Francia: dopo tre mesi cade di nuovo il governo, Macron all’angolo
di L’INDIPENDENTE (Dario Lucisano)
Dopo soli tre mesi il governo di minoranza del centrodestra repubblicano appoggiato dal “Rassemblement National” di Marine Le Pen è giunto al capolinea. Nella serata di ieri, mercoledì 4 dicembre, l’Assemblea Nazionale ha approvato con 331 voti su 577 la mozione di sfiducia presentata dalla coalizione di opposizione, il Nuovo Fronte Popolare, all’esecutivo guidato da Michel Barnier. Anche la destra di Le Pen ha votato a favore, opponendosi alla manovra di bilancio proposta dal premier. A uscire sconfitto è soprattutto il presidente Emmanuel Macron, che aveva sostenuto il governo Barnier per escludere dal potere la sinistra socialista de “La France Insoumise”, guidata da Jean-Luc Mélenchon, che aveva ottenuto la maggioranza relativa alle urne. Ora, davanti a una sinistra che sembra compatta e un parlamento diviso in tre blocchi, il presidente francese si ritrova tra le mani uno scarso ventaglio di possibilità, mentre l’approvazione della legge di bilancio sembra essere destinata a slittare al 2025.
La mozione di sfiducia contro il governo Barnier è stata votata ieri alle 19:00 ed è stata presentata dalla coalizione di sinistra del Nuovo Fronte Popolare, che è riuscita a raccogliere i voti della destra del Rassemblement National (la quale aveva presentato a sua volta una mozione di sfiducia) per una funzionale congiunzione di intenti. Barnier è ora tenuto a rassegnare le dimissioni davanti al presidente Macron, che ha la potestà di decidere se accettarle o rifiutarle. A innescare la crisi di governo è stata la tanto contestata legge di bilancio per il 2025. Questa si era pronunciata sin da subito come una misura particolarmente austera per via della crisi finanziaria del Paese, che costringeva il governo a effettuare tagli e manovre di contenimento della spesa pubblica che hanno scontentato tutte le parti. La manovra intendeva recuperare 60 miliardi e, come richiesto dall’Unione Europea, ridurre il deficit al 5% (-1,1%) entro la fine del 2025.
Barnier ha provato per mesi a raccogliere le adesioni della destra di Le Pen, della quale godeva di un appoggio esterno, fallendo negli intenti. Il primo ministro ha dunque provato una mossa disperata, appellandosi all’articolo 49 comma 3 della Costituzione, che permette di approvare un testo di legge in materia finanziaria senza passare dai voti del parlamento. La forzatura della legge di bilancio ha però un importante effetto di ritorno: i parlamentari hanno 48 ore dal momento in cui il premier fa uso dell’articolo 49 per sfiduciarlo. Barnier si è appellato al senso di responsabilità delle opposizioni, che tuttavia hanno deciso di fare fronte comune e fare cadere l’esecutivo. Il governo Barnier si costituiva infatti come una grande coalizione di centro volta a formare un cordone sanitario attorno agli “estremismi”: esso godeva del sostegno indiretto del Rassemblement National di Le Pen, che, pur non facendo parte del governo, ha in un primo momento deciso di non opporvisi in maniera diretta.
Ora Macron ha davanti poche alternative: rifiutare le dimissioni di Barnier e lasciarlo in carica, mettere in piedi un esecutivo tecnico o semi-politico per approvare la legge di bilancio e traghettare il Paese verso la prima data utile per indire elezioni, o aprirsi a uno dei due estremi. La prima opzione sembra per ora da escludersi, perché i partiti di opposizione non sembrano intenzionati a lasciare l’attuale primo ministro dove si trova. La seconda è già più probabile, ma non si sa ancora chi potrebbe ricevere l’incarico, e la terza apre a ulteriori possibilità: in teoria, Macron potrebbe optare per dare l’incarico alla destra o alla sinistra, ipotesi che sembrano in questo momento a dir poco astratte, oppure fare come già fatto per l’esecutivo Barnier, ossia scegliere una personalità che non goda dell’appoggio delle opposizioni, ma che allo stesso tempo garantisca il sostegno esterno di una delle due ali dell’Assemblea. Quest’ultima opzione sembrerebbe la più probabile, tanto che i maggiori quotidiani francesi stanno già valutando chi potrebbe essere la nuova nomina di Macron.
I nomi più gettonati sono quelli del ministro della Difesa, Sébastien Lecornu, e del leader centrista François Bayrou, che ripercorrerebbero la strada dell’apertura verso Le Pen. La coalizione di sinistra sembra infatti compatta e decisa a non allearsi con il centro, e l’opzione di sciogliere il Parlamento è irrealizzabile, perché la Costituzione francese prevede che passino almeno 12 mesi dall’ultimo scioglimento dell’Assemblea (e più precisamente, dalla data delle elezioni che ne seguono) prima che se ne verifichi un altro. Altro scenario che Macron continua a rifiutarsi di prendere in considerazione è quello delle dimissioni, anche se probabilmente di qui a breve dovrà scontrarsi con le pressioni delle opposizioni. La situazione della seconda economia comunitaria, insomma, è particolarmente ingarbugliata. Macron ha poche carte da giocare e qualsiasi scelta egli prenda la composizione del parlamento sembra destinare il Paese ad affrontare uno stallo politico; a complicare ancora di più il quadro parigino è la crisi economica, aggravata dalla mancanza di una legge di bilancio che, viste le condizioni, con ogni probabilità non verrà approvata entro la fine del 2024.
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