La Russia è uno dei maggiori produttori di nucleare al mondo, che al momento soddisfa quasi un quarto del fabbisogno di elettricità nazionale, ma non è il più grande, nella classifica Mosca viene dopo gli Stati Uniti, la Francia, la Cina e il Giappone. La Russia è però nettamente in testa a quella dell’esportazione di tecnologie ed impianti per la produzione di energia nucleare. Tra il 2012 ed il 2021 dei 19 reattori nucleari avviati da Rosatom ben 15 erano ubicati in paesi stranieri, nello stesso periodo la Cina ne ha iniziati 29 di cui solo due all’estero.
A differenza degli altri grandi produttori, l’orizzonte di Rosatom va ben oltre i confini nazionali, l’introduzione delle sanzioni non lo hanno ridotto. Mosca ha perso soltanto un contratto con la Finlandia per la costruzione di un impianto a Hanhikivi che doveva iniziare nel 2023, ma ha continuato quello ungherese partito nel 2014, quello turco e tutti gli altri. A riprova, l’andamento dei guadagni di Rosatom provenienti dai progetti esteri: alla fine del 2023 erano pari a 16,2 miliardi di dollari, più dei 11,8 miliardi di dollari del 2022. Il trend ascendente, che in dieci anni ha raddoppiato i profitti, è destinato a continuare, le proiezioni sono per 58 miliardi di dollari annui entro il 2030 grazie alla penetrazione di mercati strategici come quello africano. E dato che Rosatom è un’impresa di Stato, la maggior parte dei guadagni copre i costi operativi e i contributi dello Stato, insomma finisce nei forzieri dello Stato.
Gli acquirenti non mancano anche tra nazioni che a differenza del Vietnam non hanno mai intrattenuto legami speciali con la vecchia Unione Sovietica, ad esempio lo Zimbabwe, il Mali, il Burkina Faso, il Brasile. Il motivo è presto detto: Rosatom offre loro un pacchetto completo, dalla progettazione alla costruzione, fino alla gestione dell’impianto, incluso naturalmente il finanziamento a tassi bassissimi. Con appena il 10 per cento della spesa, paesi come il Bangladesh, l’Uzbekistan o la Turchia avranno presto impianti nucleari made in Russia. Nessuno dei grandi produttori di energia nucleare è in grado di competere.
La costruzione di impianti nucleari richiede periodi lunghissimi, decenni, un arco di tempo sufficientemente lungo per allargare la cooperazione economica. Ed è quello che Putin sta facendo da anni nel mondo. Nel 2023, con il completamento del centro di ricerca nucleare in Bolivia, Mosca ha siglato un accordo con il governo per l’estrazione del litio, lo stesso anno ha avviato trattative con il Nicaragua, l’Uzbekistan ed il Tajikistan per la costruzione di centri medici. La visita in Vietnam rientra in questa strategia, frutterà nuovi accordi economici, che verranno firmati sullo sfondo della costruzione del primo impianto nucleare del paese, conosciuto come Ninh Thuan, da parte di una sussidiaria di Rosatom.
Il canovaccio non cambia da paese a pase. In India, Rosatom sta costruendo l’impianto di Kudankulam e Mosca ha da poco firmato un accordo per l’allargamento del numero di unità. Sulla base di questi accordi, le due nazioni hanno avviato un’alleanza economica più ampia, nonostante le tensioni tra Cina ed India e l’amicizia che lega Mosca a Pechino.
La diplomazia del nucleare non solo appare resiliente alle sanzioni occidentali ma dimostra un’abilità non indifferente nel superare ostacoli diplomatici tra diverse nazioni, nazioni soprattutto emergenti, che appartengono al Sud del mondo. L’amico del mio nemico, dunque, non è più automaticamente il mio nemico. La ragnatela che Rosatom tesse evita abilmente questo tipo di riflessioni perché congiunge la clientela al centro, al Cremlino, soddisfacendo con pochi soldi il sogno nucleare di queste nazioni. In quest’ottica, che Mosca sia amica o alleata del loro nemico è irrilevante. È questa una costruzione diplomatica nuova, che non mira alla creazione di un blocco, ad esempio quello occidentale o quello sovietico del passato, ma di una rete a maglie larghe che una singola nazione tesse da sola, anche nell’isolamento delle sanzioni, la Russia moderna.
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