Netanyahu bombarda Damasco, ma il messaggio è per Biden
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Fulvio Scaglione)
Com’è chiaro da mesi, l’unico Paese in Medio Oriente che non ha timore di un allargamento del conflitto è Israele. Perché può vantare un superiorità militare chiara ed evidente. Ma soprattutto perché, mentre l’Iran ha come proxy gli Houthi dello Yemen, gli Hezbollah del Libano e il fragile regime siriano di Bashar al-Assad, lo Stato ebraico ha come proxy gli Stati Uniti, ovvero la massima potenza mondiale. La stessa che ogni anno “regala” allo Stato ebraico 4 miliardi di dollari in armi. La stessa che giochicchiando con le risoluzioni dell’Onu, sta guadagnando tempo per la guerra di Netanyahu. La stessa che dal 1967 a oggi ha accompagnato la politica di espansione degli insediamenti illegali di Israele nei Territori palestinesi occupati, rendendo così di fatto impossibile la famosa soluzione “due popoli due Stati” di cui ora, a parole, si fa paladina.
È in questo quadro che si spiega l’ultima incursione israeliana sulla capitale siriana Damasco, dove è stato bombardato un edificio dell’ambasciata iraniana uccidendo sei persone, tra le quali anche Mohammed Reza Zahedi, un alto ufficiale della forze Al Quds, i cosiddetti pasdaran iraniani. Dicono le prime cronache che l’incursione sia stata programmata per evitare di colpire l’ambasciatore dell’Iran. Ma il punto non è questo. Al di là della “soddisfazione” per aver colpito un esponente di un regime nemico, questa ennesima incursione sulla Siria ha poco a che fare con la crisi di Gaza. Gli stessi servizi segreti Usa, a suo tempo auditi al Senato, hanno escluso quanto tutti erano inclini a pensare, ovvero che ci fosse la mano dell’Iran dietro l’attacco organizzato da Hamas il 7 ottobre dell’anno scorso. E non sono certo le forze iraniane presenti in Siria, pur con tutta la loro ostilità a Israele, a influire sulle operazioni in corso a Gaza.
Più interessante notare che questa operazione si è svolta mentre cresce, dentro Israele, la contestazione al Governo di estrema destra guidato da Netanyahu. Per il secondo giorno consecutivo decine di migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere elezioni anticipate, ovvero il mezzo per potersi finalmente sbarazzare di Bibi. Davanti al Parlamento, a Gerusalemme, è sorta una tendopoli per richiamare i legislatori a una diversa strategia politica. E il Forum delle famiglie degli ostaggi ha intimato ai negoziatori che fanno la spola tra il Qatar e l’Egitto di non tornare in Israele senza un accordo che preveda la liberazione dei loro cari ancora prigionieri di Hamas. Gli Stati Uniti, poi, che vorrebbero liberarsi di Netanyahu senza doversi rimangiare la politica ciecamente pro-Israele tenuta in questi decenni (detto in altre parole: vorrebbero far finire la crisi senza però fare nulla di concreto), hanno fatto capire in ogni modo che l’assalto su Rafah deve essere evitato. Perché provocherebbe un mare di vittime tra i civili e, crediamo, anche perché metterebbe a serio rischio il già precario equilibrio dell’Egitto, un Paese economicamente alla canna del gas per le stolide strategie dei militari che controllano le finanze dello Stato e che, se fosse costretto ad accogliere un milione e mezzo di palestinesi in fuga dalla Striscia rischierebbe di veder esplodere il Sinai, già ribollente di jihadismi, tribalismi e ribellismi assortiti.
Queste bombe su Damasco, quindi, sono soprattutto un monito che l’Israele di Netanyahu (palesemente destinato a fallire nell’idea di “sradicare Hamas”, privo di un vero piano strategico per il dopoguerra, contestato fuori e lacerato dentro) lancia agli Usa, visto che la Ue non conta: non abbandonateci, non provate a distanziarvi, non pensate neppure a prendere qualche provvedimento per fermarci. Altrimenti facciamo saltare tutto e a quel punto sareste davvero costretti a buttarvi nella mischia per difenderci. Caro Biden, apri le orecchie: ci tieni alla rielezione? Vuoi arrivare al voto di novembre come il Presidente che ha tradito i 7 milioni di ebrei di Israele e i 7 milioni di ebrei degli Usa? Ti conviene?
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