di VOCI DALLA GERMANIA (David Gutensohn)
Ci avevano spiegato che i minijob alla tedesca erano una buona soluzione e che bisognava importarli anche in Italia. Ma con l’arrivo della crisi i minijob si sono mostrati per quello che sono: una forma di dumping salariale, non troppo diversa dalla legalizzazione del lavoro nero. Ne scrive David Gutensohn su Zeit.de
Prima della crisi, piu’ di sette milioni di persone in Germania avevano un minijob, un cosiddetto “lavoro marginale”. Marginale (Geringfügig) per il Duden è sinonimo di insignificante, irrilevante o esiguo. E proprio i lavori irrilevanti, apparentemente sono stati fra i primi ad essere colpiti dalla crisi da Coronavirus. Solo a marzo, infatti, sono stati licenziati 224.000 minijobber. Il periodo di preavviso di sei settimane, che si applica anche ai minijob, in molti casi è stato ignorato. La minijob-Zentrale parla di un “declino significativo” e tra qualche settimana prevede anche una seconda ondata di licenziamenti. I minijob non sono a prova di crisi. È giunto il momento di liberarsene.
Chi ha un monijob guadagna fino a 450 euro mensili senza doverci pagare le tasse sopra. Non ci sono costi per l’assicurazione sanitaria, per quella contro l’invalidità o la disoccupazione. E il pagamento dei contributi pensionistici è solo su base volontaria. Per i dipendenti c’è un vantaggio decisivo: i salari lordi spesso corrispondono ai guadagni netti. Originariamente i minijob – riformati in maniera sostanziale dal governo Schröder nel 2003 – erano stati pensati per contenere il lavoro nero nelle famiglie e nelle abitazioni private, ad esempio per le pulizie o le lezioni private.
4,4 milioni di persone dipendono dai minijob
Oggi, tuttavia, la maggior parte dei minijobber in Germania non lavora nelle abitazioni private, ma negli hotel, nelle fabbriche e nell’assistenza sanitaria. Per molti di loro il lavoro da 450 euro al mese non è affatto un piccolo reddito extra di cui facilmente possono fare a meno. 4,4 milioni di tedeschi, infatti, dipendono esclusivamente dalle entrate dei minijob, e non hanno nessun altro lavoro oltre a questo. Fra questi ci sono molti studenti, genitori single e pensionati.
Durante la crisi, tuttavia, il grande vantaggio dei minijob si è trasformato in uno svantaggio: perché i minijobber non pagano alcun contributo sociale, non hanno diritto a prestazioni sociali, né ai sussidi di disoccupazione, né alla cassa integrazione. Se perdono il lavoro, come sta accadendo a centinaia di migliaia di persone, hanno solo la sicurezza di base (Hartz IV). E la crisi attuale mostra anche che per i datori di lavoro alla fine il minijob non è redditizio: non è un caso che siano proprio questi lavoratori i primi ad essere stati scaricati. Contrariamente alla credenza popolare, il minijob per i datori di lavoro non è affatto più economico rispetto ai normali rapporti di lavoro. Per un normale dipendente, infatti, il datore di lavoro deve pagare circa il 20% in termini di tasse e imposte, per i minijob piu’ del 30% sotto forma di tassa forfettaria. E questo anche se il minijobber non ha diritto alle prestazioni previste dalle assicurazioni sociali.
Le posizioni a tempo pieno sono state sostituite con dei minijob
Allo stesso tempo, un certo numero di datori di lavoro ha saputo sfruttare questo costrutto. Le imprese, alla ricerca di flessibilità, hanno sostituito le loro posizioni a tempo pieno con piu’ minijob, sostiene il ricercatore in scienze sociali Stefan Sell della Hochschule Koblenz. Anche l’Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung afferma che molti minijob alla fine sono serviti solo per sostituire dei dipendenti a tempo pieno. Per questa ragione i minijob da molto tempo ormai sono diventati il bersaglio di molte critiche. Invece di creare lavori più sicuri, ci sono sempre più minijob sottopagati. Invece di una cassiera a tempo pieno, in molti luoghi di lavoro hanno messo tre mini-jobber. Invece di assumere in maniera corretta i camerieri, i ristoranti preferiscono assumere tre studenti non sindacalizzati, che non fondano un Betriebsrat e non chiedono aumenti salariali.
In tempi di crisi, i datori di lavoro utilizzano questa flessibilità per poter ridurre il personale piu’ rapidamente. E questa è una minaccia esistenziale, soprattutto per quelle persone per le quali il mini-job non rappresenta solo un piccolo extra-reddito.
Non ci sono aumenti salariali
E i minijob hanno anche un altro svantaggio: se in qualche settore aumentano i salari, i minijobber devono comunque restare al di sotto dei 450 euro mensili. Questo può essere fatto solo riducendo l’orario di lavoro. Per questo motivo, ad esempio, un certo numero di imprese di pulizia all’inizio di quest’anno hanno chiesto che i minijob venissero aboliti. Dal 1 ° gennaio, infatti, i salari per il personale addetto alle pulizie sono aumentati. Ma poiché nessuno può guadagnare più di 450 euro con un minijob, oltre 100.000 addetti alle pulizie hanno dovuto ridurre l’orario di lavoro. Se fosse stato solo il loro stipendio a crescere, avrebbero superato i 450 euro e sarebbero stati assoggettati a dei contributi previdenziali. Ma a causa di tasse e imposte non sarebbe rimasto quasi nulla di quell’aumento salariale. Anche per questo motivo, molti dipendenti del settore della ristorazione, dopo l’aumento del salario minimo hanno dovuto ridurre l’orario di lavoro.
Il succo della questione è che i minjobs possono essere usati per evitare gli aumenti salariali. Sostituiscono i lavori regolari e in tempi di crisi rappresentano un onere per i datori di lavoro. È arrivato il momento di rinunciare a questo modello di lavoro. Esperti come Enzo Weber dell’Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung e i Verdi, ad esempio, suggeriscono di sostituire i minijob con dei lavori soggetti a dei contributi previdenziali. E questa è anche l’unica strada giusta.
Il lavoro dovrebbe prevenire la povertà in vecchiaia
Affinché le persone in futuro possano avere una maggiore protezione dai rischi, è necessario che i lavoratori versino dei fondi nelle casse della previdenza sociale in modo da maturare un diritto a delle prestazioni future. Sono necessari dei posti di lavoro in grado di prevenire la povertà in vecchiaia, perché con questi impieghi sarà possibile riempire le casse della previdenza sociale. E c’è bisogno anche di un altro modo di guadagnare un secondo reddito aggiuntivo, che sia anche esente da imposte e quindi attraente per i pensionati, gli studenti e i genitori single.
Per fare si’ che ciò sia possibile, ogni ora lavorata dovrà essere coperta dalle assicurazioni sociali. Allo stesso tempo, lo stato dovrà sovvenzionare chi guadagna poco rinunciando a tassare queste persone, come fa ad esempio per i cosiddetti midijobs. Dal 2019 infatti è possibile guadagnare tra i 450 e 1.300 euro lordi al mese, con una bassa tassazione e con pochi contributi sociali, che però crescono all’aumentare dello stipendio. Contrariamente ai mini-jobs, questi posti di lavoro sono a prova di crisi: le aziende possono fare domanda per la cassa integrazione invece di licenziare i lavoratori. Alla fine tutti ne traggono un beneficio.
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