Quei giovani selvaggi. Lo spassoso dibattito sul bullismo tra ipocrisia e politicamente corretto
di CARLO FORMENTI
Trovo letteralmente spassoso il “dibattito” sui recenti episodi di bullismo nei confronti di alcuni docenti di scuola media superiore. Giornali e televisioni hanno convocato opinionisti, psicologi, pedagoghi, tuttologi, politici, studenti, professori, genitori e chi più ne ha più ne metta, ma da questo diluvio di chiacchiere non è emerso granché.
Da un lato si è preso atto di alcuni dati di fatto: siamo di fronte a una generazione caratterizzata da un’elevata percentuale di ragazzi narcisisti, privi di freni inibitori, incapaci di distinguere fra realtà e videogiochi, inconsapevoli degli effetti del proprio esibizionismo online (che molti vivono come l’unico strumento in grado di certificarne l’esistenza), incapaci di concentrarsi per più di un minuto su qualcosa che non sia pura immagine, privi di empatia, ma le riflessioni sulle cause del fenomeno sono patetiche.
Colpa delle nuove tecnologie (smartphone, social network ecc.)? Ma chi ha alimentato la corsa al consumo sfrenato di questi strumenti in assenza di qualsiasi addestramento al loro uso critico e consapevole? Colpa dei genitori? Ma quei genitori appartengono in larga misura a una generazione che è cresciuta a sua volta in un clima culturale caratterizzato da consumismo, individualismo, indifferenza (per non dire ostilità) nei confronti degli altri, irresponsabilità personale e collettiva, per cui non c’è da stupirsi se solidarizzano con i loro virgulti, visto che gli somigliano fin troppo.
Colpa dei professori che non impersonano con autorevolezza il proprio ruolo? Ma chi ha imposto loro salari da fame, chi ha affossato la scuola pubblica con demenziali “riforme”, chi li ha additati al comune disprezzo (assieme agli altri dipendenti statali), dipingendoli come parassiti che succhiano denaro ai cittadini? Gli ipocriti che oggi versano lacrime di coccodrillo sulla catastrofe antropologica di questa società appartengono alle élite economiche, politiche, culturali e mediatiche che hanno provocato il disastro, esaltando le magnifiche sorti e progressive del mercato, lo smantellamento della spesa sociale e dei servizi pubblici, il consumismo sfrenato, la gara individualistica di tutti contro tutti, sono i sacerdoti di quella rivoluzione liberal liberista che ha generato e continua a generare mostri.
Dall’altro lato abbiamo i discorsi edificanti delle sinistre politicamente corrette, le quali mettono in guardia contro i rischi di regressione a concezioni gerarchiche e autoritarie del rapporto fra adulti e ragazzi. Quelli che non si deve punire ma educare, quelli che esortano a non fare della scuola pubblica un riformatorio (ma intanto mandano i figli nelle scuole private – meglio se Montessori o Steineriane – perché appartengono a una borghesia rossa fatta di intellettuali, professionisti, quadri intermedi).
Mi riferisco insomma agli eredi dell’onda lunga del Sessantotto, del vietato vietare, della fantasia al potere, di un’ideologia che, smarrita ogni memoria dell’antagonismo di classe che aleggiava in quegli anni, hanno sposato un’ideologia irenica che rifugge da ogni forma di conflitto, che si illude che anche le pulsioni selvagge che questo mondo produce in misura crescente possano essere placate, senza ricorrere a metodi che obblighino i pargoli a fare i conti con la durezza della realtà. Non viviamo del resto nell’era dei bisogni e del lavoro “immateriali”? Ma i ragazzi sono più vicini di noi alla materialità dei corpi e della vita e, più cerchi di ingabbiarli nel mondo virtuale, più sviluppano tensioni represse che prima o poi esplodono e fanno danni.
Fonte:http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=24839
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