Economia, diritti, Europa: la politica secondo il nuovo Napoleone
di FAMIGLIA CRISTIANA (Fulvio Scaglione)
La riforma del mondo del lavoro, la crescente privatizzazione del sistema ferroviario, i problemi della sicurezza e quelli legati all’immigrazione: in questi mesi, suscitando proteste e scioperi, il Presidente francese s’è dimostrato più attento ai capitali e agli investimenti che alle persone. E circa il futuro del Vecchio Continente…
Uno dei misteri più buffi di questi ultimi anni è come abbia fatto parte della sinistra europea a innamorarsi di un presidente profondamente di destra come il francese Emmanuel “Napoleon” Macron. È vero, stiamo parlando di una sinistra che ormai bacia i piedi alla Nato, emette gridolini entusiasti se gli Usa dicono bombardiamo e crede che la globalizzazione spinta dalla finanza sia l’equivalente moderno dell’internazionalismo proletario. Non di meno l’abbaglio è colossale, anche perché Macron in Francia è ormai più sopportato che amato (da tempo il suo indice di gradimento è sotto il 50%) e, da buon ex private banker presso Rothschild, vara, per decreto e senza dibattito parlamentare, riforme che hanno un’unica filosofia di fondo: indebolire i diritti (i privilegi, dice lui) di chi lavora e spianare la strada a chi ha capitali da investire.
È vero che se nessuno investe nessuno lavora. Ma se nessuno lavora o guadagna abbastanza, chi è che consuma merci e servizi? La riforma del lavoro di Macron era invece basata su alcuni punti chiave: contrattazioni sindacali anche a livello aziendale; licenziamenti possibili anche se l’azienda è in attivo; compensazioni per l’eventuale licenziamento stabilite per legge e non attraverso arbitrato; via tutta una serie di garanzie per i lavoratori impiegati in aziende con meno di 50 dipendenti; contratti a tempo determinato liberalizzati e contrattati a livello di settore. Tutti questi punti, senza eccezione, vanno a svantaggio di chi lavora.
Adesso tocca ai ferrovieri, che Macron e i macroniani considerano i privilegiati per eccellenza. Il quotidiano Le Monde ha spiegato bene quanto questo sia leggenda: il ferroviere francese ha un salario (3.090 euro) che è un po’ più sostanzioso di quello medio (2.912) ma per entrare nei ranghi deve avere meno di trent’anni, superare un periodo di prova che può durare anche 30 mesi, e una volta assunto deve adattarsi a lavorare di notte e nei fine settimane e digerire una mobilità potenzialmente estesa su tutto il territorio francese.
La vera questione è lo status della SNCF, la società ferroviaria statale che opera di fatto in regime di monopolio e ha accumulato un debito di 47 miliardi di euro. Una parziale apertura alla concorrenza si è avuta nel 2003 per il traffico merci, e la SNCF ha perso il 40% del fatturato. Nel 2009, poi, c’è stata una minuscola apertura anche nel trasporto passeggeri, ma così ridotta da passare quasi inosservata. Ora Macron, per prima cosa, propone l’abolizione dello Statuto dei lavoratori delle ferrovie, che in effetti offre qualche protezione in più (superato il periodo di prova il posto è garantito, le condizioni pensionistiche sono buone, si viaggia gratis sui treni) ma non è certo la causa dei disservizi né dell’enorme passivo di gestione. Serve però a invogliare eventuali investitori privati quando il Governo dovesse avviare la tanto sospirata privatizzazione che, viste lo stato comatoso delle finanze di SNCF e il mare di debiti che l’opprime, equivarrebbe alla liquidazione dell’azienda di Stato: chi mai vorrebbe prendersela, in quelle condizioni?
Ora, perché Macron fa tutto questo? Semplice: perché lo chiede, anzi lo pretende l’Europa. Dal 2019, secondo le regole comunitarie, dovrà essere liberalizzato il traffico regionale e dal 2020 quello ad alta velocità. E con questo si arriva al secondo mistero buffo che riguarda Napoleon Macron: come si sia arrivati, sulla base di un paio di discorsi, a considerarlo il salvatore dell’Unione Europea e dell’ideale comunitario.
Certo, Macron parla molto di Europa. È un tema che gli è caro. Lo tira fuori ogni volta che può. Ma che cosa dice, realmente? Il suo primo, vero discorso programmatico sull’Europa fu quello tenuto ai professori e agli studenti della Sorbona nel settembre scorso. In quell’occasione fece la tirata di prammatica contro i nazionalismi e i sovranismi, accusandoli di sfruttare la paure della gente. E poi, al momento di dire che cosa serve all’Europa, se ne uscì con questo: “Il fondamento di qualunque comunità politica è la sicurezza. Viviamo in un’Europa in doppio movimento: da un lato il disimpegno progressivo e ineluttabile degli Usa, dall’altro un fenomeno terroristico di lunga durata che si è dato l’obiettivo dio spezzare le nostre società libere. L’Europa, in questi campi, ha preso coscienza delle proprie fragilità… In materia di Difesa dobbiamo arrivare a una capacità di azione europea autonoma e complementare a quella della Nato”.
Quindi, secondo “Napoleon” Macron, l’Europa è in pericolo e ciò di cui ha davvero bisogno è… un esercito! Non lavoro, innovazione, protezione sociale, politiche familiari, ma armi. E poi la chicca, fantastica, dell’ineluttabile disimpegno americano. Abbiamo ben visto in questi giorni: un fischio da Washington e tutti allineati e coperti a dire che bombardare un pochino la Siria è cosa buona e giusta. Per non parlare della lezione impartita qualche mese fa da Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato che è finanziata al 75% degli Usa. Parlando ai ministri della Difesa dell’Alleanza, che comprende quasi tutti i Paesi della Ue, Stoltenberg disse chiaramente che le infrastrutture europee dovevano essere adeguate alle esigenze militari, che strade ponti e ferrovie dovevano essere ammodernate per poter trasportare carri armati e truppe per la prossima guerra contro la Russia.
Un’altra fissa pseudoeuropeista di Macron è l’immigrazione. Alla Sorbona aveva detto di sognare un Ufficio europeo dell’asilo, per armonizzare e accelerare le pratiche relative ai migranti che chiedono una protezione internazionale. A Bruxelles, dove l’altro giorno ha tenuto il suo secondo discorsone sull’Europa, ne ha detta un’altra: superare il problema delle quote di migranti da redistribuire nei diversi Paesi Ue (soluzione respinta da molti Paesi, che hanno semplicemente rifiutato le decisioni comunitarie), non stare a diventar pazzi con la riforma del Regolamento di Dublino (quello che ha rischiato di mettere in ginocchio anche l’Italia, oltre alla Grecia, costrette a gestire da sole gli afflussi massicci degli anni scorsi, soprattutto nel 2015 quando 1,2 milioni di persone affluirono verso l’Europa) ma studiare un sistema di finanziamento delle comunità che accettano di ospitare migranti. Comunità che ovviamente sarebbero, per ragioni geografiche, le stesse che già li hanno gestiti in passato.
Macron è un retore furbo, e gode di un vantaggio sconosciuto a tutti gli altri leader europei: la strepitosa vittoria elettorale gli ha dato la Presidenza e anche la maggioranza in Parlamento, quindi può fare ciò che vuole. Però lui, in Europa, tende a fare l’esatto opposto di quanto dice, che è a sua volta spesso l’esatto opposto di quanto aveva detto prima. Adesso le quote non gli piacciono più. Ma nel luglio scorso, quando l’Italia aveva chiesto l’aiuto di Francia e Spagna per gestire il flusso di migranti in arrivo dalla Libia, Napoleon Macron aveva sigillato porti e frontiere, respinto le navi delle Ong cariche di migranti e chiesto alla Ue di incrementare il sistema delle quote.
In realtà Macron è il tipico esponente delle élite finanziarie che hanno governato l’Europa negli ultimi anni e che tanti danni hanno fatto all’ideale europeista. E fa il giochino tipico di quegli ambienti. Se le cose vanno male è colpa dei populisti e sovranisti. Mentre è vero il contrario: populisti e sovranisti esistono perché le cose vanno male e a farle andar male hanno molto contribuito i leader come Macron. Francia per Francia, molto più saggio era Dominique de Villepin, il ministro degli Esteri che nel 2003 mandò a stendere George Bush e la sua demenziale idea di invadere l’Iraq. In un libro dal titolo accattivante (“Memorie di pace in tempi di guerra”), De Villepin scriveva: “Oggi molti attaccano gli Stati in quanto organizzazioni sociali arcaiche e opprimenti, in nome del liberismo e dell’estensione illimitata della supremazia dell’economia. Un’illusione che ha provocato la crisi economica, poi la Brexit e l’elezione di Trump”. E aggiungeva: “I populismi sono l’effetto dell’abbaglio delle élite davanti alla globalizzazione”. Punto.
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