Draghi sarà candidato premier del Pd, modello Letta a Siena?
di La croce quotidiano (Mario Adinolfi)
Ti svegli al mattino con Repubblica che apre la sua prima a tutta pagina col titolo: “Il Reddito resta, Draghi lo cambierà”. La maiuscola per la parola che gli italiani vedono sempre più minuscolo sta a intendere “reddito di cittadinanza”, la misura totem del M5S, invisa nella maggioranza a Salvini e pure a Renzi che ci vuole fare un referendum abrogativo. Poi leggo della stretta sul green pass e dei cento leghisti che hanno votato contro, del ministro dell’Economia che non vuole rifinanziare la salviniana quota cento. E ci sono le carezze difensive di Draghi alla Lamorgese in oggettiva difficoltà sui migranti, mentre per Durigon e la sua stupida frasetta sul parco Mussolini è scattata subito la lupara. Insomma, da mesi il premier pencola in maniera evidente dalle parti di Pd e M5S mostrando in ogni occasione possibile distanza palpabile dalla Lega, arrivando addirittura a ventilare il decreto per l’obbligo vaccinale tra gli applausi di Enrico Letta e seguaci di Roberto Speranza, sempre più dirigisti e alternativi all’impostazione salviniana.
Messi in fila tutti i comportamenti di Draghi orientati in questo senso viene naturale chiedersi: perché lo fa? Un uccellino da qualche giorno mi cinguetta all’orecchio uno strano scenario politico che però assume ogni ora di più i contorni del plausibile. Ve lo racconto e mi saprete dire.
Contati tra un mese i voti delle amministrative, con il probabile addio del M5S al governo delle grandi città con Roma restituita al Pd e il centrodestra a conquistarsi Torino, mancheranno cento giorni all’appuntamento clou della legislatura: l’elezione il 3 febbraio 2022 del successore di Sergio Mattarella. Il candidato naturale da elezione al primo scrutinio è proprio Mario Draghi, ricalcando il percorso di Carlo “Azelio” Ciampi: da banchiere centrale, a premier d’emergenza, a Capo dello Stato. Però. C’è un però.
Se Draghi va al Quirinale, la legislatura termina. Inventarsi il quarto governo in quattro anni sarebbe troppo anche per gli scappati di casa pentastellati, terrorizzati dal dover tornare a lavorare (quei pochi che ce l’avevano, un lavoro). Sarebbe varato un governo puramente tecnico per la gestione delle elezioni che si terrebbero tra aprile e giugno 2022. In cui con ogni probabilità Salvini e Meloni stravincerebbero con l’unica incognita di quale dei due partiti otterrà più voti e quindi la presidenza del Consiglio.
Per Enrico Letta e anche per Giuseppe Conte sarebbe la fine, roba da dover tristemente tornare all’insegnamento. Allora i due studiano il piano B: allungare la legislatura al 2023 offrendo al premier attuale una formula innovativa per restare premier pure nella prossima legislatura. La formula sarà testata proprio da Enrico Letta alle suppletive di Siena del 3 ottobre: sparizione dei simboli di tutti i partiti, unificati sotto l’insegna che fa del nome del leader il simbolo stesso da presentare al giudizio degli elettori. In sostanza di là Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia. Di qua: Draghi. Con il sostegno ovvio non solo di Pd e M5S, che sarebbero poca cosa, ma di tutto l’establishment giornalistico, bancario, imprenditoriale, finanziario del Paese che poi attrarrà le varie schegge come i partiti di Calenda, Bonino, probabilmente Renzi.
Già, Renzi. Perché per far vivere il piano B Letta e Conte devono riuscire a eleggere un presidente della Repubblica che non sia Draghi ma m’arbitro vero della partita del Quirinale sapete chi sarà? Già, Renzi.
Il presidente della Repubblica viene eletto dalle Camere riunite in seduta comune e integrate da 58 delegati dei consigli regionali: in tutto, 1008 votanti. Per i primi tre scrutini serve la maggioranza qualificata dei due terzi degli aventi diritto al voto. Dal quarto scrutinio basta la maggioranza assoluta: 505 voti. Come si raggiunge questa maggioranza? M5S (283), Pd (127), LeU (17), Misto e Autonomie (46) e delegati regionali di centrosinistra (24) arrivano a 497 voti. Lega (193), Forza Italia (143), Fratelli d’Italia (52), Misto di centrodestra (37) e delegati regionali di centrodestra (34) arrivano a 459 voti. Chi manca? Renzi, che con Italia Viva dispone di 48 grandi elettori. Che possono far pendere la bilancia da una parte o dall’altra, addirittura determinando per la prima volta nella storia l’elezione di un presidente della Repubblica esplicitamente proveniente dal centrodestra: Gianni Letta, lo zio di Enrico, ad esempio? C’è poi sullo sfondo il pressing su Sergio Mattarella affinché rimanga “alla Napolitano” per uno o due anni, il tempo di portare la legislatura alla scadenza naturale nel 2023 e gestire il delicato post-elezioni. Mattarella nicchia perché da giurista e giudice costituzionale non apprezzò la scelta di Giorgio Napolitano di farsi confermare a tempo determinato, definendola scherzando con gli amici “neoborbonica”, cioè fuori dall’alveo della correttezza costituzionale repubblicana. Mattarella potrebbe essere convinto solo da un voto plebiscitario dei 1008 grandi elettori che gli consegnino un nuovo settennato pieno. Ma Salvini e Meloni questo regalo a Letta e Conte difficilmente lo faranno, perché vogliono le elezioni politiche anticipate nel primo semestre del 2022.
E allora rieccoci a Draghi candidato premier, l’unico che secondo i sondaggi riservati che circolano al Largo del Nazareno possa battere le destre, in nome dei soldi e della benevolenza dell’Europa e di tutti i poteri che contano non solo in Italia.
Se questo scenario è vero, tutti i pezzi del puzzle delle continue tensioni innescate da Draghi nel rapporto con Salvini vanno al loro posto. L’escalation è destinata a crescere per diventare rottura dopo il voto per il Quirinale, quando Draghi si sperimenterà per la prima volta nel ruolo di premier non istituzionale ma di parte, per prepararsi a ciò che dovrà rappresentare alle elezioni del 2023: l’uomo solo al comando che fa sparire anche i simboli dei partiti di centrosinistra, che ovviamente però dietro le quinte continueranno ad esserci e ad armeggiare. Sarà di fatto il via di una lunga campagna elettorale che ci dirà alla fine chi governerà l’Italia nel cuore dei difficili Anni Venti.
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