Il punto sulla guerra in Ucraina
da ANALISI DIFESA (Redazione)
Mentre rirendono oggi i colloqui in Bielorussia tra le delegazioni russa e ucraina e i ministri degli Esteri dei due belligeranti, Sergei Lavrov e Dmytro Kuleba, si incontreranno questa settimana vicino alla città costiera turca di Antalya (come ha dichiarato oggi il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu) sui fronti ucraini continuano i combattimenti.
Mosca ha ribadito che le operazioni militari in Ucraina continueranno fino al conseguimento degli obiettivi stabiliti ma il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha negato che la Russia stia per annettersi Donetsk e il Lugansk chiedendo solo che le due repubbliche separatiste vengano riconosciute come Stati indipendenti dall’Ucraina.
“Non siamo noi a portare via il Lugansk e il Donetsk all’Ucraina”, ha affermato Peskov, “il Donetsk e il Lugansk non vogliono essere parte dell’Ucraina ma ciò non significa che debbano per questo essere distrutti. Per il resto l’Ucraina è uno Stato indipendente che vivrà come vuole ma in condizioni di neutralità”. Peskov ha affermato che le condizioni chieste dalla Russia per porre fine alla guerra sono state già comunicate all’Ucraina durante il primo round di negoziati. “Speriamo che vada tutto bene e che reagiranno in modo appropriato”, ha concluso.
Il capo di Stato maggiore della Difesa britannico, generale Tony Radakin, sostiene che le forze russe siano state decimate nelle prime due settimane di guerra e dubita che Mosca riuscirà a conquistare l’Ucraina.
Radakin ritiene che il presidente russo Vladimir Putin potrebbe “aumentare la violenza” per rispondere alla resistenza in corso in Ucraina e ha anche preso le distanze dalle affermazioni della ministra degli Esteri, Liz Truss, che aveva sostenuto la possibilità di mandare i cittadini britannici a combattere al fronte per aiutare gli ucraini. Sarebbe “illegale e inutile”, ha affermato.
Il consigliere della presidenza di Kiev, Oleksiy Arestovich. Ha invece affermato che le forze russe hanno intensificato i bombardamenti notturni delle città ucraine nel centro, nel nord e nel sud del Paese.
La carenza di fonti neutrali sul terreno rende difficile la verifica delle notizie fornite dai belligeranti. I corridoi umanitari autorizzati dai russi intorno a molte città assediate sembra abbiano permesso di evacuare molti civili consentendo ai russi una recrudescenza degli attacchi d’artiglieria sugli obiettivi urbani.
Il 7 marzo l’Ucraina ha denunciato un pesante bombardamento missilistico sull’aeroporto di Vinnytsia, 200 chilometri a ovest del fiume Dnepr nell’Ucraina centrale. Un attacco che conferma la volontà di Mosca di rendere inutilizzabili tutti gli aeroporti ucraini in grado di accogliere i velivoli da combattimento avversari.
Grazie anche alla lunga colonna logistica di 64 chilometri entrata in Ucraina la scorsa settimana e rilevata dai satelliti statunitensi, i russi sembrano puntare nel settore nord a completare l’avanzata in alcuni settori chiave intorno alla capitale ucraina, forse anche con l’obiettivo di gestire da una posizione di maggiore forza le trattative.
La situazione nei sobborghi della capitale di Bucha, Hostomel e Irpin è “catastrofica”, ha precisato all’emittente locale Belsat TV il consigliere della presidenza ucraina, Oleksiy Arestovich.
Intorno a Kiev le truppe russe avanzano da nord e da est ma i paracadutisti hanno conseguito fin dal primo giorno di guerra il controllo dell’aeroporto di Gostomel, 40 chilometri a nord-ovest della capitale.
La conquista dell’aeroporto è strategica perché impedisce l’afflusso rapido di rinforzi o armi (anche dall’estero) in aiuto alla guarnigione di Kiev. Nonostante i bombardamenti sui check point ucraini di accesso alla periferia della città resta difficile credere che i russi vogliano espugnare la città casa per casa così come non è detto che la lunga colonna in arrivo da est abbia il compito di trasportare rinforzi per l’attacco alla capitale.
Più a sud-est, nel settore di Donetsk e Lugansk, province ucraine che Mosca ha riconosciuto come repubbliche, la situazione militare è molto tesa e gli ucraini sono ancora in grado non solo di opporre resistenza ma anche di colpire i territori controllati dalle milizie filo-russe. Qui l’obiettivo di Mosca sembra essere quello di allargare il controllo a tutti i territori che rientrano nei confini amministrativi delle due regioni, oggi in parte ancora in mano agli ucraini.
Mariupol, la cui conquista permetterebbe ai russi di costituire una solida continuità geografica tra il Donbass e la Crimea, resta il fronte più caldo nel sud est dell’Ucraina dove sono schierati, come nel Donbass, i migliori reparti ucraini: più motivati, meglio addestrati e armati (dai consiglieri e istruttori americani, canadesi, polacchi, britannici e baltici), veterani di 8 anni di guerra.
A Mariupol parte delle difese sono affidate al Reggimento Azov che si ispira alle SS ucraine che affiancarono i nazisti durante la seconda guerra mondiale ed è stato addestrato dai consiglieri militari statunitensi.
Le operazioni delle forze di Mosca si stanno intensificando anche intorno a Sumy e Kharkiv, città assediate da giorni a ridosso del confine russo e bersagliate dall’artiglieria secondo fonti ucraine dopo l’evacuazione di parte della popolazione con i corridoi umanitari.
A sud ovest gli Stati Uniti non credono sia imminente un assalto anfibio russo a Odessa dove la Marina Ucraina ha annunciato su Facebook di aver colpito una nave russa durante la difesa del porto dagli attacchi russi dal mare. Si tratterebbe del pattugliatore Vasily Bykov, da 1500 tonnellate e dotato anche di missili da crociera Kalibr.
Non è chiaro se i russi intendano prendere Odessa, circondarla o solo distruggerne le installazioni militari e navali anche se non si può escludere che nei piani sia previsto un “corridoio che unisca la Crimea alla Transnistria, territorio russo tra Moldova e Ucraina presidiato da 1.500 militari russi.
Sempre il Pentagono valuta che i russi abbiano lanciato 600 missili di vario tipo dall’inizio delle operazioni con l’obiettivo di colpire bersagli di valore strategico e per ammorbidire la resistenza n alcuni centri nevralgici della difesa ucraina.
Benchè la difesa aerea a quote medio-alte e l’aeronautica di Kiev risultino fortemente indebolite dagli attacchi di Mosca, gli ucraini sembrerebbero mostrare una certa vivacità nelle capacità di impiegare missili antiaerei portatili per colpire i velivoli di Mosca in volo a bassa quota, per lo più elicotteri e aerei da attacco al suolo Sukhoi Su-25 con alcuni abbattimenti ripresi dai telefonini e utilizzati dalla propaganda di Kiev.
Il 5 marzo Kiev ha annunciato di aver abbattuto 2 caccia, 5 elicotteri e un drone russi con la cattura di 3 piloti.
Circa le perdite in attesa di dati aggiornati e dettagliati da Mosca il 5 marzo il Presidente Zelensky ha riferito che i militari russi uccisi dall’inizio del conflitto sarebbero 10 mila. I dati più recenti, diffusi il 6 marzo dalle forze armate ucraine, riferiscono che caduti russi sarebbero oltre 11 mila cui aggiungere 44 aerei russi, 285 carri armati, 985 veicoli corazzati, 109 sistemi di artiglieria e 60 autocisterne distrutti. Numeri che appaiono inverosimili e in ogni caso privi di conferme.
Le vittime civili, stimate già il 3 marzo in oltre 2mila da Kiev, il giorno successivo venivano valutate dall’ONU in meno di 400. “Dalle 4 del mattino del 24 febbraio 2022, quando è iniziata l’azione militare della Federazione Russa contro l’Ucraina, e le 24 (ora locale) del 4 marzo 2022, l’ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha registrato 1.058 vittime civili in Ucraina: 351 morti e 707 feriti”.
Secondo l’UNHCR sono oltre 1,7 milioni – in gran parte donne e bambini – le persone scappate dall’Ucraina rifugiatesi nei Paesi limitrofi dall’inizio dell’invasione russa.
La NATO esclude la No-fly zone
Che la guerra contro i russi resti un affare ucraino, pur con le forniture militari e gli aiuti economiche umanitari di NATO e Ue, sembra confermato anche dalla precisazione dell’Alleanza Atlantica che non vi sarà nessuna No-fly zone sull’Ucraina gestita dai velivoli alleati.
Gli Stati Uniti e gli altri paesi alleati della Nato rimangono contrari a una no-fly zone sull’Ucraina per evitare di dover “combattere attivamente contro le forze russe” ha detto il capo di stato maggiore congiunto delle forze armate Usa, il generale Mark A. Milley, dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha rilanciato il 5 marzo la richiesta nell’incontro da remoto con i parlamentari americani. “Se venisse dichiarata una no-fly zone, significherebbe che qualcuno dovrebbe farla rispettare – ha detto Milley, citato dal New York Times – e questo significherebbe che qualcuno dovrebbe andare a combattere attivamente contro le forze russe”.
Per Londra invece una no-fly zone sull’Ucraina potrebbe “ostacolare la capacità dell’Ucraina di difendersi” ha detto il ministro della Difesa Ben Wallace.
L’istituzione di una no-fly zone, ha detto Wallace, non solo aumenterebbe il pericolo per gli alleati della Nato, che potrebbero entrare in diretto confronto con gli aerei russi, ma rischierebbe anche di ostacolare la capacità dell’Ucraina di difendersi. Per Wallace la Russia finora non è riuscita a distruggere le difese aeree e l’aviazione Ucraina mentre gli aerei e i droni sono “uno dei pochi strumenti” che gli ucraini hanno per colpire le forze russe a distanza.
“Se hai una no-fly zone, questa funziona per entrambe le parti”, ha osservato Wallace aggiungendo che la situazione potrebbe anzi dare un vantaggio ai russi per prendere di mira le città con la loro artiglieria a lungo raggio e missili da terra. “Penso che le persone dovrebbero porsi la domanda prima di suggerire queste cose, cosa significherebbe sul campo e cosa significa per la Nato, quando ci sono altri modi per aiutare gli ucraini a difendersi dall’aria”.
Il presidente russo, Vladimir Putin, aveva del resto avvertito il 5 marzo che “l’istituzione di una no-fly zone sull’Ucraina da parte di qualsiasi Paese sarà vista da Mosca come partecipazione diretta al conflitto armato”.
Putin aveva poi aggiunto che anche “le sanzioni contro la Russia rappresentano una dichiarazione di guerra” in un intervento pubblico in cui ha ricordato le ragioni della guerra. “La Russia stava cercando di risolvere il conflitto in Ucraina in modo pacifico: era necessario lasciare che il Donbass parlasse russo e vivesse a modo suo, ma si sono opposti. Le persone nel Donbass – ha ammonito – non sono cani randagi, sono morte da 13 a 14mila persone, ma l’Occidente non se ne accorge”. Putin aveva poi concluso affermando che “l’attuale leadership a Kiev deve capire che se continua con lo stesso spirito, mette in discussione il futuro della statualità ucraina e, se ciò accadrà, sarà interamente sulla loro coscienza”.
Un riferimento che è stato da alcuni interpretato come la minaccia di occupare almeno una parte dell’Ucraina costituendo un’entità politica e amministrativa legata a Mosca.
Esclusa per ora dalla NATO anche la fornitura di aerei da combattimento all’Aeronautica Ucraina (come i Mig 29 ancora in servizio in alcuni tati membri della NATO quali Polonia (29), Romania (15), Slovacchia (21) e Bulgaria (18).
Il 7 marzo il ministero della Difesa russo ha diffidato i paesi confinanti con l’Ucraina dall’accogliere gli aerei da combattimento di Kiev che volessero trovare rifugio sul loro territorio per venire in seguito utilizzati contro le forze di Mosca. “L’uso della rete di aeroporti di questi paesi come base per gli aerei militari ucraini e il loro successivo utilizzo contro le forze armate russe potrebbe essere considerato un coinvolgimento di questi paesi in un conflitto armato”, ha minacciato il portavoce del ministero russo della Difesa, generale Igor Konashenkov.
Circa le forniture di armi all’Ucraina, secondo il New York Times e la CNN in meno di una settimana USA e NATO hanno fornito a Kiev oltre 17 mila armi anti carro (inclusi missili Javelin) e 2 mila missili antiaerei portatili Stinger, attraverso le frontiere con Polonia e Romania, scaricandole da giganteschi aerei cargo, tra cui un Antonov An-124 appartenente alle forze dell’Ucraina.
Il rischio radioattivo
I combattimenti intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, conquistata dai russi il 4 marzo, ha visto gli ucraini lanciare l’allarme (raccolto in tutta Europa) per il rischio di contaminazione nucleare e fughe radiologiche.
Al di là di toni propagandistici nessuno dei belligeranti ha interesse a causare un incidente radioattivo, neppure i russi che sarebbero i primi a essere coinvolti insieme agli ucraini. Il confine russo è a 250 chilometri da Zaporizhzhia, e provocare una fuga radioattiva sarebbe senza senso sia ai fini dell’operazione militare sia ai fini dell’impatto che avrebbe sulla Russia stessa e sui soldati russi in Ucraina.
Che le centrali energetiche, nucleari o meno, siano un obiettivo per le forze russe che stanno risalendo da sud la riva orientale del Dnepr è inevitabile. La loro conquista consentirebbe a Mosca di “spegnere l’Ucraina”, o buona parte del suo territorio o comunque di far valere tale opzione sul tavolo dei negoziati.
Prime “crepe” in Europa
Dopo Slovacchia e Ungheria che non hanno aderito alla chiamata alle armi della Commissione Ue per il blocco totale dei rapporti con Mosca e il riarmo ucraino (Budapest ha accettato altre truppe NATO sul suo territorio ma ha vietato il transito di armi dirette alle forze ucraine), la Shell che difende l’acquisto di petrolio russo e le compagnie francesi (inclusa Total) che continueranno a lavorare in Russia, anche a Berlino la logica delle “sanzioni più dure” sembra mostrare le prime crepe.
I ministri delle finanze e degli esteri della Germania si dicono contrari al divieto di importazione di gas, petrolio e carbone dalla Russia come parte delle nuove sanzioni per l’invasione dell’Ucraina. “E’ importante essere in grado di tenere (le sanzioni) a lungo termine”, ha affermato il capo diplomatico Annalena Baerbock al canale ARD.
“Non serve a niente se fra tre settimane scopriamo che ci restano solo pochi giorni di elettricità in Germania e quindi dobbiamo tornare su queste sanzioni”. “Siamo pronti a pagare un prezzo economico molto, molto alto” ma “se domani in Germania o in Europa si spengono le luci, non si fermeranno i carri armati”, ha aggiunto Baerbock in un’intervista alla ZDF. “Se queste sanzioni fermassero questa guerra, le prenderei immediatamente”, ha osservato il ministro. Secondo il capo della diplomazia statunitense, Anthony Blinken, gli Stati Uniti stanno “discutendo molto attivamente” la possibilità di vietare le importazioni di petrolio russo. Anche il ministro delle finanze tedesco Christian Lindner si è mostrato scettico. “Non dobbiamo limitare la nostra capacità di sostentamento” e “decidere un embargo unilateralmente avrebbe un impatto negativo su questa capacità”, ha affermato al giornale Bild.
Anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz ha scartato oggi l’ipotesi di un embargo energetico alla Russia. “In questo momento, l’approvvigionamento energetico dell’Europa per la generazione di calore, la mobilità, l’elettricità elettricità e l’industria non può essere garantito in nessun altro modo”, ha affermato.
L’energia proveniente dalla Russia è essenziale per la vita quotidiana dei cittadini europei, ha aggiunto, ed è per questo che l’Unione Europea ha escluso un embargo energetico dalle sanzioni imposte a Mosca. Il leader tedesco ha spiegato che si sta lavorando su alternative all’energia russa, ma il processo richiederà tempo. “Pertanto, è una decisione consapevole da parte nostra quella di continuare le attività con le aziende del settore energetico russo”, ha affermato.
Volontari e mercenari
Oltre 100mila volontari si sono uniti alle forze di difesa territoriale ucraina da quando è iniziata l’invasione russa. Lo ha dichiarato il 5 marzo il vice ministro della Difesa Hanna Malyar, citato dall’agenzia Unian. Le unità di volontari, ha aggiunto il vice ministro, non verranno smobilitate alla fine della guerra ma invece verranno incorporate nelle forze di difesa ucraine.
Kiev ha reso noto inoltre che un’unità speciale della “Legione Internazionale” è stata creata sotto il controllo del Ministero della Difesa ucraino e sta già svolgendo missioni di combattimento. Gli ucraini annunciano che ad oggi oltre 20mila volontari e veterani di 52 paesi hanno espresso il desiderio di unirsi ai suoi ranghi per combattere i russi. Si tratterebbe per lo più do combattenti esperti che hanno partecipato a molte campagne di in tutto il mondo.
Sempre fonti ucraine rivelano inoltre che la società militare privata russa Gruppo Wagner avrebbe allestito una base nella città russa di Rostov-sul-Don, dove starebbe reclutando mercenari per combattere contro l’Ucraina.
Già presenti sui campi di battaglia ucraini sono invece i combattenti ceceni. Con i russi vi sarebbero almeno 10 mila “kadyrovtsy”, truppe fedeli al presidente ceceno Kadirov e già impiegate in Siria e nel Donbass. Fonti di stampa riferiscono che truppe cecene sono state avvistate a nord di Kiev e opererebbero nel settore della capitale ucraina.
Al fianco degli ucraini combattono altri volontari ceceni, ostili alle forze governative del presidente Kadyrov e alla Russia. Tra questi vi sono esperti veterani delle milizie jihadiste che hanno combattuto i russi appartenenti ai battaglioni Sheikh Mansur (segnalato a Mariupol secondo fonti citate dall’ANSA) e il battaglione Dzhokhar Dudayev, la cui ricostituzione è stata annunciata, pochi giorni fa in un messaggio video dal leader Adam Osmaev, anch’egli veterano del Donbass. “Voglio assicurare agli ucraini che i veri ceceni stanno difendendo l’Ucraina oggi”, afferma Osmaev, “questi burattini che combattono per la Russia sono una vergogna per tutta la nostra nazione: li consideriamo solo traditori”.
Tra i volontari arruolati per la guerra in Ucraina non potevano mancare i siriani, protagonisti sui due lati della barricata di diversi conflitti: quelli arruolati tra le forze governative di Damasco già impiegati dai russi in Libia e nel Caucaso quelli arrolati tra i miliziani jihadisti utilizzati dai turchi in Nagorno Karabakh e prima nella tessa Libia.
Secondo quanto riferito da media panarabi, che citano fonti nella capitale siriana, gli emissari russi e i loro clienti locali a Damasco hanno cominciato ad arruolare migliaia di mercenari siriani da inviare sul fronte ucraino.
Come rivela il quotidiano panarabo Ash-Sharq al-Awsat, lo stipendio offerto agli aspiranti mercenari è di mille dollari statunitensi al mese, a patto pero’ che il combattente si impegni a rimanere al fronte per sette mesi, fino a ottobre prossimo.
Nel testo del contratto, citato dal giornale panarabo, si cita la ragione dell’arruolamento: “proteggere le infrastrutture in Ucraina”. Una dicitura che ricorda espressioni analoghe usate da Mosca per arruolare combattenti siriani da inviare sul fronte libico.
L’ANSA, che ha ripreso la notizia, non è però riuscita finora a trovare conferme di questo fenomeno nelle zone controllate dal governo siriano. Alla luce della forte svalutazione della Lira siriana, chi riesce oggi a ricevere uno stipendio di mille dollari al mese può mettere al sicuro la famiglia per almeno tre mesi. Secondo le fonti citate dai media, il contratto per l’arruolamento viene stipulato direttamente tra i rappresentanti russi in Siria e i combattenti, senza l’intervento delle autorità di Damasco ma chi si arruola beneficia del rinvio della chiamata di leva obbligatoria nella Siria in guerra.
FONTE: https://www.analisidifesa.it/2022/03/il-punto-sulla-guerra-in-ucraina/
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