Le parole del neoliberalismo
DA LA FIONDA (Di Eugenio Pavarani)
Presentazione del libro “Lessico del neoliberalismo. Le parole del nemico”, Rogas Edizioni, 2024
Prima di entrare nel merito dei contenuti del libro, devo dare una indicazione preliminare, importante quando si presenta un libro. I libri si possono dividere in due categorie: i Libri (con la elle maiuscola) e i libroidi (con la elle minuscola). Quindi comincio col dire che questo è un Libro. La classificazione non è mia. È di Carlo Galli. Mi è piaciuta e la faccio mia.
Galli però non ha dato una definizione di libro e di libroide. Io la vedo così: leggere un Libro è come indossare un paio di occhiali speciali che ti fanno vedere qualcosa che senza quegli occhiali non avresti visto, vedi qualcosa di nuovo e di interessante, qualcosa che ti arricchisce. Un libroide invece non ti fa vedere niente di nuovo, niente che non fosse già visibile e già visto. Ricordo la recensione che fece un autorevole barone accademico che voleva stroncare una monografia di un giovane ricercatore. In realtà voleva stroncare i maestri di quel ricercatore e la loro scuola: voleva colpire il ricercatore per colpire i suoi maestri. Disse il barone: il libro propone idee nuove e idee interessanti; purtroppo però le idee interessanti non sono nuove e le idee nuove non sono interessanti. Parole come pietre: libroide colpito e affondato.
Detto che “Lessico del neoliberalismo” è un Libro e non è un libroide, devo evidenziare cosa si vede di nuovo e di interessante attraverso questo libro; cosa consentono di vedere gli occhiali speciali offerti dal libro. Per arrivarci devo fare una premessa.
Un anno fa Marco Baldassari e Marco Adorni mi parlarono del progetto editoriale che poi ha dato vita a questo libro. Il progetto di cui mi parlarono consisteva nell’elaborazione di un glossario del neoliberalismo. Mi invitarono a portare un contributo e mi affidarono il lemma “concorrenza”. Mi è parsa subito un’idea originale e molto interessante. Del neoliberalismo si è scritto in tanti modi ma indubbiamente mancava un glossario ragionato che ci aiutasse a capire come parla il neoliberalismo, che parole usa, come si propone di convincerci attraverso le sue narrazioni, attraverso le sue parole. Un libro che ci facesse capire che le parole sono importanti. Un libro che ci facesse capire che, se usiamo le parole del potere, facciamo il suo gioco e abbiamo perso in partenza.
Se vogliamo opporci a questa ideologia egemonica e narcotizzante che ha permeato di sé l’intera società, dobbiamo svegliarci e, per prima cosa, dobbiamo resettare il nostro lessico; dobbiamo essere critici nell’uso delle parole; dobbiamo vagliare le parole alla luce di un principio di verità e alla luce di un principio di civiltà. “Le parole sono importanti”. Questa affermazione l’avevo già sentita; fu la prima cosa che mi venne in mente. Nella mia mente il libro nasceva insieme a quella affermazione. Sono partito da lì e ho pensato di far partire da lì anche questa mia breve presentazione. Sono parole di Nanni Moretti: https://youtube.com/watch?v=dUXIh3SJhFA%3Ffeature%3Doembed
Perché parto da Nanni Moretti? Anzitutto perché il libro, per come è fatto, non è riassumibile. Non avrebbe senso indicare al potenziale lettore il contenuto delle analisi proposte dai singoli autori in merito alle venti parole del libro. Il riferimento a Moretti mi offre lo spunto per cercare di mettere in evidenza il messaggio di fondo che lega i diversi contributi. Vedo nelle parole di Moretti una forte connessione con questo libro e credo che la citazione della sua affermazione “le parole sono importanti” avrebbe potuto costituire l’esergo del libro. La vedo così: Moretti propone la traccia del tema in termini generali e il libro può essere interpretato come lo svolgimento del tema in termini specifici, cioè in riferimento al neoliberalismo. Tema: le parole sono importanti. Svolgimento: il lessico del neoliberalismo.
Ho pensato pertanto di ancorare la mia esposizione alla traccia proposta nel video e seguirò un indice espositivo derivato dalle parole di Moretti:
- come parli?
- le parole sono importanti
- chi pensa male parla male
- bisogna trovare le parole giuste
- Dalema dì una parola di sinistra … anche non di sinistra …dì una parola di civiltà
- Dalema dì una parola … reagisci.
Un’altra considerazione mi sembra importante. Nanni Moretti non si limita a sottolineare l’importanza delle parole, lo fa urlando e prendendo a schiaffi la povera intervistatrice. C’è anche questo nel libro. Ovviamente non ci sono gli schiaffi, ma c’è un invito perentorio a svegliarsi. Il libro vuole suonare una sveglia per il lettore. Il libro ci sprona ad alzare lo sguardo dai problemi quotidiani, dal contingente. È l’invito a prendere coscienza che stiamo vivendo una svolta epocale.
L’obbiettivo del neoliberalismo è l’affossamento del patto sociale inscritto nella nostra Costituzione per sostituirlo con il patto sociale inscritto nei Trattati europei. L’obbiettivo è smontare progressivamente lo Stato sociale per sostituirlo con lo Stato neoliberale al fine di dare una nuova morfologia all’ordine poltico, economico e sociale. I due contratti sociali sono molto diversi e per molti aspetti sono in contrapposizione. Propongono due modelli di società incompatibili, in conflitto tra loro.
Sono anzitutto diversi i soggetti dei due patti. Il soggetto del patto costituzionale è la “persona umana” in tutta la sua complessità supportata dall’impegno dello Stato ad accompagnarla in un progetto di sviluppo e di emancipazione attraverso il lavoro e l’inclusione attiva nella società. Il soggetto del patto neoliberale è “l’individuo” – appiattito nella esclusiva dimensione economica – che persegue egoisticamente e con razionalità economica il proprio interesse personale. Ne ha dato una bella definizione Amartya Sen: un individuo dotato di alta razionalità economica e, nel contempo, un perfetto idiota sociale.
Questo nuovo patto sociale è la realizzazione concreta di una ideologia, una ideologia che non si limita a concettualizzare e a descrivere il mondo in una dimensione ideale, cioè “come sarebbe bello che fosse”, ma si propone di realizzare concretamente un nuovo ordine sociale e, per ottenere questo risultato, l’ideologia deve diventare “potere” e deve essere capace di creare una egemonia culturale in grado di legittimare il potere rendendo senso comune la propria visione del mondo. La catena che ha articolato il percorso di successo del pensiero neoliberale è costituita da una sequenza di anelli: ideologia, potere, egemonia culturale, senso comune.
Un potere che non viene esercitato con la coercizione, ma trova la sua forza nelle regole sottoscritte e nelle narrazioni che propone. Le regole scritte nei Trattati cristallizzano le scelte politiche originarie che sono costituite una volta per tutte; sono immutabili. In questo modo, le regole innescano un pilota automatico che conosce una sola direzione. Non c’è spazio per politiche alternative: possiamo votare, ma non possiamo cambiare le politiche che governano l’economia. Le narrazioni, dal canto loro, mirano a mitizzare il pensiero ideologico che tende così a sovrapporsi al pensiero cosciente, lo sovrasta e lo anestetizza, lo rende miope di fronte a pseudo verità presentate come assiomi, come dogmi che, in quanto tali, non necessitano di essere vagliati alla luce della ragione, non hanno bisogno di essere supportati da analisi, da verifiche e da dimostrazioni e non lasciano spazio al dubbio, sono veri in sé. Racconti che diffondono chiavi di lettura assolutorie delle difficoltà contingenti, racconti rassicuranti e pedagogici volti ad acquisire consenso, a prevenire e a sedare potenziali opposizioni; mirano a convincere, anche in modo subdolo, che l’ordine neoliberale è il migliore dei mondi possibili.
Come parla il neoliberalismo, come racconta se stesso
Una prima considerazione: l’ideologia neoliberale non si dichiara apertamente. Provate a chiedere alla gente comune se qualcuno sa cos’è il neoliberalismo, se sa cos’è l’ordoliberalismo, se ne ha mai sentito parlare. Se hanno mai sentito un politico dichiarare: sono ordoliberale e sono qui per realizzare i principi di questa ideologia. Carlo Galli ha scritto che è stato per 5 anni in Parlamento e non ha mai sentito pronunciare la parola neoliberalismo e tanto meno la parola ordoliberalismo. Io sono stato per 40 anni in una Facoltà di Economia e non le ho mai sentite (provo un po’ di vergogna a dirlo; ma ci sarebbe molto da dire sul ruolo determinante che ha avuto il pensiero economico nel costruire l’ideologia, nel sostenere il potere che l’ha concretizzata, nel consolidare l’egemonia culturale).
Eppure se vogliamo capire le tendenze in atto nella nostra società, dobbiamo capire cosa propone questa ideologia che diventa potere e crea un’egemonia capace di pervadere con i suoi principi l’intera società. Dobbiamo capire perché le regole sono fatte in questo modo e non in un altro; dobbiamo capire cosa ci comunica il potere attraverso le sue narrazioni, attraverso i suoi miti, attraverso le sue parole.
Una seconda considerazione: il potere neoliberale non esplicita i propri reali obbiettivi. Li nasconde. Parla attraverso narrazioni che in alcuni casi sono dei veri e propri miti. Narrazioni manipolatorie, spesso basate su sotterfugi lessicali, che mirano a semplificare, a creare un senso comune, a indurre assuefazione. Produce luoghi comuni affinché siano recepiti in modo superficiale, per quel che appaiono, e siano fatti propri acriticamente. Vuole che le persone si sentano partecipi della narrazione; vuole che il nostro pensiero sia contenuto all’interno degli schemi dentro i quali ci hanno convinti a pensare.
Il libro “The Great Reset”, scritto dall’organizzatore degli incontri del World Economic Forum che si tengono annualmente a Davos, raccomanda di parlare alla sfera emozionale e sentimentale delle persone e non alla sfera razionale. Perciò le narrazioni sono spesso funzionali all’elaborazione di giudizi morali: il debito pubblico è una colpa morale, frutto di comportamenti irresponsabili di chi ha inteso finanziare gli sprechi di una spesa pubblica inefficiente e improduttiva scaricando l’onere sulle generazioni future. Le svalutazioni della moneta erano “competitive”, cioè stratagemmi viziosi per alterare i prezzi e acquisire facili vantaggi a danno dei concorrenti.
Ora dobbiamo espiare, purificarci dalle colpe attraverso la pena dei sacrifici necessari e dobbiamo adottare comportamenti virtuosi, dobbiamo essere austeri, sobri, rigorosi. Detto in altri termini: ci stanno sottraendo le tutele del lavoro e quote del salario diretto, ci stanno erodendo il salario differito (la pensione) e stanno pregiudicando il salario indiretto (il diritto all’istruzione e alla salute), ma la narrazione mira ad abbassare la soglia di percezione delle conseguenze negative apportate dall’ideologia a carico di una parte della società e, alla fine, ci fanno perdere la capacità di imputarle alla loro origine causale, all’ideologia e alle azioni del potere, e finiamo per considerarle la normalità.
Le parole sono importanti: due proto-narrazioni alla base del senso comune
La madre di tutte le narrazioni consiste nella pretesa di convincerci che, nell’evoluzione degli assetti sociali, abbiamo raggiunto la meta finale, la fine della storia. Meglio non si può fare. Certo ci sono problemi, ma viviamo nel migliore dei mondi possibili. Siamo arrivati all’apice della modernità. Non ci sono alternative possibili. Siamo in un mondo win win in cui tutti siamo vincitori. La marea alza tutte le barche anche le più piccole.
Eppure basterebbe pensare che non può esserci un mondo migliore per tutti. Se è migliore per qualcuno lo è a danno di altri. Il potere è sempre potere di una parte contro altre parti. Ma questa semplice verità non deve apparire. Ecco allora che il potere deve nascondere questa verità; deve nascondere sia gli interessi di parte, sia il danno per altri. Soprattutto il danno per i perdenti non deve essere palese e non deve essere imputabile al potere. Il lessico, le narrazioni e la trasfigurazione dei significati delle parole hanno prodotto il risultato di alimentare una narrazione capace di far apparire come razionale e universale un potere di parte che, in realtà, persegue il proprio interesse particolare a scapito di altre parti.
Il potere ci racconta che i conflitti sociali non esistono più perché non esistono più le classi sociali in conflitto tra loro. Non esiste il conflitto tra capitale e lavoro; non esiste il conflitto distributivo perché il mercato opera in modo razionale e dà ad ognuno quel che gli spetta, oggettivamente, in ragione della sua produttività marginale. Viene meno la ragion d’essere della politica. Ci pensa il mercato. L’ideologia neoliberale mira a sostituire il “politico” con l’ “economico”; si propone di di imporre le regole del mercato come regole sociali e la razionalità economica tende a invadere ogni ambito della vita sociale. Ovviamente questo avviene se il mercato è messo in condizioni di funzionare cioè se funziona la concorrenza. La concorrenza funziona se non ci sono aggregazioni economiche e sociali in grado di influenzare e di manipolare i prezzi, questo sia dal lato delle imprese, sia dal lato del lavoro. Devono essere parcellizzate sia l’offerta, sia la domanda. Diceva la Thatcher: non conosco qualcosa che si chiama società, conosco individui che agiscono mossi da un interesse individuale. Dobbiamo essere imprenditori di noi stessi. Tutti abbiamo un capitale da impiegare, un capitale che ognuno di noi può e deve implementare: il capitale umano. Se sei in povertà è perché sei un imprenditore di te stesso che non ce l’ha fatta, che è fallito. È colpa tua. Non sei stato abbastanza “resiliente”, per usare una delle venti parole proposte dal libro.
Un altro mito fondamentale è l’idea che stiamo procedendo verso gli Stati Uniti d’Europa, la terra promessa. Il popolo ebraico impiegò 38 anni per arrivare alla terra promessa e non fu una passeggiata. Noi abbiamo già speso 67 anni – dal Trattato di Roma – e siamo passati attraverso crisi profonde; ma le crisi non sono soltanto inevitabili, sono anche necessarie. Ci hanno spiegato che l’Europa si farà proprio attraverso le crisi, attraverso stenti e sacrifici. Gli ebrei però avevano Mosè, capace di procurare la manna dal cielo e capace di attraversare il Mar Rosso. Per noi è diverso; anzitutto non abbiamo Mosè e soprattutto non abbiamo un popolo; abbiamo una pluralità di popoli che difendono interessi nazionali e molti di questi non ci vogliono proprio andare negli Stati Uniti d’Europa, nella terra promessa. Però la maggior parte delle persone è convinta che, se dobbiamo affrontare problemi e sacrifici, questi sono inevitabilmente legati al fatto che l’unione è ancora incompleta; i problemi sono legati a questa fase transitoria, sono generati da una incompletezza che peraltro è inevitabile in un percorso in fieri. I problemi si risolveranno quando arriveremo alla meta. I problemi e i sacrifici di oggi sono giustificati dai grandi vantaggi che avremo in futuro quando l’unione sarà completata.
Inutile cercare di spiegare che il progetto di creare uno Stato federale non esiste nella realtà. Non a caso si parla di “sogno” europeo. Quel che si è voluto realizzare è un dispositivo diverso e incompatibile con un assetto federale. L’Unione Europea è stata costruita esattamente come l’hanno progettata coloro che hanno elaborato l’ideologia neoliberale nella versione tedesca, l’ordoliberalismo. Ed è un progetto, quello realmente realizzato, che è fondato su principi e regole assolutamente incompatibili con un assetto di tipo federale. Se si volesse edificare uno Stato federale europeo, si dovrebbe demolire l’attuale costruzione e realizzare un altro progetto. Si dovrebbero cancellare gli attuali Trattati e si dovrebbe dare vita ad una assemblea costituente. La narrazione induce invece a pensare che stiamo progredendo lungo un percorso lineare che, passo dopo passo, ci porterà, nella continuità, a realizzare il sogno europeo.
Allo stesso modo, sono costruite, ad esempio, le narrazioni che raccontano come lo Stato sia assimilabile ad una famiglia, oppure che il Paese è assimilabile ad un’impresa che deve essere competitiva, che le crisi sono state causate da un eccesso di debito pubblico, che la spesa pubblica è inefficiente mentre i mercati sono efficienti, che dobbiamo fare le riforme strutturali che, in realtà, sono controriforme, ecc.
Le parole sono importanti. Chi pensa male parla male
Chi pensa male (cioè chi elabora un pensiero che nasconde secondi fini non dichiarabili, cioè chi ti vuole ingannare) parla male (cioè manipola il significato delle parole). Detto in termini aulici, si può dire che nel lessico del neoliberalismo viene prodotta una discrasia tra significante (la parola) e significato (il messaggio che si vuole trasmettere attraverso la parola). Detto in termini più semplici, il neoliberalismo parla con “lingua biforcuta”: propone un pensiero che nasce con un vizio d’origine; è un pensiero viziato perché promette ciò che non può e non vuole mantenere; è un pensiero ingannatore che persegue un fine nascosto che non si vuole dichiarare. E, per conseguenza, parla male nel senso che distorce le parole fino a proporre vere e proprie truffe lessicali. Snatura il significato delle parole; usa parole distorte per far loro rappresentare una torsione della realtà, una realtà alterata.
Se il potere vuole tagliare la spesa pubblica al fine di contenere la domanda interna per ridurre le importazioni, per contenere i salari attraverso la disoccupazione e quindi ridurre i costi delle imprese a sostegno delle esportazioni, la narrazione non dice esplicitamente: dobbiamo tagliare la sanità pubblica, togliere fondi all’istruzione, ridurre le pensioni. La narrazione è un’altra: dobbiamo finalmente assumere comportamenti virtuosi, dobbiamo tagliare quella cosa tanto improduttiva che è la spesa pubblica, dobbiamo ridurre quella brutta cosa che è il debito pubblico contratto, per di più, con l’intento di trasferirne il peso sulle generazioni future. La narrazione usa le parole austerità, sobrietà, rigore, parole che richiamano comportamenti virtuosi, quelli del buon padre di famiglia.
Le parole sono importanti e il neoliberalismo le seleziona con attenzione. Parole vecchie, che descrivono una visione del mondo che il nemico vuole sconfiggere, vengono ripudiate e bandite: se non esistono le parole per esprimere l’alternativa, l’alternativa non esiste. Il lessico del neoliberalismo propone parole ri-semantizzate che gli autori del libro hanno sottoposto ad analisi con l’obbiettivo di dare trasparenza ai messaggi reconditi che esse sottendono e veicolano.
Dobbiamo reagire. Bisogna trovare le parole giuste
Il libro propone un glossario di venti parole con l’intento di smascherare la strumentalizzazione del lessico da parte di chi pensa male e parla male. Ma è anche vero il contrario: chi parla male pensa male. In altri termini: se utilizziamo le parole del nemico, finiamo per pensare come lui e facciamo il suo gioco. Finiamo per pensare secondo categorie dentro le quali il nemico ci ha convinti a pensare. È questa l’egemonia culturale, il pensiero unico, la strategia vincente del nemico: il vincitore capace di convincere i perdenti che stanno vivendo nel migliore dei mondi possibili. Saper riconoscere le narrazioni e saper disinnescare la retorica suadente: è questa la linea di reazione e di resistenza indicata dal libro.
Concludo con una riflessione sul “nemico”. Proviamo a ribaltare il problema e proviamo a rispondere a questa domanda: chi è il nemico del neoliberalismo? Non lo possiamo dedurre immediatamente dalle sue parole; il nemico non lo dice apertamente. Lo dobbiamo dedurre dai fatti e dall’interpretazione delle sue parole.
Se facciamo questo esercizio ermeneutico, che il libro ci aiuta a praticare, possiamo capire che << il neoliberismo va inteso innanzitutto come un progetto politico finalizzato a indebolire il mondo del lavoro, a desovranizzare e de-democratizzare gli Stati, a ridurre la capacità delle masse di incidere sui processi economici e a consegnare le leve di politica economica a istituzioni sovranazionali che usano lo Stato per avanzare gli interessi dei ceti dominanti >>(Thomas Fazi).
Il lettore del libro potrebbe così prendere coscienza di essere lui stesso il nemico del neoliberalismo. È a molti di noi che il neoliberalismo ha dichiarato guerra. Il libro ci sprona a reagire, a rifiutare l’abito di “individuo economicamente razionale e perfetto idiota sociale” nel quale l’ideologia neoliberale ci vuole costringere. La prima forma di reazione consiste nello smascherare le parole mistificatorie. Poi dobbiamo ritrovare le parole giuste, che siano anzitutto le parole della “persona umana” cui si rivolge la nostra Costituzione, parole rispondenti ad un principio di verità, parole legate alla nostra storia, alla nostra cultura, parole che rispondano ad un principio di civiltà e di giustizia sociale.
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