Sia chiaro, pareri solidi e certezze sono merce rara, e sarebbe tanto bello averne, con quel che succede dall’Ucraina a Gaza. Eppure, ci stiamo facendo l’idea che se in Medio Oriente non è ancora venuto giù tutto sia perché sta tenendo il patto tra Russia e Israele, e in particolare tra Vladimir Putin e Benjamin “Bibi” Netanyahu. Strano? No, per niente. Almeno per chi prova a guardare oltre le stentoree dichiarazioni di principio, che vano bene per i giornali ma nella politica internazionale contano fino alla dichiarazione successiva e di tenore opposto.
Secondo voi, nei rapporti tra i due Paesi davvero conta che Israele abbia a suo tempo condannato l’invasione dell’Ucraina o che Putin abbia tardato a commentare l’attacco terroristico degli islamisti di Hamas del 7 ottobre? Davvero pensate che Netanyahu si sia scandalizzato (Israele ha convocato l’ambasciatore russo per protestare) perché il vice ministro degli Esteri russo Bogdanov ha ricevuto a Mosca una delegazione di Hamas e il vice-ministro degli Esteri dell’Iran? O che abbia messo Putin sulla lista nera perché sostiene la soluzione “due popoli due Stati” o perché il rappresentante permanente della Russia alle Nazioni unite, Vasilyj Nebenzia, ha dichiarato che “Israele non ha diritto all’autodifesa in quanto potenza occupante, come confermato dalla sentenza della Corte internazionale di Giustizia nel 2004. Nello stesso tempo, la Federazione Russa riconosce a Israele il diritto a garantire la propria sicurezza”? Di tutte queste schermaglie Netanyahu se ne frega, e non da oggi. Così come a Putin non fa né caldo né freddo se l’ambasciatore russo si prende una lavata di capo dal ministero degli Esteri di Israele. La sostanza è altrove.
La sostanza sta in un rapporto collaudato nei decenni, almeno da quando Vladimir Putin compì il suo primo viaggio in Israele, nel 2005, e lì fece tre cose: proclamò con forza il diritto di Israele e difendere la propria esistenza; offrì Mosca come “tavolo” per un negoziato con i palestinesi; e soprattutto accettò la richiesta dell’allora premier Ehud Olmert e bloccò la fornitura di missili Kinzhal alla Siria. Da allora la relazione si è approfondita, complice anche il fatto che nel frattempo la componente russofona della popolazione israeliana è arrivata al 15% del totale. Per quale ragione, secondo voi, Israele è stato l’unico Paese del cosiddetto “Occidente collettivo” a rifiutare armamenti all’Ucraina, negandole persino quell’Iron Dome che sarebbe tanto servito agli ucraini per meglio difendersi dai missili russi? Perché Netanyahu, che nelle settimane dopo il 7 ottobre ha ricevuto la Meloni, il premier inglese Sunak e altri leader stranieri, ha rifiutato di accogliere il presidente ucraino Zelensky, che per di più è di famiglia ebrea? Guardando indietro: perché Ariel Sharon fu in pratica l’unico leader occidentale a non criticare l’intervento russo in Cecenia? Perché Israele nel 2008 non condannò l’intervento russo in Georgia e, anzi, sospese la collaborazione militare con il Governo Tbilisi?
La ragione è semplice, basta volerla vedere: a Israele la presenza russa in Medio Oriente sta benissimo. Perché entrambi i Paesi hanno due spettri: l’islamismo e l’instabilità. Ed entrambi custodiscono nella memoria la lezione del 2011, quando i moti delle Primavere arabe spalancarono le porte, dalla Tunisia al’Egitto, all’irruzione dell’islamismo. Così nel 2015, quando la Russia intervenne per salvare il regime di Bashar al-Assad in Siria, Israele tirò un sospiro di sollievo: ecco un argine all’Isis, che si stava costituendo in Stato, e un freno alla disintegrazione della Siria che sarebbe stata un grosso rischio anche per Israele. E infatti che cosa vediamo? Israele colpisce tranquillamente le basi delle milizie filo-Iran in Siria, perché i russi non mettono in funzione il sistema antiaereo S-400, che hanno fornito ai siriani ma che tengono sotto il proprio controllo. E vediamo anche che, rispetto al conflitto di Gaza e alle sparatorie con il Libano, le alture del Golan siriano sono piuttosto tranquille. In cambio: pensate a quanto avrebbe potuto fare Israele per abbattere Assad (e magari, perché no?, eliminarlo con uno dei suoi assassini mirati) e non ha fatto? Meglio Assad sotto il controllo dei russi dell’Isis con la via spalancata, ovvio.
Citare l’Iran ci porta anche a capire come stia funzionando il patto tra Netanyahu e Putin, oggi. Il via libera russo ai bombardamenti sulla Siria spiega che anche la Russia teme un eccessivo allargamento delle ambizioni iraniane, in Siria e altrove. Certo, l’Iran serve alla Russia, per i droni e molto altro. Purché stia al proprio posto e non diventi, a propria volta, un elemento di instabilità. È vero che la Russia guadagna da un eventuale rincaro del petrolio. Ma quanto ci rimetterebbe, invece, se la conflittualità tra Iran e Arabia Saudita (Paese leader dell’Opec + di cui la Russia fa parte) finisse fuori pista? Per farlo capire agli ayatollah, la Russia ha due strumenti: la questione del nucleare (Mosca fu mediatrice decisiva per l’accordo Usa-Iran del 2015, poi cancellato da Donald Trump nel 2018), oggetto in questi ultimi anni di una lunga trattativa tra Teheran e la Washington di Biden; e, appunto, le bombe di Israele sulle basi siriane dei pasdaran.
La Russia non può ignorare il fatto di avere un 20% della popolazione fedele all’islam. Il tentato pogrom antisemita in Daghestan dimostra che anche per il Cremlino la questione è delicata. Israele lo sa benissimo e in realtà non ha nulla in contrario a che Mosca parli con quelli di Hamas e con l’Iran. Qualcuno deve pur farlo, Mosca è l’unica ad avere i canali giusti, oggi, e a Israele va bene così. Anche perché Hamas e l’Iran, dopo le prime vittorie tattiche (terrore in Israele per l’uno, scompaginamento della strategia americana per l’altro), sono ora in un vicolo cieco strategico: i palestinesi stanno morendo come mosche, e un eventuale allargamento del conflitto scatenerebbe una reazione internazionale che farebbe saltare il Medio Oriente, certo, ma manderebbe a fondo almeno il Libano e l’Iran. che infatti parla e minaccia, ma non si muove. Ed è piuttosto probabile che a Mosca il vice-ministro degli Esteri iraniano se lo sia sentito spiegare.
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