La competizione tra grandi potenze, che per il giornalismo è la Guerra fredda 2.0 e che papa Francesco ha definito la Terza guerra mondiale in frammenti, è entrata nel vivo a cavallo tra la fine dello scorso decennio e l’inizio dell’attuale.
Colpi di stato, guerre per procura, guerre civili, guerre clandestine e rivoluzioni pilotate sono diventate la regola, la cifra caratteristica della contemporaneità, colpendo indistintamente paesi sviluppati e sottosviluppati, paesi occidentali e non occidentali, democrazie e autocrazie, o, come avrebbe detto Benjamin Barber, McMondo e Jihad.
Periferie e zone intermedie del sistema internazionale hanno assunto un ruolo centrale nella ridefinizione degli schemi di potere globali. Negli arcipelaghi remoti del Pacifico occidentale, come le Salomone, competono energeticamente Cina e Stati Uniti. Nei ventri molli del defunto Secondo mondo, dalla Transnistria al Kosovo, sempre più fragile è il riposo di tensioni e rivalità entrate in letargo negli anni Novanta. E nel resto del pianeta, dai due poli all’Africa, proliferano nuovi capitoli dell’affollata competizione tra grandi potenze.
Lo Scramble for Africa 3.0
Corse coloniali e scontri egemonici che sanno di passato hanno avvolto l’Asia centrale, teatro di una riedizione in salsa multipolare dell’ottocentesco Torneo di ombre, l’Europa, ancora una volta manto erboso su cui s’affrontano gli Stati Uniti e la superpotenza in divenire di turno, l’Iberoamerica, l’Artide, l’Antartide e l’Africa. Eventi che hanno catapultato il sistema internazionale in un’epoca nuova eppure familiare, un calderone di déjà vu in cui è possibile trovare elementi del 1884, del 1914, del 1939 e del 1954.
Nell’Artide è una gara al futuro: l’obiettivo sono le acque, oggi ghiacciate, che un domani potrebbero essere attraversate da una rotta marittima dalle conseguenze paradigmatiche per la globalizzazione. Nel Pacifico occidentale è un tutti contro uno avente un solo scopo: impedire che la Cina sfondi il sistema della catena di isole che dal secondo dopoguerra la ingabbia in una dimensione terrestre. In America Latina è sfida alla dottrina Monroe ed è competizione per il litio. E in Africa, il forziere dei tesori del mondo, si trova la più elevata concentrazione di tasselli della terza guerra mondiale in frammenti.
Ogni continente è destinato ad avere un ruolo decisivo nella scrittura del finale della competizione tra grandi potenze. L’Africa, per motivi demografici, geostrategici e geoeconomici, potrebbe rappresentare per la seconda parte del Duemila (e oltre) ciò che l’Asia è stata per la prima: motore dell’economia globale e fabbrica di storia.
Benedetto dalla natura, e per questo inevitabilmente tormentato dall’Uomo, il continente nero ha assistito all’accensione di un nuovo scramble for Africa, il terzo da fine Ottocento, che ha principalmente origini e ragioni nella sua straordinaria ricchezza. L’Africa è, infatti, il contenitore di quasi tutto il cromio e il platino del pianeta – circa il 90% –, di quasi la metà dell’oro – il 40% –, di un terzo delle risorse minerali, di un quinto dell’uranio, dell’8% dal gas naturale e del 7-12% del petrolio.
Lo Scramble for Africa 3.0 è innanzitutto una questione di egemonia economica e di sicurezza energetica: le sue risorse servono a mandare avanti le macchine delle società a benzina, a illuminare le strade delle società nucleari e a permettere la transizione verso le società verdi.
La globalizzazione esiste (anche) grazie all’Africa. Computer, telefoni, televisori e veicoli sono dei concentrati di minerali, dal cobalto al tantalio, che in larga parte provengono dalle miniere dell’Africa. Miniere frequentemente controllate da potenze extra-africane, come Cina o Francia, ma anche da guerriglieri e da terroristi, il cui contributo al funzionamento dell’economia globale è tanto alto quanto è basso il beneficio per le popolazioni locali.
La geografia del Grande gioco africano
Abbondanza geologica, imperativi geostrategici e logiche di mercato hanno reso l’Africa il teatro del più affollato dei grandi giochi che stanno svolgendosi all’interno della competizione tra grandi potenze, una babele in cui s’incontrano e si scontrano le strade di Iran e Israele, di Turchia e Arabia Saudita, di Emirati Arabi Uniti e Ungheria, di Cina e India, di Russia e Stati Uniti.
La vittima prediletta delle operazioni delle potenze partecipanti allo Scramble for Africa 3.0 è, molto spesso, la fatiscente Françafrique. Un po’ perché Parigi ha dimostrato di non essere (più) in grado di dare seguito a ciò che inizia, come dimostrato dall’involuzione della Libia in anarcolandia nel dopo-Gheddafi, e un po’ perché il risentimento che attraversa lo spazio postcoloniale francese può essere sfruttato per perseguire disegni espansionistici appoggiati da popoli saturi dell’antico dominatore.
Cina, Russia e Turchia hanno edificato le loro personali Afriche insediandosi nella Françafrique. La Cina ha utilizzato lo strumento economico, ovvero commercio – il 22% dell’import-export africano avviene col mercato cinese –, diplomazia degli stadi – 50+ le strutture costruite, rinnovate o donate –, investimenti – 300+ miliardi di dollari – e prestiti – 80+ miliardi di dollari. La Turchia ha investito in cooperazione allo sviluppo, diplomazia religiosa e sicurezza. E la Russia ha rispolverato tattiche dell’era sovietica come la cooperazione mediatica, la formazione delle classi dirigenti e il colpo di stato.
Il Niger nel nuovo Scramble for Africa
Il Niger riveste un ruolo centrale all’interno dell’edizione africana del Grande gioco globale, perciò il golpe militare di fine luglio non è stato accolto dalle potenze regionali e occidentali con lo stesso immobilismo che aveva invece caratterizzato le loro reazioni all’instabilità nel Sudan e ai rovesciamenti nel Sahel.
Possessore di risorse naturali dal valore strategico come l’uranio – le cui esportazioni soddisfano il 15% della domanda francese e il 25% di quella europea –, fermata di possibili maxi-infrastrutture energetiche – come il Gasdotto Transahariano –, punto di snodo delle rotte migratorie che puntano all’Europa, nonché centro nevralgico delle operazioni antiterrorismo e controinsurrezione di Stati Uniti e Ue, che qui dispiegano un totale di 3000+ soldati, il Niger è il più importante tra i paesi del Sahel.
Geostrategia, geoeconomia e rischio politico si mescolano nel calcolo che stanno facendo Stati Uniti, Francia e Comunità Economica degli stati dell’Africa occidentale. Non intervenire equivarrebbe a consegnare il Niger all’asse Russia-Cina, con tutto quello che comporta – come la militarizzazione dei flussi migratori –, e ad aumentare le probabilità di un effetto contagio nell’area. Intervenire potrebbe essere un successo, nel caso del ristabilimento indolore della presidenza Bazoum, come potrebbe essere un disastro, nel caso in cui scoppiasse una guerra regionale.
La Russia ha sceneggiato un capolavoro strategico nel Sahel, al di là di quella che sarà la sua durata nel tempo, che è destinato a restare negli annali. Poco alla volta ha inglobato pezzi di deserto, avendo come meta la contendibilità dell’intoccabile Niger, ottenendo la messa di Francia e Occidente all’angolo al momento della verità: desiderosi di intervenire, ma immobilizzati dalla paura di una guerra regionale. Scacco matto alla Françafrique.
FONTE:https://it.insideover.com/politica/il-niger-e-lo-scramble-for-africa-3-0.html
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