I vantaggi economici in termini di prezzi bassi dati dall’acquisto di merci cinesi, via risoluzione dei dazi, vengono annullati dalla deindustrializzazione indotta dallo spiazzamento delle produzioni nazionali a favore di quelle di Pechino, soprattutto nei paesi firmatari, a certe condizioni, che spiegheremo di seguito. Ovvero con incremento della disoccupazione, cancellando occupazione di pregio, sostituita molto spesso da impiegati di Glovo…
I dati parlano chiaro: la firma della Via della Seta ha aumentato il disavanzo commerciale con la Cina, vista la riduzione dei dazi. Ovvero, la Cina ne ha guadagnato, non i paesi EUropei che l’hanno firmata.
Abbiamo preso a riferimento i tre paesi EU che l’hanno sottoscritta, Italia, Portogallo e Grecia.
Ne abbiamo verificato l’andamento della bilancia commerciale negli ultimi anni, dalla firma.
I risultati sono incontrovertibili: tali tre paesi hanno visto esplodere il deficit commerciale con Pechino!
Ovvero, a fronte di una limitatissima salita dell’export, direi solo in termini di valore economico dell’export stesso (scontata l’inflazione probabilmente i volumi fisici in export verso la Cina sono rimasti costanti se non addirittura scesi, ndr), la salita dell’import è stata invece esponenziale.
I dati li trovate di seguito, sui tre paesi firmatari centro l’EU: per l’Italia, visto che scriviamo in Italiano, stante la firma nel 2019, il deficit commerciale con Pechino è più che duplicato.
Grecia, sopra
Portogallo, sopra
Italia, sopra
Qualcosa di simile è successo negli altri paesi non euro.
Ciò indica chiaramente effetti deleteri per i paesi che hanno avuto cotanto incremento di deficit commerciale: più import significa che, soprattutto nei paesi con stagnanti consumi interni, si sono sostituiti consumi di prodotti locali con prodotti stranieri.
L’allarme vale soprattutto per i paesi fortemente manifatturieri, che inevitabilmente, in presenza di consumi privati interni stagnanti, vedono aumentare il proprio import. A scapito dei prodotti nazionali.
Nel caso, tale trend si traduce in disoccupazione in casa propria e vantaggio di occupazione in Cina ad esempio. Ovvero deindustrializzazione nel paese che importa.
Se poi le aziende cinesi sono anche attive nel paese che vede aumentare esponenzialmente l’import dalla Cina, magari ad acquisire aziende locali, magari per poi delocalizzarle in Cina, si capisce che, tirata una riga a 20 anni, tale paese che accumula deficit commerciali con Pechino rischia di implodere, socialmente ed economicamente. Altissima probabilità direi.
Spero capiate che l’import a basso costo costo dalla Cina, a parte la dubbia qualità dei prodotti importati, è una polpetta avvelenata, a termine.
Ripeto, a maggior ragione se il paese che accumula deficit “cinesi” è – o meglio, era – ad alta vocazione manifatturiera.
Tra i 3 paesi citati, l’identikit con l’Italia è certamente stridente: paese che produceva fino a pochi anni fa circa 1.5 milioni di auto, con filiere integrate a supporto, oggi ne produce meno di un terzo.
Dove i consumi interni sono stati fatti implodere dai tempi di Monti, confermato dallo stesso alla CNN, da Premier.
Consumi privati italiani, nota si che l’Italia non ha ancora recuperato i livelli del 2019, in euro. Ossia, in volumi fisici tali consumi sono certamente scesi
Ciò è accaduto proprio nell’unico paese occidentale uscito indenne dalla crisi subprime, a causa di un relativo tradizionalismo delle proprie banche (…). Evoluzione direi incredibile, molto poco naturale suicidarsi economicamente, così, direi, senza spinte esterne…
Ma qui apriremmo un altro portone, che per altro abbiamo già trattato in passato per altro.
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Restiamo dunque sull’argomento principe: possiamo concludere che la via della seta ha avvantaggiato la Cina, NON chi l’ha firmata, in EU, almeno in termini di bilancia commerciale e conseguenze al seguito.
Tale tragica involuzione dovrebbe preoccupare anche l’EU, in quanto la somma dei trade deficit dei vari paesi diventa il trade deficit dell’EU. Deficit EU con la Cina che infatti cresce.
Quando sistematicamente un sistema economico accumula deficit commerciali seriali ed incrementali significa che deve indebitarsi per pagare import e bollette dall’estero.
Nel caso in specie significa vendere euro e comprare dollari, minando alla base la propria esistenza, soprattutto dal punto di vista di un ordoliberista (…).
Purtroppo a tale ragionamento, di per se cristallino, va aggiunto un vulnus: la produzione tedesca in Cina.
Ad esempio, oggi le auto tedesche prodotte in Cina superano quelle prodotte in Germania. Tale ragionamento ritengo valga anche per altri prodotti, non solo le auto. A maggior ragione perché la Germania – come sistema Paese – è uno se non il principale investitore in Cina.
Dunque, al trade deficit dell’EU con Pechino andrebbe sottratta la quota di partecipazione tedesca nell’import in EU di beni di aziende tedesche prodotti in Cina e poi esportati ad es. in Italia. Senza contare i profitti segregati in Cina dalle imprese tedesche, ma riflessi nella redditività di borsa dei gruppi germanici (…).
Un gioco complesso, ma relativamente alla luce del sole.
La Germania produce più auto in Cina che… in Germania!
La bilancia commerciale EU con la Cina
Rischiamo infatti, oggi, di essere di fronte ad uno dei maggiori esempi di triangolazione di flussi commerciali, tra l’EU, le sue imprese (soprattutto tedesche) e l’ex Impero Celeste,
La vittima predestinata, la prima, manco a dirlo, sarà quel paese ancora manifatturiero che vede il suo import con la Cina esplodere a fronte di una circa parità in volumi fisici di export verso la Cina. E dove i consumi interni, dalla firma dell’accordo con Pechino, sono scesi o rimasti stagnanti.
E dove magari le aziende cinesi sono attivissime ad acquisire attività manifatturiere, per poi magari delocalizzarle quanto meno nelle filiere di approvvigionamento, avvantaggiando i semilavorati made in China ad esempio.
O addirittura per chiuderle, le aziende acquisite, “un competitor in meno”…
Gli ultimi dati della banca d’Italia ci dicono che, nel periodo 2013-3021 (LINK), al netto dell’Olanda, causa Stellantis, FCA, la Cina è stato il primo investitore in Italia: Pechino compra aziende italiane per chiuderle e/o delocalizzarle? Sembrerebbe…
Come dicevo sopra, l’identikit del paese che subirà conseguenze pesantissime da tale accordo, col tempo, in particolare dentro l’EU, è stridente. E pericolosissimo.
Come ben sapete infatti, questo sito scrive di norma in Italiano ma senza avere il focus sull’Italia, ma piuttosto con un respiro internazionale. Certo, l’Italia resta un grande paese nelle morevdell’EU, cruciale sotto certi aspetti, dunque va data opportuna rilevanza visto che scriviamo in Italiano, ma senza che la bellissima Penisola sia il nostro focus, il contrario direi (…) (la redazione di questo sito esprime soggetti e/o che vivono all’estero, e/o hanno consorte/famiglia estera e/o puntano a trasferirsi all’estero e/o vedono il proprio futuro a livello internazionale, ndr).
In ogni caso, comunque, i giochi si faranno all’estero e verranno recepiti, nel caso, anche e soprattutto nell’ambitissima in Italia.
Ci aspettiamo dunque che l’accordo della Via della Seta non venga rinnovato da chi di dovere, nei tre paesi succitati, alla prima scadenza.
FONTE: https://www.mittdolcino.com/2023/07/17/la-via-della-seta-in-eu-tiriamo-le-somme-e-cancelliamola/
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