La contestuale criminalizzazione della Russia e del metano
di COMIDAD
Come è noto, il casus belli dell’ingresso degli USA nella guerra del Vietnam, fu il famoso “incidente del Golfo del Tonchino”. Con tale espressione ci si riferisce ad una serie di episodi segnalati dalla US Navy e datati tra il 2 ed il 4 agosto del 1964. A distanza di pochi anni l’intera ricostruzione dell’accaduto si sgonfiò; in particolare si accertò che non vi era stato alcun attacco da parte nord-vietnamita contro le navi statunitensi. L’aspetto interessante della vicenda non sta tanto nello stabilire se l’incidente fu “cercato” o meno dagli USA, quanto invece nel rilevare come un “non evento” possa assumere le caratteristiche di una narrazione enfatica con effetti reali, come quelli di mobilitare un’intera opinione pubblica a favore della guerra.
A distanza di soli tre anni dal presunto “incidente del Golfo del Tonchino”, alla US Navy toccò invece di subire un attacco vero. Fu il più grave e sanguinoso attacco mai verificatosi dalla fine della seconda guerra mondiale ad un’unità navale statunitense, con trentaquattro morti ed oltre un centinaio di feriti nell’equipaggio della USS Liberty, una nave con compiti di rilevamento elettronico. Non si trattò neppure di un singolo attacco, ma di ben tre bombardamenti, due dei quali furono effettuati da aerei caccia, con l’uso persino di napalm; mentre il terzo bombardamento fu operato da unità navali, con l’uso anche di siluri. L’attacco avvenne tra i giorni 8 e 9 giugno 1967, e fu effettuato da aerei e da navi israeliane, nel corso di quella che venne chiamata “Guerra dei Sei Giorni”; anche se quella cronologia dovrebbe essere anch’essa oggetto di un riesame storico.
Il governo israeliano presentò le sue scuse per l’accaduto, motivandolo con l’errore di aver confuso la USS Liberty per una nave da guerra egiziana. Il comandante della USS Liberty fu decorato con medaglia d’onore del Congresso per il comportamento eroico tenuto sotto quello che fu definito “fuoco amico”, sebbene le testimonianze dei superstiti non avallassero affatto questa versione edulcorata. Secondo ricostruzioni successive, si è accertata la responsabilità diretta del governo israeliano nell’ordinare l’attacco; e addirittura che l’allora segretario alla Difesa USA, Robert McNamara, impedì a dei caccia della portaerei Saratoga di soccorrere la USS Liberty. Nonostante l’importanza dell’onorificenza concessa, questa venne consegnata all’interessato un po’ alla chetichella; infatti il caso dell’USS Liberty è stato ritenuto talmente imbarazzante da rimanere occultato per anni. La cosiddetta “Guerra dei Sei Giorni” era stata la più grande operazione-simpatia mai lanciata a favore di Israele, con risultati mirabolanti; e non era quindi il caso di rovinare l’immagine di Israele con la notizia di quei trentaquattro morti ammazzati e di quel centinaio di feriti.
Certi attacchi proditori ed efferati si addicevano di più agli Arabi; ed infatti si può immaginare come avrebbero reagito gli USA se il cosiddetto “errore” l’avessero commesso gli Egiziani. La cappa mediatica sulla cosiddetta “Guerra dei Sei Giorni” risultò ferrea, e la santificazione di Israele non ne rappresentava neppure l’aspetto principale, che invece consisteva nel modo di descrivere il “nemico” arabo, ed in particolare egiziano. L’immagine del nemico ricalcava lo schema di criminalizzazione-ridicolizzazione ancora oggi applicato con la Russia, per cui l’Egitto e i suoi alleati ci venivano rappresentati come prepotenti e feroci, ma al tempo stesso velleitari, inetti e incapaci. Sta di fatto che nel corso della guerra del 1967, numerosi prigionieri egiziani furono uccisi dall’esercito israeliano, in spregio alla mitica Convenzione di Ginevra. Ciò secondo la testimonianza di vari ufficiali israeliani, tra cui il generale in pensione Arye Biro, che si è giustificato dicendo di non aver avuto scelta. Magari i prigionieri egiziani pretendevano di essere alloggiati e sfamati a spese sue. Anche di questi crimini di guerra, qui da noi non abbiamo saputo nulla, sebbene le notizie a riguardo ormai risalgano agli anni ’90 e siano state diffuse proprio da storici israeliani. In Israele, come anche negli USA, si è diffuso un dissenso trasversale contro l’eccezionalismo, la mitologia del popolo superiore, con la quale le oligarchie piegano le classi subalterne a politiche imperialistiche contrarie ai loro interessi. Se non fosse stato per l’opera critica degli storici israeliani, in Italia staremmo ancora a raccontarci la barzelletta secondo cui i profughi palestinesi se ne erano andati mica perché bersaglio di stragi, bensì di propria volontà, per puro puntiglio; e quindi erano colpevoli della propria condizione di profughi, in base al principio del “chi va via, perde il posto all’osteria”.
La morale della favola è abbastanza banale. Parlare semplicemente di “propaganda bellica” è piuttosto riduttivo, poiché l’informazione stessa è un’arma di guerra. Si può essere chiamati ad indignarsi per eventi mai accaduti, mentre vengono celati fatti clamorosi, anche se segnati dalla presenza di numerose vittime. Questa alternanza di “inventa e nascondi” si inquadra nella gerarchizzazione antropologica tra popoli superiori e popoli inferiori; e l’acritica credulità è dovuta proprio al senso di superiorità occidentalista, che illude di poter accedere alle sfere superiori del sapere per il fatto stesso di far parte di questo mondo moralmente ed intellettualmente privilegiato. A chiunque tocca prima o poi di rendersi conto che lo Stato e la legge sono alibi mitologici per potentati arbitrari e trasversali al legale ed all’illegale, al pubblico ed al privato; ma questo purtroppo è soltanto il primo livello del problema, dato che questi poteri sono intrecci caotici di spinte lobbistiche, che li portano a strafare e sbracare. Non esiste perciò nessuna linearità strategica o razionale con la quale confrontarsi.
Si ricorderà quando i cosiddetti no-vax venivano chiamati “ignoranti”. Si trattava sicuramente di ignoranza, ma nel senso del rendersi conto che le informazioni a propria disposizione sono un po’ troppo limitate o provenienti da fonti in conflitto di interessi; mentre l’ignoranza assoluta è quella di chi presume di sapere in base ad un imbonimento pubblicitario che, insieme con la merce, ti vende senso di superiorità intellettuale e morale. Non per nulla i “boh!-vax” erano molto più odiati dei no-vax. Il riferimento ai sieri spacciati per vaccini, non è casuale, dato che non esistono solo guerre tra nazioni, ma anche guerre di classe e guerre inter-capitalistiche; e questi vari tipi di guerre spesso si intrecciano e si confondono. Con le mostruosità del lockdown, del green pass e dell’ossimoro dell’obbligo al consenso vaccinale, l’oligarchia dell’Italietta non si è limitata a fare gli interessi delle multinazionali farmaceutiche e del digitale, ma ha anche creduto di ascendere di status internazionale, esibendo davanti al mondo la propria capacità di controllo sociale.
Si sta parlando molto degli effetti della guerra tra Russia e NATO in territorio ucraino riguardo alle forniture e al prezzo del gas metano. D’altra parte c’è da osservare che, contestualmente alla criminalizzazione della Russia, vi è stata anche una criminalizzazione del metano. Negli ultimi anni infatti i mitici “studi scientifici” hanno accertato, come al solito “senza ombra di dubbio”, che il metano è il principale gas-serra, quindi responsabile diretto del riscaldamento climatico. Il metano era stato lanciato negli anni ’80 come il grande business dell’energia pulita ed a basso costo; adesso scopriamo invece che il metano non è il bravo ragazzo che credevamo, ed è stato collocato nell’elenco dei “vilain”. Anche se ci sono gradazioni pure nella cattiveria; il metano norvegese non è tanto cattivo, magari un po’ tonto come Stoltenberg; mentre quello russo è malvagio come Putin.
Anni prima dell’inizio della guerra, la priorità della Commissione Europea non era quella di liberarci dal carbone, ma proprio dal metano, colpevole probabilmente di essere ancora più abbondante ed economico del carbone. Occorre anche ricordare che il Cancelliere Scholz aveva rinunciato a rendere operativo il gasdotto North Stream 2 prima che iniziasse l’invasione dell’Ucraina. Guerra o non guerra, la deindustrializzazione dell’Europa era già stata annunciata e preparata, dato che il business delle energie alternative per ora è un fenomeno fatto soprattutto di bolle finanziarie, e non presenta un corrispettivo produttivo tale da compensare il mancato impiego dei combustibili fossili. Nulla ci assicura che tutta la narrativa sulle energie green e sullo status di superiorità morale che conferiscono, corrispondano ad intendimenti effettivi e ad investimenti nell’economia reale tali da sostituire il fossile. Il dato certo riguarda solo il maggiore prelievo sul reddito delle classi subalterne a causa dell’aumento delle tariffe energetiche.
Fonte: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=1163
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