Immigrazione e povertà: continuiamo ad importare modelli catastrofici
di OLTRE LA LINEA (Pietro Vinci)
Ius soli, “flessibilità” per contratti, salari e orari lavorativi, “competizione”, “riduzione della spesa”, investimenti “mirati” solo nel settore tecnologico e assoluta finanziarizzazione dell’economia: assistiamo a questo spettacolo, composto da scelte simili prese in considerazione dai nostri politicanti, ogni giorno.
Non mi soffermerò molto sul distinguere la destra dalla “sinistra”: se tutti, nei fatti, accettano la totale e sostanziale cessione della nostra sovranità alle nuove divinità dei mercati e al sistema della globalizzazione – reputato fatalisticamente come immutabile e irrefrenabile – sono dunque assimilabili ad un’unica, ristretta visione. Sul tavolo del dibattito politico questi temi succitati la fanno da padroni; è possibile provare uno strano sentimento di “déjà vu”, come se i teatranti della politica ci stessero presentando uno spettacolo già visto altrove.
Se si osserva la nazione alla quale, purtroppo, quasi tutti i politici nostrani guardano come rapiti da una misteriosa forza di attrazione, ossia gli Stati Uniti, possiamo già notare con facilità gli effetti catastrofici che scelte politiche similari hanno prodotto su un’intera nazione. Negli Usa si può assistere oggi, dopo decenni di libertà assoluta per la finanza e l’economia di rapina fatta da speculatori e non produttori di beni, a una crisi sociale di proporzioni nazionali: la povertà domina incontrastata all’ombra della Statua della libertà.
A darci questo scenario tremendo non è un presunto “complottista” o animo esacerbato da “antiamericanismo” all’ultimo stadio, ma è Philip Alston: il relatore speciale delle Nazioni Unite per l’estrema povertà e i diritti umani, nonchè giurista australiano e professore all’Università di New York. Alston ha condotto una ricerca scrupolosa e severa in America, arrivando a conclusioni preoccupanti:
“… Gli Stati Uniti sono sicuramente una delle nazioni più ricche al Mondo, e ha livelli di sviluppo tecnologico e d’innovazione che sono l’invidia di molti assieme a una straordinaria etica lavorativa. Ma, sommati a questi successi, ci sono statistiche che sono ben conosciute, almeno alla comunità internazionale: negli Usa la mortalità infantile è fra le più alte nel Mondo sviluppato; gli americani possono presumere di vivere meno e con più malattie rispetto ad altri in nazioni ricche; i livelli di ineguaglianza sono molto più alti che in tante altre nazioni europee e malattie tropicali trascurate stanno tornando”.
Visitando Los Angeles e San Francisco in California, Alston ha constatato le cause e i gravi impatti della mancanza di sicurezza per poter trovare una casa a costi accessibili: il pensiero corre immediatamente allo stato delle nostre periferie in tutta la nazione.
A tutte le altre numerose e gravi considerazioni fatte da Philip Alston nel suo corposo rapporto per le Nazioni Unite, ne possiamo aggiungere altre utili per la nostra analisi e che riguardano lo stato complessivo delle infrastrutture statunitensi. Kristina Swallow, Presidente dell’Associazione americana di ingegneri civili, è laconica: tutta la nazione non investe da decenni nelle infrastrutture e la maggior parte di tutte queste strutture (come ponti, tunnel, ferrovie, autostrade ecc…) è completamente obsoleta e ha da molto tempo superato il suo periodo di servizio.
Ha infatti dichiarato a Sputnik quanto segue: “Gli ingegneri stanno facendo del loro meglio per mettere a posto le infrastrutture fatiscenti e per garantire la sicurezza dei cittadini, ma sostanzialmente hanno bisogno di essere modernizzate, cosa che può avvenire solo aumentando i finanziamenti”.
Se ciò non vi basta per farvi sinistramente avvertire il sentore di trovarci di fronte a una situazione molto simile a quella italiana, è utile ricordare che la stragrande maggioranza delle infrastrutture a stelle e strisce è stata costruita fra il 1933 e il 1970. C’è persino di più per “respirare aria di casa”: nel 2007 a Minneapolis, nello stato del Minnesota, è crollato un ponte nell’ora di punta; decine di auto e bus sono precipitati nel Mississippi e si contarono 13 morti.
Dopo esserci occupati, in questa “operazione-specchio” della realtà sociale e a livello di sistema-Paese negli Usa, vediamo cosa accade nel Nord Europa e per la precisione in Svezia. Sul giornale Expressen, è stato pubblicato un annuncio del Ministro delle finanze svedese Magdalena Andersson: con precisione e solerzia nordica, ha detto chiaramente che l’età pensionabile (ora a 65 anni in Svezia) dovrà essere aumentata.
Siccome gli immigrati hanno un elevato costo sociale per tutto il welfare svedese, sarà necessario ridurre le spese giacché il problema è così grave e in crescita che persino un aumento delle tasse non basterebbe. Gli svedesi nativi disoccupati al momento sono il 3,9% mentre si sale allo sconcertante 21,8% fra gli immigrati o fra coloro che hanno questo dato in comune nel passato.
Ora in Italia l’età pensionabile sale, l’immigrazione continua ad essere pazzotica e sregolata e si farnetica persino sullo Ius soli; tenete a mente queste notizie provenienti da una nazione ben più solida della nostra. Purtroppo però al male non c’è mai limite: sempre in Svezia, nella cittadina meridionale di Malmo a soli 46 minuti da Copenhagen, centinaia di residenti e soprattutto donne sono scesi in piazza per protestare contro gli stupri commessi da diverse gang locali. L’ultima vittima ha 17 anni e dopo che la polizia locale aveva “suggerito” alle autoctone di uscire di sera solo se accompagnate, la popolazione è scesa in piazza e ha fatto sentire la propria voce contro l’ottusità dei politicanti svedesi. Sempre qui, ad aprile, due immigrati afgani sono stati arrestati e incarcerati per aver partecipato a uno stupro di gruppo persino trasmesso in diretta su Facebook.
Ciò che davvero preoccupa non è solo il mesto bilancio che si trae da questo sguardo su ciò che certe scelte politiche hanno causato all’estero, ma l’assoluta miseria della nostra politica nazionale: la pretestuosa divisione destra versus “sinistra” imperversa, così come la caccia all’orbace e ai fascisti che sarebbero già pronti – secondo alcuni politici tutt’altro che acuti – a mettere il fez a tutta l’Italia, mentre scelte dissennate stanno portando la nostra nazione sulla stessa triste e cupa strada già percorsa fuori dai nostri confini.
La globalizzazione e il mondialismo sono accettati non perché fenomeni “irrinunciabili” o ai quali non ci si può opporre, giacché questi pretesti sono antistorici e antiscientifici; sono osannati e lasciati procedere nell’opera di devastazione forse perché ci troviamo all’interno di una sorta di totalitarismo della globalizzazione come in parte la descrisse Vincenzo Mungo ne “Il Mondo in gabbia”. Un fascismo vero, insomma, può essere rappresentato dalla globalizzazione e dal mondialismo stessi.
Vorrei concludere con qualcosa che possa tagliare la testa al toro dei mondialisti e falsi progressisti di casa nostra: Linguère Mously Mbaye, consulente economico per l’African Development Bank di Abidjan in Costa d’Avorio e ricercatrice esperta in emigrazione, si è espressa nel merito degli enormi movimenti di immigrati verso l’Europa e ha riferito quanto segue ad AllAfrica, sito d’informazione panafricano: “C’è la percezione che tu non possa ottenere nulla nella tua nazione… C’è anche una percezione falsata dei salari in Europa. La mia ricerca dimostra che le aspettative sono molto più grandi dei salari oggi in Francia o Spagna“.
La signora Mbaye non finisce però qui la sua preziosa argomentazione e aggiunge: “Le ricerche dimostrano che chi è più ricco ha più aspirazioni e risorse a disposizione per iniziare il viaggio. Ridurre la povertà è già in sè un obiettivo ma ci sono altri fattori da considerare se vogliamo ridurre l’immigrazione clandestina. Trasferirsi è a volte visto come l’unico modo per avere successo nella vita. Dunque l’unico modo per ridurre la persuasione a espatriare è rendere questa una delle tante possibilità esistenti nella vita. Dobbiamo creare una situazione nella quale le persone possano decidere se emigrare in sicurezza oppure investire in un’attività produttiva nei propri Paesi“.
La signora Mbaye ha espresso un punto di vista in collisione con il mondialismo e la globalizzazione che imperano incontrastati: sarà curioso se verrà bollata come “razzista” o chissà come.
Si attende il momento in cui in Italia si inizi a parlare seriamente dei gravi problemi di questo secolo tenendo presente che, mentre si fa finta di litigare su questioni morte e sepolte, la giustizia sociale, le pensioni, i salari, la sicurezza, l’intera infrastruttura della nostra nazione stanno precipitando nell’abisso.
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