappresentato come il grande smascheratore della filosofia marxiana. Si inizia colla solita retorica non-violenta, già analizzata in precedenza.
Si procede attaccando il marxismo sulla base del fatto che l’economista di Treviri sostenne che il libero mercato avrebbe portato sempre ad una crescita progressiva della povertà, questo a causa dell’accentramento di capitali che tale sistema prevede, dove i grandi capitali, in genere, assorbono i piccoli, provocando proletarizzazioni ingenti, quindi ad un aumento della povertà. I liberisti sostengono che tale tesi sia stata sbugiardata dalla storia in quanto la povertà negli ultimi duecento anni è diminuita, specie negli ultimi decenni di trionfo del neoliberismo. Noi abbiamo già dimostrato i motivi di tale calo della povertà a livello mondiale, ci teniamo però a ricordare particolarmente che il sistema di libero mercato, prolungato nei decenni, porta ad un aumento spropositato della polarizzazione sociale, quindi della povertà. E’ facile piegare la realtà ai fini della narrazione borghese della storia presentando tale dato a livello mondiale, senza analizzare nessun esempio nel particolare, dove si sia applicato il regime di libero mercato od il socialismo, per poi decretare la superiorità dell’uno o dell’altro sistema. Tale ultima strategia è invece attuata dai comunisti, forse perché questi, al contrario dei liberisti, non sono dei falsari e basano le loro tesi, checché ne dica Cotroneo, sui dati storici oggettivi. Possiamo benissimo citare l’Italia quale vittima del liberismo. Il nostro paese, specie negli ultimi quarant’anni, concedendo sempre più potere al libero mercato, è stata ricompensata dall’alta finanza internazionale con una spaventosamente progressiva polarizzazione sociale. Citiamo a riguardo un articolo del 2015 de “la Repubblica”, giornale non proprio comunista…
«Nel 2008 la ricchezza netta accumulata del 30% più povero degli italiani, poco più di 18 milioni di persone, era pari al doppio del patrimonio complessivo delle dieci famiglie più ricche del paese. I 18,1 milioni di italiani più poveri in termini patrimoniali avevano, messi insieme, 114 miliardi di euro fra immobili, denaro liquido e risparmi investiti. Le dieci famiglie più ricche invece arrivavano a un totale di 58 miliardi di euro. In altri termini persone come Leonardo Del Vecchio, i Ferrero, i Berlusconi, Giorgio Armani o Francesco Gaetano Caltagirone, anche coalizzandosi, arrivavano a valere più o meno la metà di un gruppo di 18 milioni di persone che, in media, potevano contare su un patrimonio di 6.300 euro ciascuno. Cinque anni dopo, e siamo nel 2013, sorpasso e doppiaggio sono già consumati: le dieci famiglie con i maggiori patrimoni ora sono diventate più ricche di quanto lo sia nel complesso il 30% degli italiani (e residenti stranieri) più poveri. Quelle grandi famiglie a questo punto detengono nel complesso 98 miliardi di euro. Per loro un balzo in avanti patrimoniale di quasi il 70%, compiuto mentre l’economia italiana balzava all’indietro di circa il 12%. I 18 milioni di italiani al fondo delle classifiche della ricchezza sono scesi invece a 96 miliardi: una scivolata in termini reali (cioè tenuto conto dell’erosione del potere d’acquisto dovuta all’inflazione) di poco superiore al 20%. Quanto poi a quelli che in base ai patrimoni sono gli ultimi dodici milioni di abitanti, il 20% più povero della popolazione del paese, lo squilibrio è ancora più marcato: nel 2013 le 10 famiglie più ricche d’Italia hanno risorse patrimoniali sei volte superiori alle loro».
La prima domanda che si pone è la seguente: “Come può una scienza prevedere il futuro? Come può il marxismo dirci che è necessaria la violenza per giungere al successo della rivoluzione?” E sulla base di questi due quesiti Popper si domanda “Il fine giustifica i mezzi?”. Il problema è estremamente semplice: il marxismo non prevede in alcun modo il futuro, va ricordato che Marx non fa profezie, né tantomeno è mai stato questo il suo obiettivo, lui stesso affermò che il proletariato avrebbe dovuto acquisire coscienza di classe per potersi scagliare contro il suo despota, Gramsci infatti sottolinea che
«Marx ha preveduto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuta la durata e gli effetti che ha avuto. Non poteva prevedere che questa guerra, in tre anni di sofferenze indicibili, di miserie indicibili, avrebbe suscitato in Russia la volontà collettiva popolare che ha suscitato. Una volontà di tal fatta normalmente ha bisogno per formarsi di un lungo processo di infiltrazioni capillari; di una larga serie di esperienze di classe» (Antonio Gramsci, Scritti Politici, volume I, Editori Riuniti, Roma 1973, pag 53)
Marx osserva le tendenze della società capitalistica e le mette a confronto diretto con quelle delle società precapitalistiche, per giungere alla logica conclusione che la caduta del modo di produzione capitalistico e la vittoria del proletariato sono inevitabili, tuttavia Marx, ad esempio nel tanto citato terzo libro de “Il Capitale”, dice che vi sono influenze contrastanti che possono mantenere alto il saggio di profitto, incluso l’aumento percentuale del saggio di plusvalore causato dall’intensificazione dello sfruttamento (quindi plusvalore assoluto) e l’eventuale riduzione del costo della forza-lavoro (frequente specie nelle crisi cicliche del capitalismo). Circa la violenza e l’idea che il fine giustifichi i mezzi va fatto un ragionamento ben più ampio. La violenza rivoluzionaria è certamente necessaria per l’insurrezione – la rivoluzione non è un pranzo di gala, è un atto di violenza – la violenza sotto questo punto di vista ha un doppio carattere: uno volto al progresso sociale ed all’emancipazione dell’umanità, utilizzata dalle classi sfruttate come mezzo di ribellione, ed una volta alla soppressione delle idee e degli avvenimenti che vogliono condurre all’emancipazione stessa. Ancora si rimprovera a Marx di aver predetto l’instaurazione del socialismo nel mondo capitalista prima che nel mondo non capitalista. Anzitutto Marx ed Engels hanno detto solo inizialmente che la rivoluzione sarebbe sorta nei paesi più sviluppati. Engels infatti scrive nei “Principi del Comunismo” che
«La rivoluzione comunista non sarà quindi una rivoluzione soltanto nazionale, sarà una rivoluzione che avverrà contemporaneamente in tutti i paesi civili, cioè per lo meno in Inghilterra, America, Francia e Germania. Si svilupperà più rapidamente o più lentamente in ognuno di questi paesi, a seconda che l’uno o l’altro di essi possiede una industria più o meno perfezionata, una ricchezza maggiore o minore, una massa di forze produttive più o meno importante. In Germania quindi l’attuazione della rivoluzione è lentissima e difficilissima, in Inghilterra rapidissima e facilissima.»
Ma dopo l’esperienza della Comune di Parigi del 1871 Marx si discosta da queste teorie che avevano inizialmente esposto nella «Neue Rheinische Zeitung», infatti sottopone questa esperienza ad un’attenta analisi, scrive infatti
«La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre par décret du peuple. Sa che per realizzare la sua propria emancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tende irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese. Pienamente cosciente della sua missione storica e con l’eroica decisione di agire in tal senso, la classe operaia può permettersi di sorridere delle grossolane invettive dei signori della penna e dell’inchiostro, servitori dei signori senza qualificativi e della pedantesca protezione dei benevoli dottrinari borghesi, che diffondono i loro insipidi luoghi comuni e le loro ricette settarie col tono oracolare dell’infallibilità scientifica.» (Opere Scelte Marx-Engels, Edizioni Progress, Mosca 1986, pag 291)
Venendo alla Russia vanno dette un paio di cose. La Russia non industrializzata e semifeudale del diciannovesimo secolo presentava una formazione sociale radicalmente differente da quella inglese, e ricade allora al di fuori del dominio della sua indagine scientifica. Il verificarsi della rivoluzione è pertanto irrilevante rispetto all’adeguatezza della teoria del Capitale. Marx adotta espressamente questa posizione nella corrispondenza con la redazione di un periodico russo, nella quale si preoccupa di scoraggiare l’applicazione delle tesi avanzate nel Capitale alle condizioni della Russia del tardo diciannovesimo secolo, lui scrive «Nell’Europa occidentale, patria dell’economia politica, il processo dell’accumulazione originaria è più o meno compiuto. Quivi il regime capitalistico o si è assoggettata direttamente tutta la produzione nazionale; o, dove le condizioni economiche sono ancora meno sviluppate, esso controlla per lo meno indirettamente gli strati della società che continuano a vegetare in decadenza accanto ad esso e che fanno parte del modo di produzione antiquato. L’economista politico applica a questo mondo capitalistico ormai compiuto le idee giuridiche e della proprietà del mondo pre-capitalistico con uno zelo tanto più ansioso e con una unzione tanto maggiore, quanto più i fatti fanno a pugni con la sua ideologia.»
(Karl Marx, Il Capitale, Libro I, Sezione VII, Capitolo 25)
Il Capitale è quantomeno chiamato in causa nella possibilità che si verifichi una rivoluzione nell’Europa industrializzata? No, non lo è. Di certo, Marx ritiene che una rivoluzione socialista sia inevitabile per l’Europa industrializzata, e che il Capitale funga da supporto a questa convinzione. Cionondimeno, si tratta soltanto di un’implicazione molto remota della sua teoria del capitalismo; Marx affermò che fossero più vicini al socialismo gli stati capitalistici poiché in tale parte del mondo, a causa dell’accentramento di capitali, si era formata un’ampia classe proletaria. Stiamo parlando della classe più rivoluzionaria in assoluto, molto più dei contadini, che per essere tali devono essere guidati dal proletariato e che si sono storicamente dimostrati, a causa della loro religiosità e tradizioni, come la classe popolare della reazione nelle rivoluzioni francesi e russe (nonostante in quest’ultima molti contadini servirono nell’armata rossa, perché guidati dal proletariato sulla base della lotta ad un regime che opprimeva barbaramente entrambe le classi); e anche molto più della piccola borghesia, classe avversa al capitalismo (specie se libero-scambista) per via dell’accentramento di capitali ma anche al socialismo, che quindi può temporaneamente supportare la rivoluzione contro il capitalismo per poi fungere da base alla controrivoluzione nel socialismo, come insegna l’esperienza del trotzkismo. Sarebbe dunque corretta tale critica a Marx se egli, come Bernstein, avesse sostenuto la via pacifica al comunismo, dovuta, secondo tale teoria, all’evoluzione delle contraddizioni del capitalismo, che si sarebbero notevolmente evolute nel comunismo. Marx ed Engels si opposero sempre a tale teoria, sostenendo, anche ne “Il capitale”, che l’unica via per l’instaurazione del socialismo fosse la rivoluzione, idea ripresa da Lenin nel suo celeberrimo scritto “Stato e rivoluzione”. Quindi perché tali rivoluzioni socialiste non si sono mai avute nel mondo capitalistico ma solo in quello non sviluppato? La risposta a tale domanda è una sola: egemonia culturale. L’egemonia culturale borghese nel mondo capitalistico è sempre stata storicamente più forte ed articolata. Ciò portò alle deformazioni antirivoluzionarie del comunismo come il marxismo riformista, l’eurocomunismo, il trozkismo (sviluppatosi, quel poco che si è sviluppato, soprattutto in occidente), il bordighismo, eccetera. Tant’è vero che si parla di un neo-marxismo occidentale anti-dialettico ed anti-rivoluzionario, che si sviluppò parallelamente a quello dialettico marxista-leninista rivoluzionario “orientale”. Tale tema è approfondito da Losurdo nel suo libro “Il marxismo occidentale”.
Un’altra critica che viene posta è contro il materialismo dialettico, ed anche in questo caso le definizioni sono questione di opinione. Esso viene definito come mezzo per “spiegare la storia e prevedere il futuro collegando artificiosamente eventi che sono accaduti nel passato e vedendoci dietro un grande piano”. Questa definizione rischia davvero di provocare uno shock anafilattico in qualsiasi essere umano che sappia cos’è il materialismo dialettico. Cos’è quindi ‘sto materialismo dialettico che Cotroneo attacca? Rifacendoci alle parole di Mao possiamo dire in linea di massima che «Il materialismo dialettico è la concezione del mondo del proletariato. Esso è nello stesso tempo il metodo usato dal proletariato per conoscere il mondo circostante e il metodo usato da esso per compiere azioni rivoluzionarie. La concezione del mondo e il metodo del materialismo dialettico costituiscono un sistema unico e indivisibile.» (Mao Tse-Tung, Opere complete, Edizioni Rapporti Sociali, volume V, pag 136).
Quindi sostanzialmente il materialismo dialettico è l’unità della concezione proletaria del mondo e della metodologia, esso è la filosofia del marxismo-leninismo, non v’è nulla in comune con ciò che dice Cotroneo. Il materialismo dialettico è oltretutto strettamente collegato con la filosofia della natura, con l’epistemologia e con la gnoseologia, oltre ad essere un metodo che il comunista utilizza per analizzare i fenomeni che avvengono in natura, basato sulle leggi della dialettica. Il materialismo dialettico non è una credenza, non è una dottrina statica che viene calata sulla materia, ma è un metodo che trae le sue origini dallo studio della materia stessa, e che si amplia ed evolve ad ogni nuova scoperta compiuta dalle scienze positive. Dopo questa definizione fuorviante data da Cotroneo analizziamo la critica posta. Queste sono essenzialmente due: Tramite tale metodo i marxisti confezionano menzogne con cui fare proselitismo tramite la selezione degli argomenti storici che non vanno in antitesi alla loro narrazione. E no, caro Cotroneo, Marx non fa certo questo, Marx non si limita ad osservare empiricamente la successione degli ordinamenti sociali venutisi a creare nella storia per poi affermare che vi sia un’artificiosa intelligenza, simile all’apeiron di Anassimandro. Marx al contrario studia l’evoluzione degli ordinamenti sociali e ne legge i mutamenti alla luce delle leggi della dialettica hegeliana. Marx non prende in esame singoli eventi storici, ma parla dell’evoluzione dialettica della storia dei rapporti di produzione dell’intera umanità, dividendoli in rapporti schiavistici, feudali e capitalistici, ideando il comunismo come stadio di annullamento del sistema classista. Non si tratta di prendere in esame singoli eventi storici, ma di analizzare i motivi che hanno portato al passaggio da uno stadio all’altro (nel primo libro de “Il Capitale” Marx descrive le cause storiche dell’imposizione del capitalismo nella regione nord atlantica) e all’analisi dei rapporti dialettici tra le classi in ogni sistema di produzione; In una scienza non vi può essere dialettica, in quanto la scienza espone tesi inconfutabili. Anzitutto i sostenitori della dialettica non (e cito testualmente) “amano le contraddizioni”, riconoscono nella lotta tra gli opposti la legge fondamentale della dialettica e della lotta di classe, quindi dello sviluppo della società umana, ma anche della scienza. Lenin nelle sue famose note intitolate “A proposito della dialettica” dice «L’identità degli opposti (o forse è meglio dire più la loro “unità”?, benché la differenza tra i termini identità e unità non assuma qui particolare importanza. In un certo senso sono entrambi esatti) è il riconoscimento (la scoperta) di tendenze contraddittorie, che si escludono reciprocamente, opposte, in tutti i fenomeni e processi della natura (spirito e società incluse)» (Vladimir Il’ič Ul’janov “Lenin”, Opere Complete, Volume XXXVIII, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 362).
E ci fa anche diversi esempi pratici:
“Nella matematica: +e -.
Differenziale e integrale.
Nella meccanica azione e reazione.
Nella fisica elettricità positiva e negativa.
Nella chimica la combinazione e la dissociazione degli atomi.
Nella scienza sociale la lotta di classe.” (Ibidem, pp. 361-362)
E ci sarebbero decine di ulteriori esempi che si potrebbero aggiungere: nucleo ed elettrone, protoni e neutroni, antiprotoni e protoni, anti-neutroni e neutroni, morte e vita in biologia, contrazione e rilassamento del muscolo in anatomia, onda e particella nella fisica quantistica, la caduta dei gravi verso il centro di gravità maggiore è una contraddizione tra la curvatura dello spazio tempo intorno ai corpi e la tendenza dei gravi stessi a restare immobili e tante altre sulle quali non stiamo ora a soffermarci.
Ciò che in sostanza Cotroneo fa è una volgare mistificazione del concetto di contraddizione, che era già stato smascherato da Engels più di un secolo or sono!
Engels scrive infatti nell’Anti-Duhring, commentando le scempiaggini proclamate dal signor Duhring sulla dialettica nel suo “Corso di filosofia”
«Il pensiero contenuto nei due luoghi citati si compendia nella proposizione la quale dice che contraddizione = controsenso e perciò non può esserci nel mondo reale. Questa proposizione, per gente che altrimenti è di sufficiente buon senso, può avere lo stesso valore di evidenza della stessa proposizione la quale dice che diritto non può essere curvo e curvo non può essere dritto. Ma il calcolo differenziale, malgrado tutte le proteste del buon senso, pone tuttavia, sotto certe condizioni, l’identità di diritto e curvo e ottiene così dei risultati che il buon senso, il quale si ostina a dire assurda l’identità di diritto e curvo, non potrà mai raggiungere. E, data la parte importante che la cosiddetta dialettica della contraddizione ha rappresentato nella filosofia dagli antichissimi greci fino ad oggi, persino un avversario più forte di Dühring si sarebbe sentito in dovere di confutarla con ben altri argomenti che un’unica asserzione e molte ingiurie. Sino a quando consideriamo le cose in stato di riposo e prive di vita, ciascuna per sé, l’una accanto all’altra, l’una dopo l’altra, è certo che in esse non incontreremo nessuna contraddizione. Vi troviamo certe proprietà che in parte sono comuni, in parte sono diverse, anzi persino in contraddizione l’una con l’altra, ma in questo caso esse sono ripartite in cose diverse e quindi non recano in sé nessuna contraddizione. Nella misura in cui questo campo di indagine è sufficiente, ce la caviamo con l’abituale modo di pensare metafisico. Ma è invece tutt’altra cosa allorché consideriamo le cose nel loro movimento, nel loro cambiamento, nella loro vita, nella loro azione reciproca. Qui cadiamo subito in contraddizioni.» (Opere Complete Marx-Engels, Volume XXV, Editori Riuniti, Roma 1969, pag 114-115)
Quando poi si parla di materialismo storico ci si trova davanti ad una nuova distorsione volgare di Marx. Cotroneo dice (anche in questo caso cito testualmente) che “per Marx sono i fatti economici a determinare i fatti storici”. Cotroneo non riesce a concludere un periodo senza distorcere il marxismo e senza far mettere le mani nei capelli a qualsiasi marxista. Cos’è anzitutto il materialismo storico? Una definizione esemplare ne è stata data da Gramsci quando questo disse che
«La dottrina del materialismo storico è l’organizzazione critica del sapere sulle necessità storiche che sostanziano il processo di sviluppo della società umana, non è l’accertamento di una legge naturale, che si svolge «assolutamente» trascendendo lo spirito umano. È autocoscienza stimolo all’azione, non scienza naturale che esaurisca i suoi fini nell’apprendimento del vero. Se la «necessità» storica trascende l’arbitrio dell’individuo posto come pura ragione, come cellula empirica della società, è immanente in ogni individuo, momento concreto dello spirito universale che attua l’essenziale legge del suo sviluppo: è quindi «prassi», superamento continuo, adeguazione continua dell’individuo empirico alla universalità spirituale.»
(Antonio Gramsci, Scritti Politici, Vol I, Editori Riuniti, Roma 1973, pag 121)
Cosa dicono Marx ed Engels che in questo caso viene profondamente distorto da IstLib? Engels, sempre nell’Anti-Duhring, dice «La concezione materialistica della storia parte dal principio che la produzione e, con la produzione, lo scambio dei suoi prodotti sono la base di ogni ordinamento sociale; che, in ogni società che si presenta nella storia, la distribuzione dei prodotti, e con essa l’articolazione della società in classi o stati, si modella su ciò che si produce, sul modo come si produce e sul modo come si scambia ciò che si produce.»
(Opere Complete Marx-Engels, volume XXV, Editori Riuniti, Roma 1969, pag 256)
E Marx nella celebre prefazione della “Critica all’economia politica” dice
«L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l’ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo.» (Scritti Scelti di Marx, Engels e Lenin sul Materialismo storico, Edizioni Progress, Mosca 1972, pag 137-138)
Poste queste necessarie premesse circa la definizione di materialismo storico veniamo alla critica posta, ovvero che le idee hanno un grande potenziale ed hanno avuto un ruolo importante nella storia dell’uomo. Ed infatti il problema sta alla radice, Marx afferma, riprendendo parzialmente la concezione hegeliana della storia, che la storia è storia di lotta di classi e che essa è un continuo passaggio dal regno della necessità al regno della libertà. Dice che la sovrastruttura è la conseguenza diretta dei rapporti di produzione e distribuzione in un dato ordinamento sociale, Istituto Liberale mischia le carte in tavola così da confondere l’ascoltatore, ma non fa altro che ingannarsi da solo; e per giunta il marxismo non nega né ha mai negato il ruolo decisivo dei leader della classe operaia e delle teorie rivoluzionarie.
Si dice poi che il marxismo confonda leggi e tendenze. Fermiamoci qui. Che cos’è una legge?
Stalin dice che «Il marxismo intende le leggi della scienza, – si tratti di leggi delle scienze naturali o di leggi dell’economia politica, – come un riflesso di processi obiettivi che si svolgono indipendentemente dalla volontà degli uomini.» (Problemi Economici del Socialismo in URSS), nel “Riassunto della scienza della logica di Hegel” di Lenin, questo scrive, riprendendo inizialmente la dizione di Hegel
«La legge è la riflessione del fenomeno nell’identità con sé» (149). (La legge è l’identico nei fenomeni: «il rispecchiamento del fenomeno nella sua identità con sé stesso».) … «Questa identità, fondamento del fenomeno, che costituisce la legge, è il suo proprio momento […]. La legge non sta quindi al di là del fenomeno, ma è in esso immediatamente presente; il regno delle leggi è il quieto [corsivo di Hegel] riflesso del mondo esistente o fenomenico» (Vladimir Il’ič Ul’janov “Lenin”, Opere Complete, Volume XXXVIII, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 142)
E commentando la definizione data da Hegel afferma che “è questa una definizione stupendamente materialistica e notevolmente precisa” (Ibidem) Oltretutto il Caro Leader scrisse
«Quando dico che le leggi sociali operano attraverso l’attività dell’uomo, non nego il carattere oggettivo delle leggi sociali e la possibile spontaneità nel movimento sociale. Se si crea una certa condizione socioeconomica, inevitabilmente opera una legge sociale ad essa corrispondente e pertanto assume un carattere oggettivo, come fa una legge naturale. La spontaneità nel movimento sociale è dovuta a un livello relativamente basso dell’indipendenza, della creatività e della coscienza dell’uomo e all’assenza del sistema sociale sotto cui il popolo possa dispiegarle appieno. Con la crescita dell’indipendenza, della creatività e della coscienza dell’uomo e con l’instaurazione del sistema sociale che assicuri un pieno sviluppo di queste qualità, l’uomo lavorerà meglio, attenendosi alle leggi oggettive, e la sfera della spontaneità si restringerà» (Kim Jong Il, Opere scelte, vol. XIV, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2014, pag. 176 Ed. Ing.)
Poste queste doverose premesse veniamo alla questione di fondo. Indubbiamente legge e tendenza sono due cose diverse, ed infatti il marxismo non fa confusione tra questi due termini. La formula del saggio di profitto uguale al rapporto tra plusvalore e capitale costante più capitale variabile non è una legge? Il plusvalore non è una legge? L’accumulazione capitalistica e con essa la centralizzazione del capitale era una tendenza del capitalismo quando esso si apprestava a divenire sistema di fabbrica ed oggi giunti alla fase del capitalismo monopolistico di stato possiamo dire a tutti gli effetti che essa è una legge del modo di produzione capitalistico.
Vi è poi una critica conclusiva nella quale si afferma, a ‘mo di assioma aprioristico, asserto dalla insindacabile veridicità, che i seguaci di Marx abbiano preso il suo pensiero come un dogma vietando ogni forma di critica e/o aggiunta. Le concezioni leniniste sul partito e sulla rivoluzione? La teoria dello stato abbozzata in Marx ed ulteriormente sviluppata da Lenin? Le concezioni filosofiche leniniste contro l’empirismo di Bogdanov? La lotta del gruppo dirigente sovietico contro l’idealismo di Deborin? L’economia politica del socialismo? La guerra popolare di lunga durata? Le contraddizioni in seno al popolo ed al partito? La lotta di Mao e di Ai Siqi contro la metafisica di Yang Xien-Chen? La triade creatività-coscienza-chajusong – agli antipodi dell’alienazione capitalistica – ideata dal Presidente Eterno Kim Il-sung? Dei metodi di lavoro anti-burocratici di Chongsonri e di Taean? Il concetto di nazionalismo sviluppato da Kim Jong-Il?
Marx stesso disse che la sua teoria era incompleta e che altri al posto suo avrebbero dovuto ulteriormente svilupparla, scrisse infatti che non era sua volontà «prescrivere ricette [?] per l’osteria dell’avvenire» e che altri lo avrebbero fatto al posto suo.Si dice che “Marx ed Hegel fossero falsi profeti” tuttavia non solo non si spiega il perché abbiano anche incluso Hegel ma si fa appena cenno al filosofo tedesco. Il che personalmente mi lascia immaginare che per chi a stento comprende già le critiche di Popper ad Hegel sarebbe stato ancora più difficile esporre il pensiero del filosofo tedesco. Se volete interessarvi per davvero ad Hegel e volete studiare delle critiche concrete al suo pensiero vi consigliamo vivamente di leggere i “Quaderni filosofici” di Lenin e la “Critica della filosofia hegeliana del diritto” di Marx.
Ora però, diversamente da quanto fatto da Istituto Liberale, vorrei porre delle serie critiche all’analisi Popperiana ed alla filosofia generale di Popper. In parole povere il pensiero di Karl Popper potremmo classificarlo come un idealismo agnostico e speculativo, parzialmente influenzato dal positivismo logico all’inizio anche se poi tramite lo sviluppo del “principio di falsificabilità”, principio sulla base del quale si può giudicare se una teoria sia scientifica o meno e che andremo ad analizzare a breve, uno dei dogmi portanti della sua filosofia reazionaria, lo ripudierà. Anzitutto che cos’è una scienza? A questa domanda risponde nuovamente il filosofo sardo, che scrive
«Definizioni della scienza:
1° Studio dei fenomeni e delle loro leggi di somiglianza (regolarità), di coesistenza (coordinazione), di successione (causalità).
2° Un’altra tendenza, tenendo conto dell’ordinamento più comodo che la scienza stabilisce tra i fenomeni, in modo da poterli meglio far padroneggiare dal pensiero e dominarli per i fini dell’azione, definisce la scienza come descrizione più economica della realtà. […] La scienza fa una selezione tra le sensazioni, tra gli elementi primordiali della conoscenza: considera certe sensazioni come transitorie, come apparenti, come fallaci perché dipendono unicamente da condizioni individuali e certe altre come durature, come permanenti, come superiori alle condizioni speciali individuali. Il lavoro scientifico ha due aspetti: uno che instancabilmente rettifica il metodo della conoscenza, e rettifica o rafforza gli organi delle sensazioni e l’altro che applica questo metodo e questi organi sempre più perfetti a stabilire ciò che di necessario esiste nelle sensazioni da ciò che è arbitrario e transitorio»
(Antonio Gramsci, Quaderni del Carcere, Vol. I, Einaudi Editori, Torino 1977, p. 466)
Andiamo a vedere in cosa consistono il positivismo logico ed il principio di falsificabilità. Il positivismo logico possiamo classificarlo come una forma estrema di empirismo, nato inizialmente come movimento neokantiano, che si basa interamente sulla massima secondo cui solo le affermazioni che possono essere verificate empiricamente hanno un significato, e che conseguentemente, la teologia, la metafisica, l’etica, la poesia e via dicendo sono privi di significato, né veri né falsi. Ma persino uno dei suoi massimi esponenti, Alfred Jules Ayer, in un’intervista alla BBC nel 1978 arrivò ad ammettere che il difetto principale del positivismo logico era che quasi tutto si dimostrava esser falso. Il principio di falsificabilità invece si basa sulla teoria secondo la quale una teoria può essere considerata scientifica solo se essa può potenzialmente essere falsificata ma di fatto non lo è stata. Su questa base Popper giudica il marxismo e la psicoanalisi come pseudoscienze, e sebbene sia un principio rifiutato dalla maggior parte degli epistemologi moderni, c’è ancora qualcuno che come Istituto Liberale vi crede. Anzitutto la prima fallacia logica sta nel fatto che esso stesso è una teoria, presumibilmente scientifica. Ciò significa che se questo principio è vero, non potremo mai verificare che sia vero! Un problema più basilare è che non riesce a riconoscere che i “fatti” sono solo “fatti” in relazione ad una teoria teoria. (O, in altre parole, non esiste una linea di demarcazione netta tra un fatto e una teoria) Quindi addurre “fatti” che falsificano una teoria significa in realtà applicare implicitamente un’altra teoria. Ma come (secondo le premesse di Popper) fai a sapere che la teoria è vera?! Inoltre, questa dottrina della falsificazione è unidimensionale, trascurando molte altre caratteristiche che una teoria scientifica deve possedere, come la coerenza interna e la compatibilità con altre teorie (specialmente più ampie). Popper dice che “Il criterio dello status scientifico di una teoria è la sua falsificabilità” (La società aperta e i suoi nemici, p. 37) per questo dice che “è semplice ottenere conferme per quasi ogni teoria – cercandole. Ogni genuino test di una teoria è un tentativo di falsificarla, o di rifiutarla. La testabilità è falsificabilità” (Ibidem, p. 36). Il problema è essenzialmente uno. Non ha compreso il carattere della filosofia marxista, come infatti scrive Andrej Zdanov «La filosofia marxista, a differenza dei precedenti sistemi filosofici, non è una scienza sopra le altre scienze, ma costituisce uno strumento d’indagine scientifica, un metodo che penetra tutte le scienze della natura e della società e si arricchisce dei risultati di queste scienze nel corso del loro sviluppo. In questo senso, la filosofia marxista è la più completa e decisa negazione di tutta la filosofia antecedente. Ma negare, come sottolineava Engels, non significa semplicemente dire «no». La negazione racchiude in sé una successione, significa assorbimento, rielaborazione critica, e unione, in una nuova, più elevata sintesi, di tutto ciò che di progressivo e di avanzato è stato già raggiunto nella storia del pensiero umano.» (Andrej Zdanov, Politica e Ideologia, Edizioni Rinascita, Roma 1949, p. 92)
Quindi la scientificità del marxismo sta proprio nella sua derivazione concreta e nelle conferme ricevute dalle altre scienze. Come scrive il filosofo marxista britannico Maurice Cornforth “È proprio nell’analisi dei processi della natura nelle loro parti ed elementi, e nella scoperta delle reali interconnessioni della natura e delle leggi del cambiamento e dello sviluppo, che si dimostra il carattere dialettico dei processi della natura. Da questo punto di vista le concezioni della dialettica materialista sono il coronamento di un’intera epoca di progresso scientifico e il punto di partenza per nuovi progressi.” (Materialismo dialettico e scienza, Maurice Cornforth, Red Star Editori, Londra 1949, p. 13).
In definitiva, va ricordato che Popper è uno dei più fondamentali sostenitori dei metodi deduttivi ipotetici, ma la scienza non è empirica, come Popper stesso riconosce, bensì assiomatica e deduttiva, cioè si basa sul principio unificato di supporre e spiegare la molteplicità. Quindi, vengono verificati i principi di queste ipotesi, che derivano dall’inferenza dell’influenza dai principi ipotetici. Se l’effetto dell’inferenza corrisponde all’effetto effettivamente avvenuto nell’esperimento, verificare il principio ipotetico (perché l’effetto ipotetico dell’inferenza è uguale all’effetto del fenomeno sperimentale). Per Popper, il sistema di assiomi deve essere:
1) non contraddittorio;
2) indipendente (gli assiomi non possono essere derivati da altri assiomi);
3) gli assiomi devono essere sufficienti ;
4) e necessari.
Tuttavia Popper nega che esista una metodologia in absolutum scientifica, sostiene per par condicio che esista un principio sulla base del quale un metodo od una scoperta sono classificabili come tale, la ricerca di una soluzione ipotetica deve seguire una regola fondamentale, che per Popper è la regola “secondo la quale non dobbiamo abbandonare la ricerca di leggi universali e di sistemi coerenti di teorie, né dobbiamo rinunciare ai nostri tentativi di spiegare causalmente qualunque tipo di evento che siamo in grado di descrivere. Questa regola guida il lavoro del ricercatore scientifico. In questo libro non accettiamo il punto di vista secondo cui la fisica ha oggi stabilito che almeno all’interno di un singolo campo non ha alcuna importanza l’andare ancora alla ricerca di leggi.” (K. Popper, Logica della ricerca scientifica, Einaudi Editore, Torino 1970)
L’epistemologia falsificazionistico-analitica di Popper quindi, partita con l’idea di un criterio logico di demarcazione, finisce in una metodologia astratta che non è nulla all’infuori di una pragmatica idealizzazione della scienza.
L’intera logica del principio della falsificabilità popperiana è basata sull’agnosticismo epistemologico e sul tema mi sembra opportuno citare il filosofo e scienziato sovietico Gott, il quale scrisse
“Un’espressione della profonda crisi dell’ideologia borghese odierna, un riflesso della crisi dell’ordine sociale capitalista, è la diffusione dell’agnosticismo e dello scetticismo tra gli intellettuali. Lo scetticismo e l’irrazionalismo sono sempre stati caratteristici dell’ideologia delle classi che la storia ha destinato all’estinzione, delle classi incapaci di creare una nuova visione del mondo che affermi la vita. Come in passato, quando Lenin scrisse “Materialismo ed Empiriocriticismo” e altre opere, così oggi gli agnostici e altri idealisti negano non solo il primato della materia e mettono la coscienza, l’ideale al primo posto, ma ritengono anche il mondo intorno a noi inconoscibile” (V. S. Gott, “This Amazing, Amazing, Amazing but Knowable Universe”, Mosca 1977, Edizioni Progress, p. 49.)
I liberali e Popper credono che Marx per rendersi esente dalle critiche abbia sviluppato il sistema delle controtendenze, ad esempio, nella sua teoria dell’accumulazione, tuttavia la controtendenza costituisce una parte centrale della nozione marxiana di legge tendenziale, la quale comporta la possibilità di fattori tali da controbilanciare la legge fondamentale. Altra critica pilastro della filosofia popperiana è quella contro lo “storicismo”, essenzialmente diretta anche in questa circostanza contro Marx ed Hegel. Le critiche poste allo storicismo sono essenzialmente la confusione di leggi e tendenze, della quale abbiamo già parlato in precedenza ed il voler interpretare l’intero corso della storia come precostituito sulla base dell’arché, mentre per Popper “né la natura, né la storia possono dirci ciò che dobbiamo fare, in quanto siamo noi ad attribuire finalità e significato alla storia stessa”. Anche in questa data circostanza la questione è estremamente semplice: Marx non separa la storia dalla volontà individuale, al contrario Marx dice che «La coscienza non può mai essere qualcosa di diverso dall’essere cosciente e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita.» (L’Ideologia Tedesca, Karl Marx & Friedrich Engels, Editori Riuniti, Roma 1975, pag 13)
Tale processo reale comprende per gli uomini il loro “rapporto con la natura”, il loro “rapporto reciproco”, il rapporto con se stessi relativo al proprio “modo di essere”, ovvero al proprio essere sociale, cioè la loro produzione, i loro rapporti di produzione e distribuzione, la loro organizzazione sociale e politica. Ed inoltre va ricordata la celebre terza Tesi su Feuerbach:
«La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell’ambiente e dell’educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in Roberto Owen). La coincidenza nel variare dell’ambiente e dell’attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.» (Scritti Scelti di Marx, Engels e Lenin sul Materialismo Storico, Edizioni Progress, Mosca 1972, pag 11-12)
Per Marx quindi il progresso sociale, come la storia, non sono affatto indipendenti dalla volontà umana ed anzi ne sono un’espressione flagrante.
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