La situazione politica in Europa è grave ma non è seria
di Davide Parascandolo
Quando a Maastricht nasceva finalmente quel mondo avveniristico fatto di “magnifiche sorti e progressive” che si inverava in una creatura chiamata Ue, la mia generazione cresceva all’alba di un futuro radioso, o almeno così vaticinavano i ferventi discepoli della nuova religione europeista.
Quella stessa generazione ha assorbito per osmosi alcuni slogan che, solo a sentirli, dopo tutto ciò che è accaduto – o che non è accaduto – in questi decenni, fanno venir voglia di imprecare, e che possono essere condensati con una locuzione ormai divenuta tanto proverbiale quanto priva di significato, nonché piuttosto indisponente: “Più Europa”.
Ebbene, dopo trent’anni abbondanti, di quell’alba radiosa restano fiochi e impercettibili barlumi, di quel “più Europa” restano solo i fonemi che servono per pronunciarlo, e niente più. Intendiamoci, il sottoscritto, istintivamente prima e razionalmente poi, non ha mai nutrito fiducia in quella mirabile visione, ma difficilmente si sarebbe potuto immaginare che quell’idea potesse rivelarsi un così sfavillante fallimento.
Il re è nudo, per l’ennesima volta aggiungerei. Stavolta però il panorama internazionale assomiglia a uno di quei contesti da distopia cinematografica che fanno intravedere cambiamenti alle porte ancor più regressivi di quanto potessimo aspettarci. Assistiamo a una regressione culturale che è nei fatti, nelle immagini, nelle parole, nelle posture, e che quasi fa rimpiangere la melliflua ipocrisia di cui le diplomazie europee e occidentali tutte hanno fatto sfoggio dinanzi a un mondo altro giustamente sospettoso e spesso indignato per la doppia morale che esse incarnavano – il doppio registro etico adottato in relazione agli scenari ucraino e mediorientale ne è l’esempio attualmente più macroscopico.
L’Europa, come continente in generale e come Unione europea in particolare, è riuscita a galleggiare tenendosi ancorata a un vessillo che credeva di poter sbandierare eternamente e sotto al cui cappello trovare protezione: la “fraterna” alleanza con i nostri benefattori d’oltreoceano.
La storia però si diverte sempre a scompaginare i piani e le previsioni. Il periodo storico sul quale ci stiamo affacciando è infatti convulso, incerto, foriero forse di un nuovo modo di intendere la democrazia: potremmo essere a un bivio, quello che potrebbe portare a imboccare la via della democrazia autoritaria – sembra un concetto ossimorico, ma d’altra parte siamo già da diverso tempo in una democrazia plutocratica e affaristica, quella in cui se non si vota nella maniera “giusta” le elezioni sono state certamente pilotate dagli hacker russi (onnipresenti e quasi onnipotenti) e vanno rifatte finché il popolo non si adegua ai desiderata della democraticissima Bruxelles (Georgia e Romania vi dicono qualcosa?).
Dal punto di vista geopolitico e strategico stiamo arrivando al redde rationem; occorre una visione completamente sganciata dagli schemi precostituiti su cui si è ragionato dal secondo dopoguerra in poi. L’Unione europea sembra in questo momento stretta a tenaglia tra due fuochi, quello russo e quello americano (senza contare il crescente peso dei BRICS), e se dovesse persistere nella sua inanità, tratto distintivo dell’incompetenza disarmante delle sue classi dirigenti, condurrà irrimediabilmente gli Stati e i popoli che ne fanno parte alla definitiva rovina.
Ci troviamo in una situazione drammaticamente grottesca: di fronte a potenze che hanno deciso di fare la voce grossa su un palcoscenico mondiale dove si stanno ridefinendo i rapporti di forza, ognuno dei Paesi che compongono l’Ue continua ad andare per proprio conto, indebolito tuttavia da quegli stessi vincoli che lo legano a un’istituzione in completo disfacimento. Ed è il momento peggiore per navigare a vista. Siamo senza strategie. Senza visioni di lungo respiro. Senza istituzioni solide. Senza statisti degni di questo nome.
Razionalmente, le opzioni percorribili non possono allora che essere due, una più realistica, l’altra decisamente più utopistica, a meno che, naturalmente, non si voglia continuare sulla strada della più totale inconsistenza, viatico perfetto per l’estinzione geopolitica del nostro continente. Le suddette opzioni sono le seguenti:
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la dissoluzione di questa creatura disfunzionale con un recupero completo dell’autodeterminazione di ogni Paese che ne fa attualmente parte e la rimodulazione dei rapporti internazionali sull’asse del bilateralismo e di accordi a composizione variabile a seconda degli interessi in gioco di volta in volta;
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la creazione della tanto sbandierata unità politica europea, sostanzialmente impossibile nella pratica.
Poniamo tuttavia il caso che si voglia concretamente perseguire la seconda opzione: immaginiamo davvero che sia possibile convincere pacificamente 27 popoli (per giunta nell’epoca dei rigurgiti nazionalisti più estremi) a mettere da parte le proprie identità nazionali, sopprimendo 27 sovranità statuali (o quel che ne rimane) per creare un super Stato continentale? Quale identità avrebbe? Quale lingua vi si parlerebbe ufficialmente? Quali classi dirigenti sarebbero pronte ad alzare così tanto l’asticella? Soprattutto, quale visione dei rapporti economici e sociali ne costituirebbe la base, se non sempre e soltanto l’ordoliberismo finora imperante?
Ma proviamo a lanciare una provocazione: se gli Stati Uniti d’Europa (o chiamateli come vi pare) nascessero sulla base di una visione antitetica a quella ordoliberista, sarebbe ragionevole non essere aprioristicamente contrari. Fuor di teoria, se un ipotetico Stato europeo adottasse i principi economici e sociali delineati ad esempio dalla nostra Costituzione (di fatto disapplicati da Maastricht in avanti) si potrebbe dar vita a uno Stato a vocazione socialdemocratica con un’impostazione economica keynesiana. In alternativa al capitalismo plutocratico e predatorio statunitense, in alternativa all’autocrazia russa, in alternativa al capitalismo di Stato del regime comunista cinese, un’Europa politica d’ispirazione socialdemocratica potrebbe giocare una partita autonoma e rappresentare un polo d’attrazione per tanti Paesi attualmente non allineati.
Non tutti i 27 accetterebbero? Si tornasse a un’Europa a 10, a 6, al numero che volete; sempre meglio pochi ma coesi che un’accozzaglia di Stati che non raggiungeranno mai la quadra su alcunché.
Quella appena delineata è chiaramente un’utopia allo stato attuale irrealizzabile, considerando il vento che sembra spirare ovunque; i principi cardine di una socialdemocrazia paiono infatti non essere mai stati così lontani come oggi dagli orizzonti politici, economici e culturali del vecchio continente.
Con tutto ciò, i leader europei sanno solo sedersi attorno a un tavolo. Sono trent’anni che siedono attorno a un tavolo. E la decisione più incisiva che l’Ue abbia mai preso è stata quella di stabilire la curvatura dei cetrioli.
Quindi sì, parafrasando Flaiano, la situazione politica in Europa è grave ma non è seria.
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