Perché un referendum sui Trattati è possibile e può essere abbinato alle elezioni europee del 2019
di EUROSTOP (Sergio Cararo)
L’Antidiplomatico ha ospitato il seguente articolo per contribuire all’informazione sulla campagna per il referendum sui Trattati europei. Ringraziamo la redazione dell’Antidiplomatico.
In queste settimane sta proseguendo, nelle piazze come nei luoghi di lavoro o negli uffici comunali di alcune città, la raccolta di firme sulla proposta di legge di iniziativa popolare che chiede al Parlamento di consentire i referendum, anche solo consultivi, sui Trattati europei.
La proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare presentata dalla Piattaforma Eurostop alla Corte di Cassazione lo scorso aprile, chiede l’indizione di un referendum di indirizzo sull’uscita dell’Italia dall’Unione Europea e dunque la disdetta dei trattati che la regolano. Tra questi vi è anche il Trattato di Maastricht che contempla l’Unione Economica e Monetaria che ha portato all’introduzione dell’euro.
All’art. 2 è scritto che i quesiti da sottoporre a referendum sono i seguenti:
a) “Ritenete voi che lo Stato italiano debba denunciare il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, per uscire dall’Unione Europea?”;
b) “Ritenete voi che lo Stato italiano debba denunciare il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) e il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES), per consentire politiche espansive, che contribuiscano al superamento dell’attuale situazione di crisi economica, di disoccupazione e precarietà del lavoro, e alla garanzia di efficaci servizi pubblici?”.
La proposta di legge fa riferimento al precedente del 1989, quando alla Camera dei Deputati venne approvata una legge che consentì di abbinare alle elezioni europee un referendum chiedeva alla popolazione di pronunciarsi sui poteri costituenti da affidare al Parlamento Europeo.
L’Italia fino ad oggi ha sempre ratificato i trattati europei per via parlamentare e non ha mai consentito che su questi si potesse esprimere la popolazione. Unica eccezione, appunto, quella del 1989.
Ma perché questo ostracismo verso una consultazione popolare e democratica sull’adesione ai Trattati europei, oggi meglio compresi e dunque più invisi dalla popolazione? In molti si riparano dietro l’art.75 della Costituzione che vieta i referendum in materia di trattati internazionali. Altri non lo ammettono ma temono proprio che la popolazione possa esprimersi sulla materia.
Nel resto d’Europa in questi anni ci sono stati referendum su questa materia, ma hanno riservato sempre dei severi dispiaceri all’establisment, alla tecnocrazia europea e alle classi dirigenti liberali ed europeiste.
Il 2 giugno del 1992, si è tenuto in Danimarca un referendum sulla ratifica del Trattato di Maastricht. La maggioranza dei danesi votarono no. Ma nel 1993 il referendum viene fatto rifare. E questa volta vincono i sì. Anche la Francia, nel ’92, fa un referendum su Maastricht. Vincono i sì, ma di pochissimo, tanto che i francesi lo chiamano “Le Petit Oui“: Il piccolo sì.
Nel 1994 è la Norvegia a votare sull’adesione all’Unione Europea. E la maggioranza della popolazione vota no. Sei anni dopo, in Danimarca si svolge un referendum, questa volta, sull’Euro. La maggioranza vota no e la Danimarca non entra nell’Eurozona. Poi è toccato all’Irlanda, nel 2001, a votare un referendum sul Trattato di Nizza. Anche qui la maggioranza vota no. Ma l’anno dopo, il referendum viene fatto rifare. E questa volta vince il sì.
Nel 2005 tocca a Francia e Olanda: si vota sulla Costituzione Europea. La maggioranza della popolazione sia in Francia che il Olanda vota no. A quel punto la Costituzione Europea e viene convertita in “Trattato di Lisbona”. Due anni dopo, nonostante il referendum, il Trattato di Lisbona i governi lo firmano tutti, anche quello francese e olandese tradendo l’esito referendario del 2005.
Nel 2008 l’Irlanda indice un referendum sul Trattato di Lisbona e dice chiaramente di no. Ma l’anno dopo, il referendum viene fatto rifare. E questa volta prevalgono sì.
Nel 2012 la Croazia fa un referendum sull’adesione all’Unione Europea. Le urne vanno quasi vuote (votano solo il 43% degli aventi diritto). Vincono i sì con il 70% ma senza una legittimazione democratica, tanto che molti vorrebbero ripetere la consultazione. Ma Bruxelles dice che va bene così.
Nel 2015 è la Grecia a fare un referendum per decidere se accettare o meno il memorandum/tagliola della Troika europea. La maggioranza del popolo greco esprime un coraggiosissimo “Oxi” cioè no. Ma il combinato disposto tra i feroci diktat della troika e la vergognosa capitolazione del governo Tsipras (che pure aveva indetto coraggiosamente quel referendum), annullano il responso popolare.
Nel 2016 arriva la doccia fredda della Brexit in Gran Bretagna in cui nel referendum una lieve maggioranza della popolazione (e soprattutto i settori popolari) chiede di uscire dall’Unione Europea. I settori liberali e i gruppi finanziari della City stanno brigando per poter rifare il referendum che ha detto un esito a loro sgradito.
In Europa sembra esserci una regola inviolabile: i referendum si ripetono solo quando si vota no ai Trattati europei. Se vincono i sì, diventa per sempre, come una sorta di destino manifesto che mette d’accordo liberali, destra e sinistra europeiste.
Il raggiungimento delle firme necessarie a presentare al Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare per il referendum sui trattati europei, consentirebbe finalmente di poter sviluppare un confronto rigoroso in tutto il paese su costi e benefici dell’adesione all’Unione Europea/Eurozona e di poter far esprimere su questo la popolazione. Inoltre la raccolta di firme sta avvenendo anche su un’altra Legge di Iniziativa Popolare che chiede la riscrizione dell’art.81(obbligo del pareggio di bilancio) imposto in Costituzione dal governo Monti e dai diktat della Bce.
Se il referendum di indirizzo sui Trattati Europei venisse poi abbinato alle elezioni europee del 2019, la questione diventerebbe estremamente chiarificatrice anche sul piano politico. Potremmo verificare concretamente quanto sia vera quella che Le Monde Diplomatique definisce la “contrapposizione ingannevole” tra liberali e populisti. Sia i liberali che le forze euronazionaliste e xenofobe in caso di un referendum sui Trattati europei, voterebbero…. allo stesso modo, smentendo clamorosamente una polarizzazione molto più strumentale che reale tra la destra di Salvini, Orban, Le Pen e il fronte repubblicano “da Macron a Tsipras”.
E’ una ipotesi su cui lavorare, pancia a terra ma a testa alta, almeno per fare un po’ di chiarezza e indicare una alternativa democratica e popolare alla sempre più micidiale gabbia dell’Unione Europea.
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