di Aleksandr Dugin
È la grande festa della Trasfigurazione del Signore [N.d.T.: nel calendario giuliano, in uso in Russia, la festa liturgica della Trasfigurazione, celebrata il 5 agosto, quest’anno cade il 18 agosto del calendario gregoriano in uso in Occidente]. La festa della Trasfigurazione, chiamata popolarmente festa delle mele, ha un grande significato per la struttura stessa del tempo ortodosso. Non è solo la fine dell’estate, è la dimensione spirituale più alta di quello che può essere chiamato il raccolto.
Come il lavoro puro e sacro dei contadini – il lavoro regale e solare della coltivazione della terra e della cura degli animali domestici – produce ogni anno i suoi frutti concreti e visibili sotto forma di grano, latte, vino, uova, carne e mele, così anche la vita spirituale del cristiano dovrebbe essere coronata dalla più alta contemplazione possibile – la contemplazione della Trasfigurazione di Cristo sul Santo Monte Tabor. La visione della Luce non creata del Tabor, in cui il Signore si è trasfigurato davanti ai suoi discepoli scelti, è il culmine del cammino spirituale del cristiano, il più alto dei doni, la fine del viaggio – rigorosamente verso l’alto, verso il Figlio di Dio, la Luce.
Il significato teologico della festa è legato al momento dell’incontro delle due Alleanze, l’Antica e la Nuova. Cristo e i suoi tre discepoli apostolici, Pietro, Giacomo e Giovanni, salgono sul monte. Mentre i discepoli dormono, Cristo rivolge una preghiera a Dio Padre e questo luogo eletto viene inondato di luce eterna. Quando i discepoli si svegliarono, rimasero sorpresi e stupiti nel vedere il loro maestro, Gesù, che parlava nella luce divina ai due anziani, Mosè ed Elia il profeta. Se Gesù Cristo fosse stato un profeta, avrebbe dimostrato la sua dignità profetica con questo incontro. Ed è proprio questo che i discepoli, inorriditi, suggerirono: costruiamo qui tre santuari, un santuario per ciascuno dei profeti.
A quanto pare avevano ragione nella logica dell’Antico Testamento: i giusti superiori si incontravano dall’altra parte della vita e della morte alla luce della verità. Ma non è stato così. Gesù Cristo non è un profeta o un continuatore della tradizione ebraica. È molto, molto di più. È Dio e il Figlio di Dio. E la luce in cui parlò ai giusti dell’Antico Testamento non era ordinaria, ma divina, quella che brillava allora quando non c’era nulla, né luce né tenebre; e lui, la Luce del Tabor, era già lì, e quando il mondo svanirà, brillerà ancora. Affinché gli Apostoli, che dovevano costruire la Chiesa del Nuovo Testamento, la Chiesa del Figlio di Dio, la Chiesa della Santissima Trinità e la Nuova Luce del Tabor, non avessero dubbi, venne una voce dal cielo: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Così sul Monte Tabor fu rivelata la più alta verità cristiana: la verità sul Figlio, su Dio Verbo.
Uno dei partecipanti a questo mistero universale, l’apostolo Giovanni, scriverà nel suo Vangelo: “In principio era il Verbo”. Imparò cosa fosse la Parola e cosa fosse l’amato Figlio di Dio proprio in quel momento sul santo Monte Tabor. Il Nuovo Testamento riconosce e onora i giusti e i profeti dell’Antico Testamento. Ma Gesù Cristo non è uno di questi. Egli è il nostro vero Dio, e questo è ciò che distingue la nostra epoca cristiana della Grazia dalla precedente epoca ebraica della Legge.
Sul Monte Tabor, al momento della Trasfigurazione, questo è stato rivelato ai tre apostoli e, attraverso di loro, al resto dell’umanità. I monaci athoniti [N.d.T. del monte Athos, piccola repubblica monastica in Grecia] e gli anziani russi credevano che vedere la Luce del Tabor fosse l’obiettivo di tutta la vita cristiana. La visione della Luce del Tabor dà inizio alle imprese monastiche del santo russo Sofronio Sacharov che, dopo questo dono, dalla moderna e confortevole Parigi si diresse direttamente alla grotta selvaggia del Monte Athos. Non c’è nulla di più prezioso e più alto della contemplazione dell’eternità; ma per vedere questa luce, insegnavano gli starets esicasti, bisogna mettere la mente nel cuore e purificare il cuore dalle tenebre della materia, dei peccati e di tutte quelle brutture di cui il nostro cuore è spesso pieno. Come diceva l’anziano Sofronio: “La vera via per vedere la Luce Divina è attraverso l’uomo interiore. Finché non scopriremo e coltiveremo l’uomo interiore, finché non studieremo e non purificheremo la nostra essenza, rimarremo nell’oscurità”. Dopotutto, tutto ciò che non è la Luce del Tabor è, nel quadro generale, una continua, impenetrabile oscurità.
Le parole di Simeone il Nuovo Teologo, citate dall’anziano Sofronio Sacharov, sono oggi molto appropriate: “Vieni, vera luce, vieni, vita eterna; vieni, risurrezione dei caduti; vieni, risurrezione dei deposti; vieni, risurrezione dei morti…”. Vieni, Re santo, vieni ad abitare in noi, a dimorare in noi senza sosta, a regnare in noi indiviso, uno per i secoli dei secoli. Amen”.
Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini
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