La UE rinuncia all’energia russa. L’industria chimica in fuga dall’Europa.
da ANALISI DIFESA (Gianandrea Gaiani)
Non paga del disastro energetico, economico e industriale determinato in Europa negli ultimi tre anni, la Commissione Europea ha varato il 6 maggio un piano per azzerare entro due anni l’acquisizione di energia dalla Russia: gas, GNL, petrolio e uranio arricchito per le centrali nucleari.
Presentando una roadmap per accelerare sul piano RePowerEu e azzerare del tutto entro il 2027 le importazioni da Mosca, la Commissione si è impegnata a presentare in giugno un divieto alle importazioni di gas russo sul mercato spot – sia contratti esistenti sia nuovi, un terzo degli acquisti in Ue – da rendere operativo già entro fine 2025 e un divieto per i contratti a lungo termine da attuare al più tardi entro fine 2027.
L’Ue ha già ridotto la quota di gas russo dal 45% nel 2021 al 19% nel 2024 (circa 54 miliardi di metri cubi), con previsioni di arrivare al 13% nel 2025. Mosca rappresenta però ancora il terzo fornitore di gas dopo Norvegia (45,6%) e Algeria (19,3%) mentre le forniture di GNL russo (17,5%) sono seconde solo a quelle statunitensi (45,3 %) e tra gennaio e aprile di quest’anno hanno raggiunto circa 46,8 miliardi di metri cubi, il 12% in più rispetto allo stesso periodo del 2024.
“Nel 2024 la UE ha versato circa 23 i miliardi di euro alla Russia per le forniture energetiche”, ha detto a Strasburgo il commissario all’Energia Dan Jorgensen che il 13 maggio ha aggiunto: ” Non vogliamo importare una sola molecola in futuro. Per la nostra sicurezza e la nostra solidarietà con l’Ucraina”.
“È ora che l’Europa tagli completamente i legami energetici con un fornitore inaffidabile”, ha dichiarato Ursula von der Leyen. “L’energia che ci arriva non deve pagare per una guerra di aggressione contro l’Ucraina”.
La diversificazione e l’aumento della capacità globale di GNL, in particolare da Stati Uniti, Canada e Qatar, secondo la Commissione permetteranno di assicurare l’approvvigionamento a prezzi stabili. Entro fine anno ogni nazione membra dovrà fornire a Bruxelles i piani nazionali con le rispettive tabelle di marcia per lo stop al gas russo mentre sono ancora dieci i Paesi che continuano a importare gas da Mosca, tra cui Spagna, Francia e Belgio per il GNL.
Il gas arriva in Europa attraverso il gasdotto TurkStream che attraversa il Mar Nero e che, paradossalmente, rifornisce anche l’Ucraina, come ha affermato in aprile il primo vicepresidente della commissione per l’energia del Parlamento ucraino, Oleksiy Kucherenko.
L’Ucraina ha bisogno di assicurarsi circa 4,5-6 miliardi di metri cubi (bcm) di gas sul mercato europeo per superare la prossima stagione di riscaldamento, con una parte di queste forniture inevitabilmente proveniente dalla Russia, ha affermato Kucherenko.
“Non sappiamo di fatto quale gas stiamo acquistando. Purtroppo, devo deludervi, stiamo sicuramente acquistando gas russo che viene fornito tramite il TurkStream e che va, ad esempio, in Serbia o in Ungheria. Non possiamo determinare l’origine delle molecole”, ha sottolineato Kucherenko ripreso da Caliber e da media russi inclusa l’agenzia TASS.
Furore ideologico
La UE ha annunciato in oltre la linea dura nei confronti di Ungheria e Slovacchia che ancora importano da Mosca l’80% del loro petrolio, in quanto esentate dal sesto pacchetto di sanzioni che ha vietato le importazioni via mare di greggio russo da fine 2022 e di prodotti petroliferi raffinati da febbraio 2023. Come per il gas, Budapest e Bratislava dovranno presentare dei piani per abbattere le importazioni rimanenti entro il 2027, mentre in Ue nel complesso arriva appena il 3% dell’import da Mosca.
La Commissione ha annunciato inoltre che introdurrà “misure commerciali” sulle importazioni di uranio arricchito russo per cercare le importazioni europee destinate ad alimentare le centrali nucleari.
Numerose le incognite rispetto a un piano europeo che appare basato soprattutto su criteri ideologici invece che economici. Se il conflitto in Ucraina si concludesse è probabile un allentamento delle sanzioni alla Russia e sarebbe impossibile sanzionare gli stati membri della UE che continuassero ad approvvigionarsi tramite le forniture russe, più vicine, affidabili ed economiche rispetto alla concorrenza.
La Commissione europea sta valutando opzioni legali per consentire alle aziende energetiche europee di invocare la “forza maggiore” e rescindere i contratti per il gas russo senza incorrere in sanzioni, misura un po’ tardiva da applicare tenuto conto che l’attacco russo all’Ucraina è del febbraio 2022.
La UE valuta anche misure per vietare alle aziende di stipulare nuovi contratti energetici con Mosca e l’applicazione dio sanzioni alle importazioni energetiche russe che non supererebbero però il veto di Ungheria e Slovacchia.
Dall’inizio della guerra in Ucraina, Gazprom e le aziende europee hanno intentato cause legali e azioni riconvenzionali per violazioni dei contratti del gas e mancati pagamenti. Reuters stima che queste controversie valgano circa 18,5 miliardi di euro. I contratti con la società russa del gas Gazprom includono condizioni “take-or-pay”, che impongono agli acquirenti che rifiutano le consegne di gas di pagare comunque fino al 95% dei volumi contrattuali.
Come previsto, il piano della Commissione UE è stato stroncato da Budapest. Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha dichiarato che “il piano della Commissione Ue, motivato politicamente, di bandire l’energia russa è un grave errore. Minaccia la sicurezza energetica, fa aumentare i prezzi e viola la sovranità”. Il ministro ha affermato che Budapest lo respinge con “fermezza” e ha accusato la Commissione di voler far “pagare all’Ungheria il costo del loro sostegno avventato all’Ucraina” e dell’”affrettata adesione dell’Ucraina all’Ue”.
Chimica in fuga dall’Europa
La stroncatura maggiore però viene dagli ambienti industriali. In un’Europa che a causa del caro energia chiude gli alti forni delle acciaierie e perde ogni mese quote di produzione industriale si aggiungono le prospettive di fuga dall’Europa del comparto chimico.
Cone ha riferito nei giorni scorsi l’Agenzia di stampa sull’energia e le infrastrutture (Ageei.eu), le aziende chimiche sono pronte all’uscita dall’Europa a causa degli elevanti prezzi dell’energia e della concorrenza dei nuovi impianti in Asia e Medio Oriente.
Secondo quanto ricostruito dal Financial Times in prima linea per attuare questa strategia ci sarebbe il gruppo chimico saudita Sabic che sta collaborando con una serie di banche quali Lazard e Goldman Sachs, per valutare opzioni, tra cui la vendita della sua attività petrolchimica europea. Gli asset petrolchimici in Europa di Sabic generano circa 3 miliardi di dollari di entrate e circa 250 milioni di dollari di utili prima di interessi, imposte, ammortamenti e svalutazioni all’anno,
Anche Dow, LyondellBasell, Shell e BP stanno valutando di vendere gli asset europei. Dow ha dichiarato a ottobre che avrebbe condotto una revisione strategica di alcuni asset regionali, una mossa arrivata subito dopo che l’americana LyondellBasell, aveva annunciato il lancio della propria revisione strategica per gli asset europei lo scorso maggio.
Sir Jim Ratcliffe, il miliardario proprietario del gruppo petrolchimico Ineos, ha invece lanciato l’allarme sulla possibile estinzione dell’industria chimica britannica proprio a causa degli alti prezzi dell’energia e delle tasse sul carbonio. A marzo, Ineos ha venduto la sua attività di compositi, che fornisce resine e rivestimenti per la produzione di plastica, per 1,7 miliardi di euro a KPS Capital Partners.
L’attività aveva 17 siti in Europa, Nord e Sud America, Asia e Medio Oriente. Il segnale che le aziende chimiche europee stanno cercando di assicurarsi forniture di gas più economiche e meno volatili, lo ha dato sempre Ineos che la settimana scorsa ha annunciato di aver firmato un accordo di fornitura di otto anni con la società chimica Covestro per il gas statunitense.
Il report dell’agenzia Ageei.eu, sottolinea che “queste mosse da parte dei più grandi gruppo chimici internazionali giungono in un momento in cui i costi energetici in Europa sono elevati ormai da quasi tre anni, in conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 e del fatto che l’industria sta costruendo nuovi impianti in altre regioni. Ciò ha intensificato la pressione sul settore chimico, che rappresenta circa il 5-7% del fatturato manifatturiero europeo e impiega oltre 1,2 milioni di persone”.
Il Consiglio Europeo dell’Industria Chimica ha avvertito a gennaio che negli ultimi due anni è stata programmata la chiusura di oltre 11 milioni di tonnellate di capacità produttiva nella regione, interessando 21 siti importanti. L’organo Ue ha aggiunto che, con prezzi del gas da quattro a cinque volte superiori rispetto agli Stati Uniti, la competitività del settore “è sotto pressione”, e ha sollecitato un’azione urgente da parte dei responsabili politici dell’UE.
Ma l’iniziativa UE di bandire l’energia russa dall’Europa non favorirà certo forniture a buon mercato e quell’inversione di tendenza auspicata dall’industria.
Per quanto riguarda l’Italia, l’agenzia Ageei.eu sottolinea che “nel 2024 l’export del settore ha superato i 40 miliardi di euro e, per molte imprese, i mercati esteri assorbono ben oltre la metà delle vendite. Gli Stati Uniti per la chimica italiana sono il quarto mercato. Il settore ha un valore della produzione di oltre 67 miliardi di euro nel 2023 e rappresenta il terzo produttore europeo (dopo Germania e Francia).
Le imprese chimiche attive sul territorio nazionale sono più di 2.800 e grazie a 3.700 insediamenti occupano quasi 113 mila addetti altamente qualificati. L’ultimo triennio del settore è stato in contrazione della produzione, ma per il 2025 si intravede una timida ripresa, con una crescita dell’1,2% che, però, è subordinata al contesto denso di incognite e di intense pressioni competitive, secondo Federchimica.
Secondo il presidente Francesco Buzzella i pericoli maggiori vengono dai dazi – attualmente con gli Usa sono al 6,5% ma potrebbero schizzare in alto per le decisioni del presidente Trump – e dal costo dell’energia. Ma più in generale anche dai costi della regolamentazione per l’industria chimica europea che sono già arrivati a toccare il 13% del fatturato dal 4% del 2004”.
Contraddizioni
Resta da chiedersi quale razionalità esprimano le iniziative della Commissione Ue: da un lato il furore ideologico anti-russo porta a continuare sulla strada del suicidio industriale ed energetico, dall’altro si varano piani giganteschi di riarmo che non saranno sostenibili in termini finanziari ed industriali proprio a causa dei costi energetici e delle materie prime.
“Abbiamo bisogno di un’industria della difesa forte, dato che la nostra Unione si assume una maggiore responsabilità per la propria difesa: non è solo una questione di sicurezza, ma anche di competitività” ha dichiarato il 12 maggio il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Il presidente della Commissione ha affermato di aver “incontrato i leader dell’industria europea per sentire da loro” come l’Ue “può sostenere ancora di più questo settore cruciale. Il dialogo ha sottolineato il ruolo cruciale dell’industria europea della difesa nella salvaguardia della sicurezza europea in un panorama geopolitico in rapida evoluzione”.
Foto Gazprom e Commissione Europea
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