Terzo rapporto IPCC sulla mitigazione del cambiamento climatico: al massimo tre anni per invertire la rotta
di SCIENZA IN RETE (Jacopo Mengarelli, Margherita Ghiara)
Anche per quanto riguarda il contrasto al cambiamento climatico, non siamo affatto sulla buona strada. Ma il tempo ci sarebbe ancora, sebbene risicato, per fermare il pianeta sull’orlo critico di un riscaldamento superiore a 1,5°C. È questo il messaggio che ci consegna l’ultimo rapporto pubblicato dal Working Group III dell’IPCC, che affronta tutti gli aspetti legati alla mitigazione del cambiamento climatico, quindi alla riduzione delle emissioni di gas serra.
L’analisi della letteratura scientifica svolta da un totale di 278 autori, tra cui solo cinque ricercatori italiani, mostra chiaramente come il decennio 2010-2019 sia stato caratterizzato, ancora una volta, da una tendenza positiva e in crescita, con emissioni medie annue di gas a effetto serra superiori rispetto a qualsiasi decennio precedente. Dal 1850, infatti, le emissioni continuano ad aumentare e con esse i rischi e gli impatti legati al cambiamento climatico, ampiamente discussi dal Working Group II.
In particolare, il 2019 è stato caratterizzato dal più alto valore di emissioni di gas serra dal 1990, equivalente a 59 GtCO2eq (giga tonnellate di CO2 equivalenti). Nonostante questo valore sia stato determinato da un aumento di emissioni da parte di tutti i settori, di particolare rilevanza sono stati – come prevedibile – l’utilizzo di combustibili fossili del settore energetico e il settore industriale. Le emissioni decennali causate dall’approvvigionamento energetico rappresentano infatti circa il 34% delle emissioni totali, seguite dal 24% del settore industriale. Agricoltura, silvicoltura e uso del suolo, così come trasporti ed edilizia, hanno portato invece a minori quantità di emissioni se paragonate agli altri settori, ma restano comunque di particolare rilevanza nello sviluppo di azioni di mitigazione efficaci.
Il grafico mostra che il Nord America è la regione maggiormente responsabile delle emissioni di CO2 nette storiche cumulate, a seguire l’Europa e l’Asia orientale. Interessante che il Medio Oriente sia paragonabile, con il suo 2%, all’intero comparto dell’aviazione e della navigazione internazionale. Il Nord America primeggia, per altro, anche considerando le emissioni pro capite. Fonte: p. 12 (b, c) SPM.
Questi dati allarmanti, così come i risultati ottenuti dagli altri Working Group, rappresentano quindi la base del lavoro del Working Group III, che ha identificato e valutato percorsi futuri a breve (fino al 2030), medio (fino al 2050) e lungo (fino al 2100) termine, evidenziando come sia indispensabile ridurre le emissioni di gas serra, in particolare di CO2 e metano, del 43% rispetto ai valori del 2019 per limitare l’aumento di temperatura di 1,5°C entro il 2030. Una riduzione così ambiziosa, secondo il rapporto, è attuabile attraverso l’azzeramento delle emissioni di CO2, e non necessariamente di tutti i gas serra, raggiungibile tramite un cambiamento trasformativo, sistematico e sostenuto che porti quindi ad una decarbonizzazione completa del nostro sistema in modo rapido e immediato.
Infatti, tra i vari percorsi futuri identificati dal rapporto, quelli che permettono di limitare il riscaldamento a 1,5°C senza o con un limitato overshoot vedono un picco di emissioni globali di CO2 al più tardi entro tre anni, quindi prima del 2025. Raggiunto il picco, questi percorsi toccano poi nel 2030 livelli di emissioni di CO2 inferiori del 48% rispetto agli elevati valori del 2019, per arrivare poi allo zero netto entro i primi anni 2050. Per quanto riguarda invece l’emissione generica di gas serra, gli stessi percorsi vedono una riduzione di valori del 43% entro il 2030 e dell’84% entro il 2050, sempre rispetto ai livelli del 2019. Questi sono quindi gli obiettivi che dovremmo prefiggerci per rimanere coerenti con quanto stabilito durante l’Accordo di Parigi e per limitare gli impatti del cambiamento climatico sulle nostre società e sui vari settori che le compongono.
Di seguito sono riportati gli scenari analizzati dal rapporto, confrontati con le politiche attuali e gli NDCs presi alla scorsa COP26. Con le politiche precedenti alla COP26 di novembre 2021, probabilmente si eccederebbe il 1,5°C di aumento e sarebbe complicato restare finanche sotto i 2°C. Si ricorda, in ogni caso, che l’Agenzia internazionale per l’energia ha stimato che con gli obiettivi fissati alla COP26, probabilmente si riuscirebbe a stare sotto 1,8°C.
Nella stesura del rapporto, il Working Group III ha analizzato diversi settori, in particolare energia, agricoltura, città, edifici, industria e trasporti, valutando per ciascuno di questi anche fattori trainanti, ostacoli e opzioni attualmente disponibili per una mitigazione efficace, che permetta appunto di diminuire drasticamente i livelli di emissioni attuali e concretizzare quei percorsi che portano alla limitazione desiderata di riscaldamento globale. Nello specifico, il rapporto evidenzia molti ostacoli e sfide date dall’implementazione di strategie di mitigazione, come per esempio la dipendenza da tecnologie con elevati investimenti iniziali, quale il nucleare. Allo stesso tempo, però, lo stesso rapporto sottolinea anche diversi benefici che le varie strategie di mitigazione possono portare con loro, sia in termini di benessere generico della popolazione, che per quanto riguarda l’adempimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs).
Di particolare rilevanza sono i capitoli dedicati al settore energetico e industriale, dato il loro spiccato contributo nelle emissioni totali di gas serra, al settore agro-forestale, che risulta essere l’unico settore in grado di portare a una rimozione e all’accumulo di CO2, così come i capitoli dedicati alla domanda e ai cambiamenti comportamentali, importante novità nel lavoro del Working Group III, e a tecnologia e innovazione, che coprono un ruolo decisivo nello sviluppo di strategie di mitigazione.
Energia e industria
Sebbene siano stati osservati numerosi passi in avanti rispetto a quanto riportato nel precedente rapporto di valutazione dell’IPCC del 2014, come anche ricordato da Massimo Tavoni, uno dei lead author italiani, durante il webinar di presentazione del rapporto organizzato dal Centro Euromediterraneo sul Cambiamento Climatico (CMCC), la strada da fare nei settori energetico e industriale è ancora molta. Il contributo del Working Group III mostra infatti nitidamente la forte necessità di una riduzione sostanziale dell’uso complessivo di combustibili fossili e del passaggio a fonti di energia a basse emissioni, se non addirittura nulle.
Allo stesso tempo, il rapporto evidenzia anche una repentina riduzione dei costi delle fonti di energia rinnovabile, con particolare riguardo verso l’energia solare (diminuita dell’85%), l’energia eolica (diminuita del 55%) e le batterie agli ioni di litio (diminuite dell’85%). Questa riduzione dei costi, come anche il forte aumento nella diffusione dell’energia solare e dei veicoli elettrici (aumentati rispettivamente di 10 e 100 volte), rappresenta quindi uno spiraglio di luce, che aumenta l’attrattività economica della transizione energetica.
Nel grafico si vede la drastica riduzione dei costi delle principali tecnologie rinnovabili e la loro concomitante adozione in crescita. Fonte: p. 14 SPM.
Nonostante le numerose sfide operative, tecnologiche, economiche, normative e sociali, sono molte le soluzioni sistemiche che possono portare ad accogliere grandi quote di energie rinnovabili nel sistema energetico, quali accoppiamento di settori, stoccaggio di energia, utilizzo di biocarburanti sostenibili e idrogeno elettrolitico e derivati. Inoltre, secondo quanto riportato nel rapporto, numerosi sono anche i benefici che questa transizione porta collateralmente, quali miglioramenti della qualità dell’aria e della salute.
Non solo notizie negative emergono quindi dal rapporto, che denota anche come l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 nel settore industriale sia impegnativo ma comunque possibile. In particolare, l’adozione di nuovi processi di produzione che utilizzano elettricità, idrogeno, combustibili e gestione del carbonio a basso o nullo contenuto di gas serra rappresenta la via principale verso questo azzeramento. Fondamentale per il settore industriale è inoltre il coordinamento di tutte le attività presenti nei processi produttivi, dalla gestione della domanda all’efficienza energetica e i flussi circolari di materiali.
Settore agro-forestale
Nonostante non possano compensare completamente l’azione ritardata in altri settori, l’attuazione di opzioni di mitigazione nel settore agro-forestale e nell’utilizzo del suolo, se implementate in modo sostenibile, può fornire importanti riduzioni delle emissioni di gas serra su larga scala secondo quanto riportato nel rapporto. Infatti, questo è l’unico settore in grado di rimuovere ed accumulare CO2. In particolare, come ricordato da Lucia Perugini durante il già citato webinar del CMCC, delegata italiana nella Sessione IPCC, «il settore agro-forestale ha un potenziale di mitigazione molto elevato, in quanto può fornire il 20-30% della mitigazione globale nel 2050».
Nello specifico, alcune delle attività con un potenziale di mitigazione spiccato sono rappresentate dalla protezione, migliore gestione e ripristino di foreste e altri ecosistemi, quali zone umide costiere e torbiere, e dall’agricoltura, in termini per esempio di gestione del carbonio nel suolo di terreni coltivati e prati o di agroforestazione, ovvero un approccio di gestione del territorio che combina alberi e arbusti con sistemi di coltivazione e allevamento.
Come per tutti i settori, anche in questo caso sono presenti diversi ostacoli e barriere, che possono derivare per esempio dall’impatto del cambiamento climatico, dalla concorrenza delle richieste di terra, dai conflitti con la sicurezza alimentare, dalla complessità dei sistemi di proprietà e gestione della terra e da aspetti culturali. Allo stesso tempo, però, numerosi sono anche i co-benefici che possono derivare dalle azioni di mitigazione nel settore, quali la conservazione della biodiversità, il funzionamento dell’ecosistema, il miglioramento della qualità dell’aria, l’aumento di disponibilità e qualità dell’acqua e della produttività del suolo, la sicurezza alimentare e il benessere umano.
Tecnologia e innovazione
Il rapporto dà particolare importanza al ruolo della tecnologia e dell’innovazione, sia nel penultimo capitolo sia trasversalmente in molti degli altri. Abbiamo fatto qualche domanda su questi e altri temi a Elena Verdolini (Fondazione Eni Enrico Mattei, Centro Euromediterraneo sul Cambiamento Climatico) che è lead author per il capitolo sull’innovazione, lo sviluppo e il trasferimento tecnologico, e che si è occupata anche del Summary for Policymakers.
Ci spiega infatti che «a oggi esistono una serie di opzioni tecnologiche disponibili in tutti i settori dell’economia che, se portate su larga scala, ci potrebbero già fornire la metà della riduzione delle emissioni che ci servono arrivare al 2030». Quindi abbiamo già oggi la tecnologia sufficiente per avviare la transizione energetica, «nel settore dell’energia, nel settore dei trasporti, per gli edifici, ci sono tecnologie disponibili per l’industria. Ovviamente questi settori sono a livelli diversi. Il settore dell’energia è quello più avanzato e anche quello dove c’è stata più azione negli anni passati».
Di seguito riportiamo il grafico tratto dal Summary for Policymakers che elenca le varie tecnologie esistenti oggi disponibili per ridurre della metà le emissioni nette al 2030. Le barre sono anche colorate in funzione dei costi sul ciclo di vita. Salta all’occhio come solare ed eolico siano le due fonti energetiche più efficaci e meno costose, seguite dalle misure di lotta alla forestazione. I segmenti azzurri indicano un guadagno economico netto per tonnellata di gas serra risparmiata. In poche parole possiamo tranquillamente dire che investire nella transizione ecologica conviene.
La lunghezza delle barre quantifica le giga tonnellate di CO2 equivalente risparmiata per anno, i colori i potenziali guadagni (azzurro) e i costi. Fonte: p. 51 SPM.
Elena Verdolini ci spiega quindi che è importante attuare «politiche che aiutino a promuovere la diffusione delle tecnologie che sono già disponibili, ma per fare l’altra metà strada è necessario continuare a investire in ricerca e sviluppo».
Una riflessione interessante è da fare per il settore delle tecnologie digitali, che ha sia benefici che costi ambientali. Dice Verdolini che «sono indispensabili, per esempio, gli smart meters per ottimizzare la produzione energetica da pannelli solari, ma poi ci sono tante opzioni digitali, senza le quali sarebbe impossibile fare la transizione, nel settore degli edifici, come il controllo automatizzato della domanda di energia o il controllo della temperatura interna alle case». Inoltre, «le tecnologie digitali giocano un ruolo fondamentale nell’informare i consumatori e renderli attivi nella gestione dell’energia, si pensi alle app pensate per la “mobilità integrata”, dal car sharing al trasporto pubblico, e così via».
Non è da trascurare però la gestione di energia e risorse necessarie per sostenere la produzione e lo smaltimento del digitale: «anche se noi usassimo il digitale con energia verde, i metalli comunque li consumeremmo, con tutti i problemi noti relativi all’estrazione delle materie prime». C’è quindi bisogno di migliorare questo aspetto, che riguarda anche gli obiettivi di sviluppo sostenibile relativi all’equità sociale. Le tecnologie digitali, in generale, hanno bisogno di «essere accompagnate da una serie di misure che riescano a guidarle nella direzione giusta, si pensi alla protezione della privacy, tra le altre».
Politiche e finanza
Sebbene almeno il 90% delle emissioni globali di gas serra sia coperto da obiettivi climatici, solo il 53% è coperto da leggi “dirette” sul clima. Da questo punto di vista, Verdolini ci ricorda che «ovviamente ci vuole un po’ di tempo per decarbonizzare l’economia, ma pur nella sua gradualità, deve essere una transizione comunque abbastanza repentina», che è un po’ il succo di tutto il rapporto.
«La storia delle tecnologie rinnovabili ci insegna che ci sono tecnologie di prima generazione che poi entrano sul mercato, tornano in laboratorio per essere migliorate ulteriormente, perché quello dell’innovazione non è un sistema lineare». Serve premere molto sugli «investimenti pubblici, perché siamo in presenza di un mercato con delle esternalità che il privato non è sufficientemente preparato ad affrontare». E inoltre, il ruolo pubblico è importante perché «una volta che una tecnologia costa poco, non è detto che si diffonda da sola, ma serve scardinare abitudini radicate che frenano l’introduzione dell’innovazione nella società».
Gli strumenti di policy sono sostanzialmente di due tipologie: legislativi ed economici. Da un lato serve introdurre nuove leggi, regolamenti e norme, dall’altro è necessario agire di più con strumenti «di mercato, come forme di tassazione della CO2 o incentivi di vario genere, dalla promozione dei veicoli elettrici notoriamente capital intensive», cioè che consumano grandi capitali e vanno quindi agevolati.
Verdolini spiega che le storie di successo in questo senso sono sostanzialmente relative ai paesi più avanzati e non si possono certo inserire gli stessi strumenti in paesi meno sviluppati, con contesti molto diversi, «a scatola chiusa». Questo perché esistono una serie di motivi tecnici, tecnologici, gestionali, politici e di accettazione sociale. Tra le cose più importanti che infatti segnala il rapporto c’è il consenso sociale, senza il quale sarà piuttosto complesso decarbonizzare tutti i settori della società.
Comportamenti individuali: dieta, trasporti e infrastrutture
A proposito del punto di vista sociale, «c’è un capitolo intero per la prima volta dedicato alla domanda di energia, cioè alle modifiche dei comportamenti umani che ci possono aiutare nella decarbonizzazione», ci illustra Verdolini. «Si trovano in questo capitolo tutte le strategie, le tecniche che anche i singoli individui, singoli consumatori, possono mettere in atto per contribuire con azioni individuali, quindi piccole, ma che sommate su larga scala fanno veramente tanta differenza». Il potenziale di riduzione dei gas serra indicativo del cambiamento nei comportamenti individuali è infatti di circa il 40-70% entro il 2050.
Importanti azioni che possono portare a una maggiore mitigazione sono rappresentate per esempio dall’utilizzo di metodi alternativi di trasporto, quali la semplice bicicletta o i veicoli elettrici, o dalla riduzione del trasporto aereo. Altrettanto rilevanti sono anche azioni volte all’adattamento di città, edifici e vita privata mirate alla conservazione. Inoltre, di grande interesse sono le azioni mirate a una dieta sostenibile, inserite per la prima volta nel rapporto sulla mitigazione. «Se tutti gli individui modificassero le abitudini alimentari verso una dieta più bilanciata e più su base vegetale, quindi riducendo il consumo della carne, si avrebbe un contributo importante al taglio delle emissioni», spiega Elena Verdolini, specificando che «non è necessario completamente eliminare determinati cibi, ma ridurne la quantità aiuta».
Una modifica comportamentale piuttosto semplice da attuare, anche relativa al cibo, è evitare lo spreco. Secondo gli studi valutati dal rapporto, circa il 20-40% del cibo prodotto in tutto il mondo viene sprecato prima di raggiungere il mercato. E secondo le stime, questo spreco, tra il 2010 e il 2016, ha rappresentato fino al 10% delle emissioni totali di gas serra.
Ci sono altre due brevi considerazioni importanti da fare dal punto vista dei comportamenti individuali. Innanzitutto, la maggior parte di questi «cambiamenti comportamentali hanno sicuramente dei benefici aggiuntivi legati alla salute, alla qualità dell’aria e alla qualità della vita in generale». Inoltre, i decisori politici devono tenere presente che «chiedere di usare la bicicletta senza piste ciclabili» non si può fare. Ecco quindi che sono indispensabili massicci investimenti in infrastrutture che rendano possibile quel cambio di paradigma culturale necessario per modificare davvero i nostri stili di vita.
Conclusioni
Questo terzo volume del sesto Assessment Report IPCC è dunque di fondamentale importanza non solo per i decisori politici, ma per tutti noi. Risulta chiara la necessità di un cambiamento sistemico netto. Come ricorda Klaus Dodds, professore di geopolitica alla Royal Holloway dell’Università di Londra, «ora vanno fatte scelte dure ma giuste». Solo in questo modo, infatti, possiamo raggiungere un cambiamento reale, che può partire in parte anche da ogni singolo individuo attraverso una modifica delle richieste verso esigenze più sostenibili, per arrivare poi a una vera e propria rivoluzione intersettoriale delle nostre società e delle dipendenze dai combustibili fossili che le hanno caratterizzate finora. Per citare ciò che ha detto il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres alla presentazione del rapporto:
Questo rapporto del Comitato intergovernativo sul cambiamento climatico è una litania di promesse climatiche non mantenute. È un dossier della vergogna, che cataloga le promesse vuote che ci mettono saldamente sulla strada verso un mondo invivibile. […] Alcuni leader di governo e d’affari dicono una cosa – ma ne fanno un’altra. In poche parole, stanno mentendo. E i risultati saranno catastrofici. Questa è un’emergenza climatica. […] Ma i governi e le multinazionali inquinanti […] stanno soffocando il nostro pianeta, sulla base dei loro interessi acquisiti e degli investimenti storici nei combustibili fossili. […] È ora di smettere di bruciare il nostro pianeta e iniziare a investire nella abbondante energia rinnovabile che ci circonda.
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