Oggi l’agenzia stampa turca Anadolu, legata al governo, quota alcune battute in cui il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, sembra prendere una posizione distaccata sul progetto “EastMed”, l’area geografica del Mediterraneo orientale attorno a cui si è costituito un sistema geopolitico che comprende Cipro, Egitto, Israele, Grecia, Italia e Giordania, e che spesso viene indicato soltanto con il nome del gasdotto che li interessa, “EastMed” appunto.
Di Maio parla della sostenibilità economica del progetto — cosa non nuova, perché il gasdotto è più che altro considerato il vettore per l’integrazione per quel sistema che gli si è creato attorno — ma l’impressione è che l’agenzia turca abbia un po’ esasperato (per interessi propri, ci si arriverà) la dichiarazione. L’Italia ha invece un ruolo delicatissimo, perché il dossier è un moltiplicatore della crisi libica, e viceversa: un aspetto globale che riguarda l’intera stabilità nel Mediterraneo in cui a Roma serve un equilibrismo capace di muoversi su più fronti.
Per capirci, la Francia ieri ha chiesto di unirsi al Forum del gas del Mediterraneo orientale, che mira a sviluppare il mercato del gas nella regione EastMed e a rendere pubblica la richiesta di Parigi, che una decina di giorni fa ha già partecipato a uno degli incontri chiave tra i Paesi del sistema, non è stato il governo francese, ma il ministero del Petrolio egiziano. E non è un dettaglio da poco, soprattutto se si somma al contesto temporale. Domani a Berlino si terrà una conferenza internazionale sulla Libia, da cui si vorrebbe ripartire per rappacificare il Paese. E Francia ed Egitto sembra abbiano voluto chiarire le priorità.
L’EastMed e il dossier libico sono due argomenti non scindibili, e a dimostrarlo ci sono vari passaggi. Basta restare su quelli recenti, come la zampata con cui la Turchia ha messo piede a Tripoli. Il 27 novembre dello scorso anno, Ankara ha stretto con il Governo di accordo nazionale libico (Gna) due memorandum di cooperazione. Col primo, di interesse militare, ha promesso assistenza alle milizie che da oltre nove mesi difendono la capitale e la Tripolitania dall’assalto del signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar. Con l’altro ha pianificato come unificare le Zone economiche esclusive ridisegnando la mappa marittima del quadrante Est mediterraneo.
Se il memorandum sulla cooperazione militare è l’elemento di aggancio — le milizie della Tripolitania detestano Haftar, e hanno accolto l’aiuto militare a braccia aperte davanti a una serie di proposte più sonnolente arrivate da altri attori esterni — quello sulle Zee rappresenta l’interesse turco reale sulla Libia. Ankara è esclusa dal sistema EastMed, composto da Paesi come Grecia, Cipro ed Egitto che la percepiscono come ostile. Il collegamento con la Libia diventa il modo per tagliare il quadrante, creare spazi per possibili esplorazioni esclusive su quel lato del Mediterraneo (e dal 2017 i dati geologici preliminari dicono che tra i fondali al confine marino greco-libico ci sono due giganteschi giacimenti di gas naturale), intralciare EastMed.
La prova di quanto a questo punto la crisi libica sia incastrata col dossier sta anche in un altro passaggio, sempre di ieri. Haftar era ad Atene per consultazioni: la Grecia, non invitata dalla Germania alla conferenza di domani, ha fatto sapere che porrà il veto a qualsiasi iniziativa di pace sottoscritta da Bruxelles se non prevederà la cancellazione del doppio memorandum Tripoli-Ankara — dove, se nel secondo ha interessi strategici diretti, per quanto riguarda quello sull’assistenza militare diventa un supporto indiretto ad Haftar.
I Paesi di EastMed hanno tutti un allineamento haftariano. Il capo miliziano per esempio ha fatto visita in Giordania dopo aver abbandonato a inizio settimana il tavolo negoziale organizzato da Turchia e Russia. A guidare la sponsorizzazione della Cirenaica è l’Egitto, insieme agli Emirati Arabi — portatori di interessi ideologici contro la Fratellanza amica della Turchia e del lato tripolitano della Libia, ma anche delle istanze Opec, via Riad, sul monitoraggio del petrolio libico, da sempre poco controllabile dai meccanismi regolatori dell’organizzazione.
Sul lato EastMed-haftariano c’è poi anche la Francia, che ha giocato con ambiguità sulla Libia, portando avanti interessi paralleli: ha sposato l’iniziativa Onu che ha creato il Gna, ma ha sempre aiutato (anche boots on the ground) l’uomo forte della Cirenaica. Sia per una questione di allineamento con il pattern di alleati dietro Haftar, su tutti Cairo e Abu Dhabi con cui Parigi ha (e vuole avere) ottime relazioni, sia per ragioni di proiezione geopolitica. Per la Francia, l’affaccio sul Mediterraneo e l’allungamento verso sud sono elementi di bilanciamento al dominio nord-europeo tedesco.
E inserirsi in EastMed diventa un’evidente possibilità di creare un moltiplicatore per quegli interessi. Non è un caso quindi se i tedeschi a Berlino non hanno invitato la Grecia. Come fa notare a Formiche.net Michael Tanchum, senior fellow dell’Istituto austriaco Aeis: “L’orientamento politico della Germania è di preservare e promuovere le relazioni dell’Ue con la Turchia. Inoltre, la Libia ha dimostrato di essere una debacle politica per l’Ue, che è stata divisa sulla questione. Obiettivo di Berlino è di declassare l’attuale crisi e definire un percorso per la stabilità in Libia preservando le relazioni con Ankara. Per raggiungere questi obiettivi, la Germania sta cercando di separare i negoziati relativi all’escalation straniera in Libia dalle questioni di confine marittimo del Mediterraneo orientale”. È un modo quindi per tenere il dossier libico sganciato da quello sul Mediterraneo orientale il più possibile, anche per via dei rapporti tedeschi con la Turchia — i turchi sono una minoranza etnica enorme in Germania, e alterare i rapporti con Ankara diventa per i tedeschi anche un problema interno.
Ma è un compito complicatissimo. Ieri il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, non senza una ricca dose di propaganda visti i limiti strutturali del suo Paese, ha annunciato che intende avviare perforazioni attorno a Cipro — con cui i turchi hanno più di una questione storica aperta. Mercoledì, l’Egitto ha iniziato a importare gas proveniente dai pozzi dell’off-shore israeliano per una possibile riesportazione in Europa o in Asia — quei giacimenti erano stati oggetto di interesse turco, al punto che Ankara s’era anche dimostrata favorevole a chiudere vecchie frizioni con Gerusalemme, ma poi il riallineamento è saltato.
L’Italia ha davanti a sé un test difficile, perché deve muoversi per coerenza sul lato di Tripoli, un governo che ha fisicamente contribuito a instaurare nel marzo 2016. E deve gestire su quel lato del Paese gli interessi nazionali, ossia quelli sull’immigrazione di carattere securitario, e quelli targati Eni. Che però è fortissimo anche nel quadrante ancora più a est della Cirenaica. L’azienda italiana ha infatti diverse concessioni tra i giganteschi reservoir gasiferi egiziani (soprattutto) e ciprioti.
E su tutto Roma deve cercare di agire tenendo conto di alleati competitivi come i francesi, partner diversamente coinvolti come i tedeschi, rivali ammalianti come i russi (e i cinesi), e amici più distaccati come gli americani — che in generale non hanno interessi particolari sulla Libia, ma hanno chiesto di essere parte del Forum EastMed come osservatori permanenti, è domenica saranno a Berlino col vertice della loro diplomazia, il segretario di Stato, Mike Pompeo.
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