di Mirko Melis
Perché tornare in Libia? Per controllare le rotte migratorie, le risorse energetiche (petrolio e gas). Quindi per tutelare i nostri interessi.
Non è però solo una questione di gestione di risorse energetiche e di contenimento dell’immigrazione, ma è diventata anche una questione di sicurezza a causa del conflitto bellico nel quale gli Stati Uniti ci hanno trascinato come alleati NATO. La debolezza del nostro Paese si soppesa da questo: non solo veniamo manovrati come pupi dagli statunitensi, ma, negli anni, non abbiamo avuto la forza e la volontà nemmeno di rivendicare la nostra Zona economica esclusiva marittima (ZEE) negli specchi d’acqua che ci competono.
Nei fatti l’Italia confina già oggi con Turchia e Russia. Non agire oggi significa rischiare che agiscano gli altri un domani. La Turchia occupa la Tripolitania (e parte della Fasania) a sostegno del cosiddetto “governo d’unità nazionale”, unico governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale e presieduto da Abdul Hamid Dbeibeh (precedentemente da Al Sarraj), mentre i russi, che sostengono l’esercito nazionale libico del Generale Haftar, occupano la Cirenaica. Il Cremlino è in trattativa da mesi per ottenere una base navale permanente nel porto della città di Tobruk.
Il 18 giugno, il Comando Generale dell’esercito nazionale libico (LNA) ha annunciato l’arrivo di due navi da guerra russe al porto di Tobruk, che da tempo la Marina Russa vorrebbe poter impiegare regolarmente come seconda base navale nel Mediterraneo dopo quella di Tortosa (Tartus) in Siria.
Ufficialmente la visita dell’incrociatore missilistico Varyag e della fregata Maresciallo Shaposhnikov, “hanno lo scopo di migliorare la cooperazione e il coordinamento tra le marine libica e russe e mira a migliorare la formazione, la manutenzione, il supporto tecnico e logistico e le competenze in materia di sicurezza marittima” secondo il comando delle forze navali dell’LNA. In Libia ci sono circa 1.800 militari russi.
I russi considerano il presidio in Libia fondamentale per penetrare meglio nel Sahel dove già da tempo stanno attuando una strategia di destabilizzazione dell’area per scacciare definitivamente i francesi e sostituire gli “occidentali” nei rapporti di influenza con gli Stati del Mali, Niger e Burkina Faso.
Cosa possiamo fare?
Tracciare una nostra proposta di ZEE marittima (zona economica esclusiva) e rivendicarla agli organismi istituzionali preposti, in contrapposizione alle autoproclamazioni di Algeria e Libia. (La ZEE algerina prevederebbe un controllo marittimo quasi fino a sfiorare le coste della Sardegna, inaccettabile e vergognoso, per una Nazione come l’Italia, subire una prevaricazione del genere). Estendere il perimetro di controllo, da parte della Marina militare italiana, e soprintendere l’intera porzione dello stretto di “Mare Nostrum” che separa le acque siciliane dalle coste libiche. È una priorità e può essere decisivo per evitare brutte sorprese future.
Siccome non possiamo affrancarci “tout court”, dobbiamo trarre vantaggio dalle opportunità che stanno nascendo, per esempio sfruttando la flessione egemonica degli Stati Uniti e il piccolo margine di autonomia che ne deriva. Infatti visto che siamo obbligati ad aumentare la spesa per la Difesa militare (fino al 5% del PIL) possiamo garantire, su questo, i nostri massimi sforzi ottenendo però qualcosa in cambio cioè il controllo di Tripolitania e Fasania al posto dei turchi (anche loro dentro la Nato) e rimetterli così al loro posto nel bacino Mediterraneo, evitando uno spiacevole quanto probabile scontro diplomatico che rischia di sfociare in un conflitto tra noi e la Repubblica di Turchia di Erdogan indaffarata a mettere in pratica le sue aspirazioni imperialiste, tra i suoi ex territori, anche in Albania. Questo ci darebbe modo di interporci come mediatori affidabili della Alleanza Nord Atlantica nei confronti dei russi che occupano la Cirenaica ed evitare così che diventi un terreno di scontro diretto tra Nato e Russia. In attesa di tempi migliori, quando nell’avvenire potremo di nuovo interfacciarci con la Federazione russa, non come nemici per conto terzi ma come puntuali partner commerciali, come soci in affari nel nuovo mondo multipolare.
Ci sono altre soluzioni?
L’ordinamento europeo consente la formazione di gruppi regionali tra più Stati cioè un gruppo di Stati membri dell’UE che persegue una forma di cooperazione separata dalle politiche comuni perseguite a livello dell’Unione. Si tratta quindi di un vulnus giuridico, un baco della giurisdizione europea da poter sfruttare a nostro vantaggio.
Il gruppo regionale quindi può cooperare su temi specifici, ad esempio in campo militare sulla Difesa strategica. Ecco che un’operazione di questa portata potrebbe essere sostenuta congiuntamente da due Paesi della stessa area geografica come Italia e Spagna. Il trattato del Quirinale del 2021 che prevede una cooperazione politica tra Italia e Francia è un precedente.
Conclusione: l’Italia deve togliersi di dosso la paura di avere un ruolo attivo nel Mediterraneo.
In sintesi la nostra presenza ed influenza sulla “nostra quarta sponda” è l’unica mossa possibile nella partita a scacchi della geopolitica.
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