Giovanni Lindo Ferretti: “Vecchio punkettone” e Filosofo del Mistero
di Gazzetta Filosofica (Giulia Bertotto)
Ferretti “vecchio punkettone”, come spesso si definisce, è uno dei pochi che abbia ancora qualcosa da dire che non sia dare consenso alla società del diritto ridotto a commissione, del consumismo delle persone e delle idee, in cui tutti sono vittime di qualcuno o colpevoli di qualcosa e nessuno è responsabile di sé. Lindo Ferretti, “salmodiante” del disco e custode dei monti, è anche un filosofo del Mistero, quel Mistero che accende lo stupore universale dell’uomo e quello che abita gli occhi degli animali e la brina del mattino.
Come parlare di Giovanni Lindo Ferretti? Me lo sono chiesto così tante volte, un’impresa interpretativa ed emotiva che, ammetto, ho rimandato. Non è peculiare in questa sede la biografia compilativa, ma le tappe che testimoniano il percorso di una delle poche menti ispirate nel panorama intellettuale odierno. Ferretti, “vecchio punkettone” come spesso si definisce, è uno dei pochi che abbia ancora qualcosa da dire che non sia dare consenso alla società del diritto ridotto a commissione, del consumismo delle persone e delle idee, in cui tutti sono vittime di qualcuno o colpevoli di qualcosa e nessuno è responsabile di sé:
«La libertà è una cosa più complicata dei diritti, la libertà è una forma di disciplina» (Giovanni Lindo Ferretti, Narrar degli uomini parlar di Dio). Quella disciplina che per lui inizia da piccino, quando la sera faceva il suo esame di coscienza (ciascuno nel segreto di sé stesso) guidato dalla nonna. Un atto semplice, come ripensare a cosa si è fatto di bello e costruttivo durante la giornata e cosa invece non è stato di pregio e di buona volontà; un esercizio di meditazione onesta con sé stessi e di verità con Dio, quindi un allenamento alla responsabilità. In ultima istanza l’opportunità di una qualche felicità.
Poi è arrivata l’adolescenza, il delirio di onnipotenza giovanile, l’altalena degli umori, l’aspirazione eroica e rivoluzionaria, il sano bisogno di provocare per misurare la distanza del sé dal campo identitario della propria famiglia, l’esigenza di creare una sorta di personalità per opposizione, per trovare finalmente un giorno la propria identità più autentica.
« Ho abbandonato la Chiesa a 14 anni, ma dopo anni quello che avevo costruito era ben misera cosa […] Ho creduto che l’uomo bastasse a se stesso per costruire il paradiso in terra. » (ivi)
E allora i viaggi, le sale d’incisione, i concerti (con i CCCP, CSI e poi PGR), la malattia e il ritorno a casa, un pellegrinaggio rivolto all’indietro, un’esplorazione di sé recuperando i luoghi dell’infanzia, riprendendo le fila di un discorso interiore intricato, riannodando l’animo dal punto di partenza. Dove si è preso cura della mamma anziana, dei cani e dei cavalli, del fieno e del fuoco. La vita è lavoro, è impegno, missione.
Tormentato come Agostino d’Ippona, Ferretti è “In viaggio”, corpo musicale dei luoghi di cui assorbe lo spirito: la ribellione urbana nella Berlino negli anni ottanta, la Mongolia mistica e sterminata, le alture maestose di Cerreto Alpi. Ma «Il viaggio più lungo che ho fatto è stato quello da casa mia alla chiesa quella volta che sono tornato a confessarmi.» (ivi) E di vette ne ha scalate: le classifiche dei brani e le cime emiliane, si è riscoperto Barbarico dal palco ardente al crinale innevato.
Chi segue Lindo Ferretti sa che spesso gravita un’attenzione morbosa intorno alla sua conversione ad un cristianesimo forse mai davvero rinnegato. Nell’intervista per La svolta, storie di conversione al Cristianesimo Ferretti racconta come nel momento del ritorno alla vita di Cerreto Alpi, abbia tentato di incalzare il parroco del paese per un dibattito teologico, per poi capire che:
Ferretti riconosce alla scienza il suo valore, ma al posto appropriato nell’ordine delle cose, posto che non è il tempio; la «carne è riconoscente» per la malattia curata, ma l’anima non si prostra.
Per sperare la superstizione la scienza è diventata essa stessa dogma, paradossale comandamento di fede. Ma «c’è una frattura originaria / non si ricompone / non si riaggiusta in terra / chi lo promette mente / chi lo progetta terrorizza».
Lindo Ferretti è Reduce, a cavallo (non solo metaforicamente) tra un’era di «pace labile e contrattata» e quella degli «spettri autocertificati».
Arriviamo ad oggi, «mal’ aria» di un’epoca che non si respira più anche senza mascherina, in cui «comanda la Finanza, esegue la Politica», seduce l’ancella ideologia.
La tecnica è Vitello d’oro della scienza che da metodo dell’uomo per indagare e comprendere i segreti di Dio è diventata tattica dell’uomo per svilire le meraviglie di Dio.
Ma d’altronde «ciò che deve accadere accade»; non è una formula fatalista o una rinuncia all’azione (Ferretti non è un mistico) ma l’accoglienza quasi sciamanica del mutare delle cose, che certamente hanno ragione del loro procedere in virtù di una Provvidenza, di quell’economia in cui ci si sente amati.
Ricordo quando Ferretti è venuto a Roma per Narrar degl’uomini parlar di Dio e ha raccontato come gli accada talvolta di vedere la realtà come Creazione, in un momento di lucidità in cui la natura non gli appare solo ‘ecologicamente’ splendida, ma miracolo in foglie, roccia e nuvole.
Come parlare allora di Lindo Ferretti? Con il cuore.
Commenti recenti