La locomotiva arresta la sua corsa: la crisi della Germania
DA LA FIONDA (Di Paolo Arigotti)
La Germania era definita fino a poco tempo fa la locomotiva dell’Europa, ma le cose stanno cambiando, e molto rapidamente.
Il paese sta affrontando una grave crisi, economica e sociale, che si trasforma inevitabilmente anche in politica.
Crisi energetica, pandemia e flussi migratori sono le motivazioni principali, assieme a una frattura tra quella che fu la Germania ovest e la ex DDR, la repubblica democratica tedesca che per circa 40 anni rimase nell’orbita sovietica, fino alla caduta del regime comunista nel 1989, cui fece seguito, a nemmeno un anno di distanza dal crollo del muro, la riunificazione, o per meglio dire l’annessione[1]. Nonostante le aspettative che caratterizzarono quella fase storica, i lander orientali hanno finito per essere controllati dagli ex connazionali d’occidente, che non solo hanno riservato per sé la quasi totalità delle posizioni che contano – con la ragguardevole eccezione della ex Cancelliera Angela Merkel, nata ad Amburgo ma cresciuta nella ex Germania est[2] – ma che si sono garantiti la proprietà degli apparati produttivi e del patrimonio immobiliare[3].
Non è un caso se è soprattutto in questa parte del paese che si registra la più forte ascesa politica delle destre, a cominciare da AFD[4], una forza politica che, piaccia o meno, vede al proprio interno nostalgici del nazismo, nonostante la compagine politica affondi le sue radici nella iniziativa di alcuni docenti universitari e intellettuali, contrari alla moneta unica europea, risalente a meno di venti anni fa. Allo stesso tempo, crolla la fiducia nel partito socialdemocratico (SPD) dell’attuale Cancelliere Olaf Scholz, che alle ultime europee non ha raccolto neanche il 14 per cento dei voti (13,90 per essere precisi), certificando l’emorragia di consensi e la protesta insita nel voto, che ha fatto dell’AFD il secondo partito (15,90), dopo la CDU- CSU (30).
La situazione tedesca fu sintetizzata già due anni fa da Andrea Muratore[5]: “la caduta del Paese in deficit commerciale per la prima volta dalla riunificazione nel maggio 2022 e la scelta del neo-cancelliere Olaf Scholz – già ministro delle Finanze nel quarto e ultimo governo della Cancelliera di ferro – di procedere a un rilancio delle spese militari sono segnali di un caos sistemico che il Paese ha difficoltà a governare”.
In effetti, se durante il lungo “regno” della Merkel la Germania – saldamente collocata sotto l’ombrello americano, riuscendo così a contenere gli oneri per la difesa e destinando ad altre voci la spesa pubblica – ha conosciuto uno sviluppo che pareva inarrestabile, fondato sull’energia a basso costo proveniente dalla Russia, sul forte export e sulla consolidata cooperazione economica e commerciale con la Cina, aprendo a Pechino il porto di Duisburg, quale terminale occidentale della nuova Via della Seta), ora le cose stanno cambiando, e molto rapidamente. Ci sarebbe anche molto da dire sui vantaggi che il paese ha avuto dalla partecipazione alla UE, ma questo discorso magari lo affronteremo in separata sede.
Partiamo da un dato, quello sulla spesa per la difesa. Nel 2024, per la prima volta dal 1992, l’ammontare degli oneri militari supererà la fatidica soglia del 2 per cento richiesta dalla NATO, per attestarsi sul 2,1 del PIL[6], il che significa minori disponibilità per altre voci di bilancio.
L’approvvigionamento di gas russo a basso costo è oramai un ricordo. Come arcinoto, il sabotaggio del North Stream[7], principale fonte di energia dalla Federazione russa, ha posto fine a uno dei vantaggi competitivi dell’industria tedesca[8], senza dimenticare che molti problemi erano già derivati dalle politiche frutto della cosiddetta transizione green[9], che hanno determinato, prima ancora dello scoppio del conflitto, una crescita generali di prezzi e tariffe, che hanno inciso su beni primari come cibo e carburanti, determinando una contrazione dei consumi.
E poi c’è il capitolo dei rapporti con la Cina. Per quanto la Repubblica popolare resti ancora oggi un partner di primaria importanza[10], per Berlino, come per tutta l’Europa, già si allunga l’ombra di nuove sanzioni e dazi contro Pechino, frutto più che altro della cieca fedeltà alle politiche targate NATO, cui la UE è fin troppo lesta ad adeguarsi, specie con la conferma della von der Leyen al vertice della Commissione europea[11]. Una decisione che potrebbe minare seriamente un altro fondamentale fattore di sviluppo per l’economia europea in generale, e tedesca in particolare. Per fare un esempio, il sempre più marcato (a tratti autolesionistico) allineamento europeo verso Washington[12] sta spingendo la UE a imporre nuovi dazi all’importazione di veicoli elettrici da Pechino.
Le prime restrizioni dei flussi commerciali[13], con particolare riferimento al vitale comparto automobilistico[14], cui si aggiungono la penuria di materie prime e la scarsità di componenti essenziali rappresentano già oggi un problema, senza dimenticare che per la Germania l’export ha costituito da sempre un punto nodale.
Come scriveva[15] a giugno scorso la testata «Die Zeit», si sta riscontrando un drastico calo delle esportazioni destinate ai paesi fuori dalla UE, accompagnate da una diminuzione significativa delle importazioni dalla Cina (-14%). Eppure, varie aziende tedesche hanno trasferito le loro produzioni proprio in Cina (e la Miele in Polonia[16]), spinte dai costi inferiori della manodopera e dalla volontà di aggirare le sempre più stringenti norme green targate Bruxelles.
Se è vero che Scholz si è affrettato a dire[17] di non volere una guerra commerciale col Dragone, resterà da vedere quanto i diktat d’Oltreoceano potranno compromettere alcuni tra i settori vitali dell’economia germanica (automobilistico o chimico ad esempio), con la Cina che già studia le eventuali contromosse[18] [19].
Impossibile non valutare i riflessi della guerra in Ucraina, riguardo la quale la Germania sta assumendo posizioni sempre più integraliste, con aiuti già stanziati, o in corso di definizione, stimati in 28 miliardi di euro [20]. Il conflitto, che con sempre maggiore evidenza si presenta come una guerra per procura che persegue obiettivi molto distanti da quelli sciorinati ufficialmente, ha visto tra i suoi riflessi quel disaccoppiamento tra UE (leggi, Germania) e Russia come uno dei maggiori trionfi della strategia statunitense[21]. Non solo gli USA hanno ottenuto di sostituire in buona parte le proprie forniture (assai più onerose e poco rispettose dell’ambiente) a quelle russe – a parte quelle che aggirano le sanzioni per il tramite di abili triangolazioni[22] -, ma sta portando avanti una vera e propria strategia di reindustrializzazione[23], a spese (e danni) del vecchio continente, a cominciare dalla Germania.
Non solo, difatti, l’aumento della produzione bellica sta andando a tutto vantaggio dell’apparato militare industriale d’Oltreoceano, ma gli oneri energetici sempre più insostenibili per le industrie europee spingono in molti, pure sull’onda dei vantaggi offerti dall’Inflation reduction act[24], a spostare negli Stati Uniti le produzioni, con la Germania che si è già giocata quel ruolo di hub europeo del gas che pareva essersi guadagnata[25]. Se questi li chiamano alleati, abbiamo idee molto diverse sul significato del termine!
Lo stesso asse franco tedesco, che ha praticamente dettato legge in Europa, potrebbe avere i giorni contati, anche perché se le cose non vanno bene per Scholz, Macron[26] è in crisi e le presidenziali del 2027 potrebbero segnare il tramonto della sua epopea politica.
Venendo ai fatti della vita quotidiana, coi problemi dei comuni cittadini, cerchiamo di capire quali riflessi questo insieme di “geniali” strategie sta avendo sulla società tedesca.
In Germania non si contano più negozi, esercizi e grandi magazzini che hanno chiuso, o si apprestano a farlo. Tra gli altri, una delle più note catene di grandi stores sta per chiudere ben sedici filiali, per via dei debiti e delle insolvenze, e fa un certo effetto aggirarsi per le vie del centro delle grandi città e vedere molte serrande abbassate. In base ai dati pubblicati dall’Associazione tedesca del commercio al dettaglio (HDE) per il 2023, si stimava la chiusura di circa novemila esercizi[27], causata prevalentemente dall’inflazione che ha ridotto il potere d’acquisto delle famiglie, assieme all’aumento delle bollette e alla concorrenza degli store dell’online; agli inizi del 2024 è stata depositata l’istanza di fallimento per Galeria, colosso della grande distribuzione, travolta dal default della società madre, l’austriaca Signagruppo, gruppo immobiliare a sua volta vittima del rialzo dei tassi d’interesse e del caro mutui[28].
Un dato interessante, riferito al 2022, è quello dei cittadini tedeschi che hanno lasciato il loro paese: 83.000 persone, contro le 64.000 dell’anno precedente. I migranti si sono diretti per lo più verso Svizzera, Austria e Stati Uniti; allo stesso tempo cresce l’immigrazione, con un saldo positivo in favore di persone provenienti per lo più da Est Europa (molti gli ucraini in fuga dalla guerra) e dai paesi asiatici (come Siria, Turchia e Afghanistan), che ha portato l’incidenza degli stranieri sulla popolazione residente a circa un quarto [29]. Inutile aggiungere che la crescita dei flussi migratori alimenta dubbi e timori, che portano nuova linfa a quelle forze politiche, come AFD, che contrastano non solo le politiche UE, ma pure quelle migratorie. E non va trascurato il malessere per la crescente criminalità, denunziato non solo dalle forze di destra, che nel paese sta diventando sempre più endemica, tanto che quasi la metà degli illeciti commessi viene ricondotto a migranti [30]. Verissimo che non sono mancate le proteste contro l’avanzata delle estreme[31], ma non interrogarsi sulle ragioni del malessere non sembra la strategia più efficace.
Esiste un unico settore che offre chiari segnali in controtendenza, ed è quello della produzione di armi. La Rheinmetall, la principale industria del settore, ha registrato incassi record negli ultimi anni – ricavi e titoli sono cresciuti del 530 per cento dal 2019 – tanto che il gruppo con sede a Düsseldorf, grazie alle commesse di armi e munizioni, non solo sta facendo una spietata concorrenza a italiani e francesi, ma sogna di contendere il primato dei colossi statunitensi[32]. E non dimentichiamo che forniture alla NATO (ed alleati asiatici) e Ucraina a parte, la Germania vende molte armi anche a Israele[33]. Allo stesso tempo, però, diverse problematiche investono altri settori strategici, come quello dell’industria automobilistica[34], chimica[35] e bancaria[36]. E marchi storici come Michelin, Continental o Bosch hanno sofferto crisi dovute alla contingenza internazionale, compreso il blocco del mar Rosso ad opera degli Houthi[37]. Un altro problema deriva dalla scarsità degli investimenti: il dato 2023 registra circa undicimila aziende manifatturiere (tra cui chimiche, macchinari, etc) che hanno dichiarato bancarotta, il numero più alto dal 2004.
Se la guerra ha portato incassi colossali per i produttori di armi, sta mettendo seriamente a rischio il benessere del ceto medio. E se è vero che gli Europei di calcio appena conclusi sembrano aver messo il turbo al PIL tedesco[38], è presto per dire se non si sia trattato del classico fuoco di paglia. Stando al rapporto Forrester Job Forecast per il ventennio 2020-2040, le cinque principali economie del vecchio continente (Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Spagna), a causa dell’automazione e dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, rischiano di perdere entro il 2040 qualcosa come dodici milioni di posti di lavoro[39].
A penalizzare consumi e famiglie arriva anche la crisi del settore manifatturiero, che da solo fa circa un quinto del PIL, e che sta pagando lo scotto di ulteriori criticità, come una burocrazia ipertrofica e l’assenza delle necessarie competenze professionali. Per quanto concerne il primo punto, basti ricordare che per la Banca mondiale[40] è più difficile aprire un’impresa in Germania che in Italia: il nostro paese occupa il 98esimo posto nella poco invidiabile classifica, ma la Germania è 125esima e la colpa è tutta del carico burocratico per l’avvio di nuove iniziative economiche.
E se siamo portati a pensare che siano solo i lavoratori italiani a pagare lo scotto di un fisco particolarmente “pesante”, i colleghi tedeschi non se la passano tanto meglio[41]: il 47,8 per cento del salario se lo “mangia” l’erario, a fronte di un media Ocse del 34,8. E poi c’è anche un altro problema, che forse farà storcere il naso ai fautori del reddito di cittadinanza. In Germania questo sussidio si chiama Bürgergeld, e a gennaio scorso è stato aumentato di circa il 12 per cento, con l’effetto di far risultare più conveniente il suo percepimento, piuttosto che le posizioni lavorative offerte dal mercato. Basti dire che una famiglia di quattro persone può arrivare, tenuto conto dei diversi benefit, a percepire circa 3.500 euro (netti) al mese, con un costo della vita inferiore a quello italiano[42].
Lo stesso mito dei lavoratori tedeschi come stakanovisti viene messo a dura prova, visto che si tratta dell’economia industrializzata dove si lavora meno ore: 1.341,9 a fronte di una media Ocse di 1.752 all’anno (quella italiana è di 1.694 ore, quella statunitense 1.811).
Il calo del PIL registrato nel corso del 2023 ha destato molte preoccupazioni[43], collocando la Germania al di sotto di paesi come Italia o Spagna, mentre le proiezioni per l’anno in corso non sono incoraggianti. Molti analisti concordano sul fatto che il paese stia pagando lo scotto della dipendenza dalle esportazioni (specie quelle energetiche) e della rigidità del mercato del lavoro[44], ma forse costoro trascurano due particolari non di poco conto: se non fosse stato interrotto il flusso di gas russo e se venissero adottate politiche di maggiore “flessibilità” del mercato del lavoro, le cose cambierebbero? La domanda è lecita, la risposta la lasceremo a voi.
A questo punto, che la crisi economica si trasformi in crisi politica e di consensi non può sorprendere, e il risultato delle europee è emblematico, mentre già si guarda alle politiche del prossimo anno [45].
La crescita della povertà viene testimoniato, anche visivamente, dall’aumento di chi chiede la carità per le strade, e non è un dato da sottovalutare per una nazione che fino a poco tempo fa era la meta prediletta di migranti alla ricerca di un riscatto sociale. Si stima che nella sola Berlino quasi sei senzatetto su dieci sono cittadini tedeschi costretti per strada non potendosi permettere un tetto sulla testa, mentre la scarsità di alloggi incide sulla possibilità di procurarsene uno, facendo lievitare costi e affitti. La buona notizia è che salari e stipendi, fermi per diverso tempo, e mediamente più alti rispetto alla media europea (2.635 euro lordi al mese, che in Germania raggiunge i 3.854 euro, a fronte dei 2.637 italiani)[46], hanno registrato un incremento di quasi il dieci per cento, trascinato dagli aumenti del settore pubblico, frutto di un’ondata di scioperi del pubblico impiego[47].
Nonostante ciò, l’ufficio federale di statistica riferisce che nel paese ci sarebbero più di tre milioni di persone in povertà; nel 2021 erano in 13 milioni a rischio povertà (circa il 15 per cento della popolazione)[48], con un dato preoccupante riferito ai bambini e ai giovani, un quinto dei quali potrebbe non aver accesso a un’istruzione adeguata.
E se la Germania piange, l’Italia ha poco da ridere, come l’intero continente. A parte le criticità interne del nostro paese, occorre avere presente che tra le due nazioni esiste una forte interdipendenza e un importante interscambio commerciale[49], ragion per cui, mettendo da parte sciocchi sentimenti di rivalsa, abbiamo poco da rallegrarci per la crisi tedesca.
In conclusione, potremmo dire che se lo scopo iniziale della NATO[50] era “americani dentro, russi fuori e tedeschi sotto”, forse oggi potremmo dire che questi obiettivi sono stati raggiunti, ma sarebbe lecito domandarsi a quale prezzo, oltre ovviamente cui prodest.
Alla luce di tutto ciò, suonano profetiche le parole a suo tempo pronunciate da Martin Brudermüller, amministratore delegato del colosso chimico BASF, quando appresa la notizia del distacco tedesco dal gas russo disse[51]: “Vogliamo consapevolmente distruggere la nostra intera economia?”
Una domanda che potrebbe essere rivolta all’intera Unione Europea, magari richiamando alla mente anche le parole di altro personaggio, molto più conosciuto, Henry Kissinger: “Essere un nemico degli Stati Uniti è pericoloso, ma essere un amico è fatale”.
E chi potrebbe dargli torto? A Berlino, come a Roma.
FONTI
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[1] www.limesonline.com/rivista/perche-l-ex-ddr-e-una-colonia-occidentale-16359597/
[2] it.wikipedia.org/wiki/Angela_Merkel
[3] www.youtube.com/watch?v=2SW76tbl-e8 – Limes “La Germania senza qualità. La crisi tedesca – MappaMundi con Lucio Caracciolo”
[4] www.limesonline.com/rivista/la-prevedibile-ascesa-dell-afd-16359766/
[5] it.insideover.com/politica/la-germania-sul-viale-del-tramonto.html
[6] www.limesonline.com/rivista/la-zeitenwende-al-rallentatore-16367625/
[7] Ricordiamo la famosa dichiarazione del presidente statunitense Joe Biden: “Ucraina, Biden: “Se la Russia invade, stop al gasdotto Nord Stream 2” – www.youtube.com/watch?v=ixhg95phl8s
[8] ilfattoquotidiano.it/2023/02/08/il-premio-pulitzer-harsh-esplosioni-del-nord-stream-ordinate-e-organizzate-da-casa-bianca-e-cia-washington-smentisce/7034430/
[9] Lo spiega egregiamente Demostenes Floros nel suo saggio “Guerra e pace dell’energia. La strategia per il gas naturale dell’Italia tra Federazione russa e NATO” (2019)
[10] Ma già emergono le prime fratture: www.lindipendente.online/2024/07/15/la-germania-mette-al-bando-le-cinesi-huawei-e-zte-dal-5g/
[11] it.euronews.com/my-europe/2024/05/06/lue-e-pronta-a-una-guerra-commerciale-contro-la-cina-avverte-ursula-von-der-leyen
[12] www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2024/06/12/berlino-non-vogliamo-una-guerra-commerciale-con-la-cina_28225f73-3631-425e-829e-582a84802418.htmltheguardian.com/business/article/2024/may/21/janet-yellen-eu-us-chinese-exports-tariffs-electric-vehicles
[13] www.dbresearch.com/servlet/reweb2.ReWEB?ColumnView=0&ColumnViewRwd=0&ColumnViewRwdFree=AT%2CDU2%2CTI%2CDA%2CT3%2CT1%2CT2%2CPE%2CNR%2CTE%2CDU1&ColumnViewRwdStyle=gmlist4&DocumentLanguage=EN&DocumentLayout=$%2BSTFI%2C-SHEO%2CMEKL%2CMPEK&ElementCount=134&ElementKey=PROD0000000000529851&ExcludeIssue=PROD0000000000529851&Hits=12&LayoutTypeResult=rpsResultPage&LayoutTypeResult2=rpsResultAndFilter&NoStandardPage=OFF&OrderDirection=Desc&OrderTerm=Date&PageTitle=G%2FpkuUqc8qFk6frMZCcAhvLwmbbBHoq82OdavSQJO%2BM7aAGMmQ6MRorbfz%2B3Qqumx%2FybiDs7bWPyG81zANbMHE319MOxFvXY&Periodical=PROD0000000000445454&ProdCollection=+&Property=7&dateColumnFormat=7&prodAttributes=0&rfAjaxResult=false&rfAjaxUserFiltersView=TI%2CT3%2CT1%2CT2%2CPE&rfDisciplineSnippetItems=T3%2CT1%2CT2%2CPE&rfDocumentType=DOCU&rfLogColumns=RD%2CAT%2CSM%2CTI%2CM3%2CMB%2CDL3%2CRCPL%2CTE%2CSI%2CTR%2CPP%2CKZPT%2CMP%2CPE&rfTitleIndexName=PROD0000000000445454_EN&rwdspl=0&rwnode=RPS_EN-PROD$PROD0000000000445454&rwobj=ReFIND.ReFindSearch.class&rwsite=RPS_EN-PROD
[14] inside-research.db.com/servlet/reweb2.ReWEB?&ColumnView=0&ColumnViewRwd=0&ColumnViewRwdFree=AT%2CDU2%2CTI%2CDA%2CT3%2CT1%2CT2%2CPE%2CNR%2CTE%2CDU1&ColumnViewRwdStyle=gmlist4&DocumentLanguage=EN&DocumentLayout=SRBU%2CSTHT%2CSTXT%2CSCOH%2CSNAT%2CSNAB%2CSPEL%2CSPST%2CSPSB%2CSPT2%2CSABL%2CSALI%2CSRIC%2CUHTM%2CSPWL%2CSTEF%2CSCFI%2CMEKL%2CMPEK&ElementCount=172&ElementFrom=12&ElementKey=PROD0000000000530329&ExcludeIssue=PROD0000000000530329&Hits=12&LayoutTypeResult=rpsResultPage&LayoutTypeResult2=rpsResultAndFilter&OrderDirection=Desc&OrderTerm=Date&PageTitle=rvy%2FTbk2MSaszVPo5qzO4WeBjPGZlMNDP%2FRvL6%2Fd0bH%2B%2FnfrTHWpa%2FqbJXU7z2%2Ban1D9A%2FCe7Wk%3D&Property=7&ResultType=SearchNextPage&Topics2=ERIC.HEYMANN&dateColumnFormat=7&prodAttributes=0&rfAjaxUserFiltersView=TI%2CT3%2CT1%2CT2%2CPE&rfDocumentType=DOCU&rfLogColumns=RD%2CAT%2CSM%2CTI%2CM3%2CMB%2CDL3%2CRCPL%2CTE%2CSI%2CTR%2CPP%2CKZPT%2CMP%2CPE&rwdspl=0&rwnode=RPS_EN-PROD$ERIC_HEYMANN&rwobj=ReFIND.ReFindSearch.class&rwsite=RPS_EN-PROD
[15] www.zeit.de/wirtschaft/2024-06/export-sinken-china-usa-eu-deutschland
[16] www.limesonline.com/rivista/l-industria-tedesca-ha-un-problema-16367054/
[17] www.bloomberg.com/news/articles/2024-06-08/germany-warns-against-trade-barriers-as-eu-readies-ev-tariffs?sref=ZVajCYcV
[18] www.globaltimes.cn/page/202406/1314014.shtml
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[22] www.linkiesta.it/2023/04/paesi-aggirano-sanzioni-petrolio-russo/
[23] www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/industria-bellica-ordini-record-730-miliardi-ecco-come-l-occidente-si-riarma/4de0e6c0-185d-11ef-9f5b-5e0a378a91f3-va.shtml
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[34] scenarieconomici.it/vw-e-mercedes-due-faccie-della-stessa-crisi-dellauto-tedesca/
[35] www.startmag.it/economia/germania-crisi-industria-chimica-basf/
[36] www.ilpost.it/2024/02/01/deutsche-bank-taglio-3500-lavoratori/
[37] it.marketscreener.com/quotazioni/azione/MICHELIN-CGDE-4672/attualita/La-crisi-del-Mar-Rosso-costringe-Michelin-a-fermare-la-produzione-in-Spagna-il-prossimo-fine-settima-45748486/
[38] www.mediatrends.it/euro-2024-ha-messo-il-turbo-al-pil-tedesco/
[39] italiaeconomy.it/intelligenza-artificiale-lavoro-e-opportunita/#:~:text=Stringendo%20il%20campo%20sul%20continente,di%20lavoro%20entro%20il%202040.
[40] «Ease of Doing Business rankings», Banca mondiale
[41] «Labour taxes rise across OECD countries amid persistent inflation», Oecd, 25/4/2024.
[42] stranieriditalia.com/costo-vita-germania-2022-vs-italia.html
[43] www.ansa.it/nuova_europa/it/notizie/rubriche/economia/2024/02/23/in-germania-pil-in-calo-nel-quarto-trimestre-2023_e3858ed7-5d10-4d5d-83cc-313b5ef8a58c.html#:~:text=L’Ufficio%20federale%20di%20statistica,terzo%20trimestre%20dell’anno%20passato.
[44] it.euronews.com/business/2024/04/17/ecco-perche-leconomia-tedesca-rimane-la-piu-in-difficolta-in-europa
[45] results.elections.europa.eu/it/germania/
[46] www.lastampa.it/economia/2024/07/10/news/salari_italia_germania-14462335/#:~:text=Che%20nel%20nostro%20Paese%20arrivano,si%20fermano%20a%204.020%20euro.
[47] www.milanofinanza.it/news/tassi-bce-tagli-ecb-rate-cuts-ecco-perche-forte-aumento-salari-germania-puo-essere-un-problema-202404101959103542
[48] www.corriereditalia.de/attualit-a/la-poverta-in-germania-e-in-forte-aumento/#:~:text=Secondo%20i%20dati%20ufficiali%20dello,15%2C8%25%20della%20popolazione.
[49] www.infomercatiesteri.it/overview.php?id_paesi=69#
[50] Frase attribuita al primo segretario generale NATO, il britannico Hastings Lionel Ismay.
FONTE: https://www.lafionda.org/2024/07/24/la-locomotiva-arresta-la-sua-corsa-la-crisi-della-germania/
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