Il problema non è la disobbedienza civile, è l’obbedienza civile
DA LA FIONDA (Di Alberto Bradanini)
1. In Palestina, quarantamila morti, ottantamila feriti, verosimilmente molti di più, lo sapremo solo quando l’indignazione verrà ufficialmente consentita, autorizzando a discuterne pubblicamente anche i giornalisti di giornali e TV, che confondono quotidianamente la libertà di parola con la parola in libertà. Tale umano sentimento di esecrazione sarà dunque sdoganato quando non avrà più effetto sulla sofferenza e la sopravvivenza di quel popolo martoriato, in ossequio al disegno di pulizia etnica e massacri di massa perseguito dello stato d’Israele.
Sul fronte ucraino, si combatte invece una guerra provocata a tavolino dall’incontenibile bulimia dell’impero americano che mira a destabilizzare/frammentare la Russia, per accaparrarsene le ricchezze: l’evidenza, per gli scettici residuali, riempie intere biblioteche, mentre i cervelli di regime pappagalleggiano le veline che ricevono dalle redazioni agli ordini della plutocrazia atlantica.
Con ferrea vigilanza sulla narrativa pubblica, il neoliberismo bellicista a guida Usa modella la coscienza popolare, genera sordità e acquiescenza, e rende superflui persino gli interventi destabilizzanti (colpi di stato, invasioni, diffusione di droghe, attentati) cui facevano un tempo ricorso i padroni del mondo per diffondere quei gioielli che essi chiamano democrazia e diritti umani.
Ciononostante, l’esercizio della menzogna e la criminalizzazione del dissenso non sono divenuti per ciò stesso superflui. Seppur narcotizzato o assonnato, il popolo resta inquieto. La storia insegna che se si tira troppo la corda, può uscire dal coma! La sorveglianza rimane indispensabile. Tuttavia, l’egemone unipolare – sempre meno tale, grazie al cielo, essendo il Sud del Mondo uscito finalmente dall’irrilevanza – non abbandonerà facilmente la presa e, seppur privo di egemonia, insiste a voler dominare il mondo, ricorrendo ancor più alla violenza, e diventando più pericoloso, come un orso ferito.
Nell’ultima decade del secolo scorso, uscito vincitore dalla guerra fredda (non per suo merito), l’Impero era caduto nell’illusione della fine della storia, profezia bislacca elaborata da F. Fukuyama, un rabberciato politologo imperialista di origine giapponese, secondo il quale il binomio democrazia liberale/economia di mercato si sarebbe prima o poi imposto quale destino glorioso e ineludibile su ogni nazione della terra. Ma l’arroganza predittiva e l’infantilismo filosofico non potranno mai prevalere sull’incedere valoriale della storia: l’impalpabilità di quella previsione è dileguata davanti all’insopprimibile tensione dell’uomo alla ricerca di nuovi orizzonti ideologici e sociali al servizio dei suoi bisogni essenziali. L’uomo, nella riflessione aristotelica, è animale sociale, dotato di ragione, bisogno di giustizia e consapevolezza della propria morte. Dar senso all’esistenza implica una scelta: a) investire su conoscenza ed empatia, abbracciare i propri simili, rispettandone le differenze e favorendo la pacifica convivenza; b) oppure, inseguire il privilegio, gli onori, la ricchezza e il potere, provocando guerre, distruzione e morte. Le due opzioni sono al centro del dilemma esistenziale, sia per l’uomo che per le nazioni.
2. Gli Stati Uniti sono la malattia, non certo la terapia. Con il 4,2% della popolazione del pianeta, puntano a dominare su tutto e tutti, per l’eternità. È evidente che per Stati Uniti non intendiamo i 335 milioni di abitanti di quel paese, i primi a subire l’oppressione del sistema di cui sono sudditi, bensì quell’uno percento (o meglio lo 0,1 per cento) di psicotici possidenti, che siede intorno alla tavola imbandita. Il dominio assoluto sul pianeta a cui aspira quella ristretta cerchia di umani bisognosi di cure mentali intende cancellare anche le altre culture, giudicate mere espressioni di folklore locale, destinate a dileguare davanti alla superiore civiltà etica e politica della sola nazione indispensabile al mondo, i magnificenti Stati Uniti d’America! Si tratta di un insulto alla logica e all’etica. Non è una coincidenza che il veicolo della liturgia universale del potere sia oggi la lingua inglese, con la quale combattono in modo ridicolo le avvilenti élite politiche e giornalistiche della colonia Italia (dove il Ministero dello Sviluppo Economico, in grottesco ossequio a quanto sopra, si chiama oggi Ministero delle imprese e del Made in Italy, sì del Made in Italy, da non credere!). Ormai il tasso di sudditanza che la nostra classe politica è disposta a digerire non ha limiti.
Invece di assorbire come l’ossigeno una propaganda fabbricata a tavolino, occorrerebbe allontanarsi da quella nazione malata, con cautela certo, poiché gli amici potenti ai quali si disobbedisce diventano più cattivi dei nemici!, infrangere la fiaba infantile di un impero benevolo, che lavora per la pace, la stabilità e la libertà, valori che sarebbero connaturati alla sua incantevole democrazia di diritti umani scrupolosamente rispettati: basti pensare a Julian Assange, ai bombardamenti etici all’uranio impoverito o al napalm, alle prigioni di Abu Ghraib[1] e Bagram[2] (dove migliaia di individui sono stati torturati e uccisi), a Guantanamo[3] (dove sono rinchiusi da decenni uomini mai giudicati o condannati) e a quelle segrete sparse ovunque, alle carceri americane, luoghi di tortura fisica e mentale nelle mani di aguzzini extra-legem (gli Stati Uniti ospitano il 21% dei detenuti del mondo, oltre 2.173.000 su 20,35 milioni, pur essendo solo il 4,2% della popolazione della terra[4], la maggioranza dei quali poveri e diseredati, poiché di certo non sono i ricchi a finire dietro le sbarre).
Se servisse altro per togliere ogni dubbio sul pericolo che la plutocrazia bellicista Usa rappresenta per la pace e la stabilità nel mondo, si scorra il volume della ricercatrice statunitense Lindsay O’Rourke[5]. Eppure, schiere di individui vivono nella fede infantile in un paese senza il quale il mondo andrebbe alla deriva, un modello da imitare: un altro inspiegabile mistero glorioso! Il megafono dei media/politici, frequentato da maggiordomi (tranne le eccezioni che non fanno la differenza), non perde occasione per accusare di antiamericanismo coloro che difendono la ragione, la pace e il diritto di tutti a vivere a modo loro, quando invece la malattia da curare è l’americanismo, non il suo contrario.
3. Ma non è d’obbligo arrendersi al pessimismo definitivo. Il pianeta può ancora sperare in un sobbalzo. Il mondo emergente è alla riscossa, unisce le forze, diventa massa critica e fa sentire la sua voce. Dal 1° gennaio, il gruppo Brics (avanguardia del risveglio del Sud) è passato da cinque a dieci paesi membri, e altri 59 han chiesto di aderire. Insieme costituiscono la grande maggioranza della popolazione mondiale, una forza economica significativa, tassi di crescita superiori all’Occidente. Con tradizioni, sistemi ideologici e politici distinti, essi sono uniti da un cemento straordinario, la difesa della sovranità. Facendo uso di tale valore fondamentale, in uno pianeta a più voci, questi paesi si stanno avviando davvero verso l’uscita dal sottosviluppo, non più attraverso il Washington Consensus, vale a dire la via capitalistica che promette e non mantiene, ma scrutando l’orizzonte, guardando al Beijing Consensus (ma non solo), plastica evidenza quest’ultimo che l’uscita dalla povertà non è più un miraggio, se ci si allontana però dalla patologia estrattiva di un impero corporativo sostenuto dalla violenza.
Rispetto dell’armonia nella diversità, sicurezza reciproca/indivisibile, indipendenza nelle scelte e distanza dall’inganno occidentale dei diritti umani (solo formali e imposti con la forza), insieme alla non interferenza negli affari altrui e al rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite, sono gli ingredienti critici di un Sud Globale che si batte contro la ridicola impostura americana di un rules-based order, un ordine deciso sempre e solo dall’impero egemone.
4. Quanto all’Italia, sorprende non poco che il valore imprescindibile affinché una nazione si costituisca in Stato Politico, quello della Sovranità, sia accantonato dalle stesse istituzioni chiamate a difenderlo. In un passaggio critico come l’attuale, la classe dirigente avrebbe il compito di guidare un popolo inebetito, puntando a riappropriarsi di quel gioiello perduto come una barca che cerca il faro tra i marosi. Già cinque secoli orsono, Machiavelli aveva definito le condizioni minime affinché uno Stato possa qualificarsi tale: assenza di soldati altrui sul territorio nazionale e proprietà della moneta. Obiettivi oggi del tutto assenti in un’arena politica impregnata di colpevole rassegnazione da eterni sconfitti.
Il Paese (lasciamo in disparte la cosiddetta Unione Europea) è prigioniero di un duplice livello di sudditanza: a) quella politico-militare nei riguardi delle oligarchie statunitensi, patologicamente inclini a guerre senza fine; b) quella finanziaria-monetaria[6] del Direttorio europeo franco-tedesco, a sua volta tributario dell’anglosfera imperiale. Quest’ultima, vivendo oltre il proprio merito e lavoro, estrae ricchezza dal mondo intero, inclusi i protettorati europei, resi docili da ricatti, spionaggi e minacce dell’esercito d’occupazione, che gli inebetiti abitanti del Vecchio Continente si ostinano a chiamare “La Nato”. Se non hai un posto a tavola, è probabile che tu sia nel menu[7]! Senza un sussulto di resipiscenza, il declino dell’Italia sarà inarrestabile.
Facendo il loro mestiere, i rappresentanti della Destra lottano per la preservazione dello status quo, violando ogni parvenza di coerenza pre-elettorale, lieti di assumere l’umiliante posizione del missionario davanti ai padroni atlantici (loro sì applauditi sovranisti, non solo nelle parole: America First!) e ai cosiddetti partner euroinomani (nello spirito solidale europeo, i paesi del Sud possono sgretolarsi e impoverirsi, colpa loro!). La cosiddetta Sinistra invece (termine qui usato come sostantivo e aggettivo insieme) passa dal governo all’opposizione senza lasciare traccia, incapace di disegnare l’ombra di una reale alternativa, distinguendosi dalla Destra solo per una diversa capacità d’intrattenere il pubblico televisivo. Vengono qui a mente i dolenti versi che sette secoli fa affollavano gli incubi del Sommo Poeta:
Ahi, serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Il recupero della Sovranità (se il termine infastidisce le anime pie degli euroinomani atlantisti, lo si sostituisca pure con Indipendenza, cambia poco) sarebbe praticabile da subito, con intuibili cautele certo. L’Italia si ergerebbe in tal modo come la Regina del Mediterraneo, un mare che non a caso i nostri antenati chiamavano nostrum, divenendo piattaforma di pace, progresso e dialogo tra i popoli di Africa, Asia ed Europa. Con l’Europa, a quel punto, le relazioni tornerebbero alla pari, non più basate su una umiliante obbedienza a interessi altrui, e la generazione di chi scrive potrebbe abbandonare il mondo con il sollievo di aver lasciato una valida eredità ai propri figli e nipoti.
Riecheggiando il malessere di Mao Zedong nei riguardi dell’Unione Sovietica degli altri ’50, anche noi (guardando all’Unione Europea) dormiamo nello stesso letto, ma non facciamo (almeno non dovremmo fare) gli stessi sogni. Affetta da un incomprensibile complesso d’inferiorità, l’impaurita classe dirigente italiana ha da tempo gettato la spugna senza nemmeno combattere, a dispetto dei danni e oltraggi che riceviamo quotidianamente (declino economico, lavoro precario, servizi pubblici degradati, mancato sviluppo, sudditanza a tutto campo). Sono lontani i tempi in cui, con la cosiddetta liretta, grottescamente diffamata da giornalisti, accademici e politici reclutati con il criterio dell’incompetenza, l’Italia era divenuta la quarta potenza economica al mondo (prima pagina del Corriere della Sera, 16 maggio 1991[8]), superando Francia e Gran Bretagna, mentre stava avvicinandosi a gran passi alla Germania, che era all’epoca il malato d’Europa. I dati disponibili, e qui ripresi[9], fanno rabbrividire.
Una domanda erompe come un vulcano: cosa potrebbe indurre la classe dirigente della Penisola (se ne esiste ancora una), finanziaria, di governo e mediatica, ad abbandonare questo trentennale percorso auto-distruttivo? Il quesito resta per ora senza risposta, anche se, magra consolazione, gli storici futuri nell’evocare il declino del Paese ne elencheranno i responsabili, a loro eterna esecrazione.
5. Sull’Europa poi, s’impone un tragico interrogativo: dove sono finite le classi dirigenti d’antan, non solo quelle che simulavano la difesa del mondo del lavoro (le cosiddette Sinistre) in cambio di soldi e carriere, ma finanche quelle che un tempo difendevano senza mascherarsi gli interessi borghesi, oggi diremmo del ceto dominante? Una plausibile risposta è reperibile nella paura di perdere i residui privilegi. Ad essa segue una seconda: alla scomparsa della borghesia, i membri sopravvissuti vengono cooptati nel cerchio ristretto della classe dominante (quelli provenienti dai paesi vassalli sempre in posizione gregaria, beninteso!), mentre i ceti di servizio, politici, giornalisti e accademici, sono reclutati tramite gli algoritmi pubblicitari, poiché i veri padroni detestano la competenza e i valori etici. In tale degrado, gli intellettuali sopravvissuti dileguano o vengono esiliati.
Nel mondo fiabesco del neoliberismo bellicista, i popoli sono venduti all’asta, ma rimangono al servizio dei gerarchi imperiali, incolti, prepotenti e violenti, la peggior tribù della razza umana[10]. Alla luce degli orrori che zampillano da ogni poro, nulla dovrebbe più sorprenderci. Eppure, continua a colpisce la dabbenaggine di un popolo ebetizzato, che si eccita solo con i quiz televisivi e una palla che rotola, accettando invece passivamente di essere guidato da individui intellettualmente rabberciati, fungibili come il pomodoro, la cui unica virtù è l’obbedienza.
6. Alla luce di quanto precede, è dunque chiaro che la società occidentale non è preda di inesistenti impulsi eversivi, di oscuri ribellismi anarchici o di irreperibili derive antisemitiche. La società non vive nemmeno una crisi di radicalismo populista, tantomeno di sinistra (di vera sinistra, come detto, non si scorge l’ombra!), di estremismo islamico (salvo soggetti marginali, spesso reclutati) o di passiva assuefazione al terrorismo (fenomeno politico, non di criminalità comune, e non di rado a corrente alterna teleguidata).
La società occidentale riflette invece un amaro deflusso sistemico di moralità. La plutocrazia che guida una locomotiva fuori dai binari diffonde una propaganda che sfida persino la logica aristotelica, puntando alla regressione etica universale verso l’età della pietra, mentre l’indifferenza popolare rasenta il silenzio dei cimiteri.
Il problema del tempo presente non è nemmeno l’aggressività di coloro che si oppongono alle atrocità – quelle dell’esercito israeliano a Gaza e quelle che gli Stati Uniti/Ucraina consentono in un conflitto provocato e perduto in partenza (se la Russia scorgesse l’ombra della sconfitta, e fortunatamente non è il caso, userebbe l’arma nucleare!), ma l’acquiescenza di coloro che non si oppongono abbastanza, sopraffatti da spazzatura mediatica, mentre i decisori politici pensano ai loro inverecondi interessi.
Non è vero che troppe persone disobbediscono, è vero il contrario: troppe persone continuano a obbedire. Non è vero che le persone sono radicalizzate, ma è vero il contrario: poche persone lottano per i veri bisogni umani. Non è vero che i piloti del convoglio che porta all’olocausto nucleare sono spaventati dal rigetto popolare. È vero il contrario: essi non hanno abbastanza paura di un popolo che potrebbe privarli delle confortevoli poltrone dove sono seduti.
Non è vero che la società è preda di un’immaginaria epidemia di antisemitismo. È vero invece che la società non ha sufficiente coraggio per gridare che si tratta di un’altra menzogna di cui Israele si serve per massacrare povera gente. I popoli sono più numerosi e più saggi di chi li governa. Non bisogna temere di opporsi. Il mondo non è mai stato così vicino all’Armageddon. Nel 2022, l’Orologio dell’Apocalisse segnava 100 secondi alla mezzanotte, oggi solo 90 secondo separano il pianeta dalla catastrofe.
Lo storico statunitense Howard Zinn affermava: “La disobbedienza civile non è un nostro problema. Il nostro problema è l’obbedienza civile”.
[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Abu_Ghraib_torture_and_prisoner_abuse
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Tortura_e_abusi_su_prigionieri_a_Bagram; https://it.wikipedia.org/wiki/Bagram
[3] https://theintercept.com/2024/06/01/guantanamo-prosecutors-torture-testimony-confession/; https://altreconomia.it/le-torture-di-guantanamo-e-il-tradimento-delle-vittime-dell11-settembre/
[4] https://en.wikipedia.org/wiki/Comparison_of_United_States_incarceration_rate_with_other_countries
[5] Covert Regime Change: America’s Secret Cold War, Cornell Studies in Security Affairs), Lindsey A. O’Rourke, Cornell Un., 2018
[6] https://scenarieconomici.it/il-ventennio-delleuro-i-dati-sul-disastro-economico-italiano/
[7] attribuita alla deputata democratica Ann Richards (al tempo di G.W. Bush)
[8] https://scenarieconomici.it/italia-quarta-potenza-corriere-della-sera-16-maggio-1991/
[9] https://mail.yahoo.com/d/folders/2/messages/AMCGsU1NbFe-ZnbPcwSEQK6BMDA/AMCGsU1NbFe-ZnbPcwSEQK6BMDA:2?fullscreen=1
[10] https://english.scenarieconomici.it/international/the-real-power-in-europe-is-neither-democracy-or-the-market/
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