Bosnia Erzegovina: il 9 gennaio delle provocazioni
di OSSERVATORIO BALCANI E CAUCASO (Edvard Cucek)
Come ogni anno le autorità della Republika Srpska hanno celebrato il 9 gennaio del 1992 come momento fondativo dell’Entità. Un commento
Il 9 gennaio del 1992 nel Parlamento dell’allora Repubblica Socialista di Bosnia Erzegovina i parlamentari serbo-bosniaci proclamarono la “Repubblica serba di Bosnia Erzegovina”. Per la non trascurabile maggioranza dei serbo-bosniaci quella è la data della nascita di quell’Entità confermata dopo la firma degli Accordi di Dayton come parte integrante dello Stato bosniaco erzegovese che oggi conosciamo come Republika Srpska. Entità di maggioranza serbo bosniaca che non dovrebbe però essere fondata sui crimini di guerra, pulizia etnica, culturicidio, urbicidio e tanto altro come quella proclamata nel 1992. Insieme alla Federazione della Bosnia Erzegovina, di maggioranza bosgnacca e croato-bosniaca ed al Distretto di Brčko vanno a formare la Bosnia Erzegovina di oggi. Così composta o, per molti, così divisa. Dipende dalle convinzioni personali e dal vissuto.
Più di una volta la Corte Costituzionale della Bosnia Erzegovina si è pronunciata inequivocabilmente: festeggiare e ricordare quella data come la Giornata della “costituzione” dell’Entità bosniaca non è costituzionale ed è quindi illegale. L’ultima volta, nel 2019, la Corte Costituzionale ha accolto la richiesta di nove delegati del Consiglio dei Popoli della Republika Srpska per il riesame di costituzionalità della Legge sulla Giornata della Republika Srpska, ed è stato stabilito quanto segue:
“Il 9 gennaio, scelto come ‘Giorno della Repubblica’, non è conforme alla Costituzione della Bosnia Erzegovina, alla Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
Nonostante tutto ciò si è continuato con i festeggiamenti di quella data in tutti questi anni. In passato il palcoscenico principale era ospitato dalla città di Banja Luka. Seconda città della Bosnia, a stragrande maggioranza serbo-bosniaca e roccaforte del nazionalismo e separatismo serbo.
Quest’anno invece il “factotum” della RS, l’ex presidente della Presidenza tripartita delle Bosnia Erzegovina e nuovamente il presidente dell’entità Republika Srpska, Milorad Dodik, ha deciso di spostare i festeggiamenti a Istočno Sarajevo, nei pressi della linea di demarcazione amministrativa tra le due Entità, creando con questa decisione un clima molto teso e provocatorio.
Reazioni dal mondo politico e internazionale
Uno tra i primi a qualificare come “provocatorie” queste decisioni è stato l’Alto rappresentante in Bosnia Erzegovina Christian Schmidt. Nel suo intervento pubblicato sulla pagina ufficiale dell’OHR Schmidt non aggiunge niente di più di quello già sentito dai suoi predecessori: condanna quanto accade ricordando che quella data per varie ragioni rappresentò l’inizio del conflitto. Schmidt avverte delle possibili conseguenze e richiama i politici serbo bosniaci ad essere consapevoli e responsabili di quello che hanno concesso alle cosiddette “correnti estremiste”. Peccato che queste “correnti estremiste” hanno per capofila proprio il presidente Dodik che quest’anno ha assegnato l'”Onorificenza del 9 gennaio” al presidente della Federazione russa, artefice dell’aggressione all’Ucraina, Vladimir Putin.
Una mossa ingiustificabile compiuta dai politici che rappresentano una parte del popolo di uno stato che finalmente ha ottenuto di recente lo status di candidato per l’ingresso nell’Ue. Peter Stano, portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, ha definito questa decisione come un “terribile errore”.
Che fare?
Da cittadino della Bosnia Erzegovina mi domando, all’indomani del 9 gennaio, se quella parte della Bosnia è destinata a divenire una società senza luce. E tutto avviene dopo i messaggi di pace, di tanto auspicata ripristinata convivenza, oltre che vita in comune, pronunciati in occasione del Natale ortodosso.
Osservata dall’esterno la parata militare della Republika Srpska in occasione del 9 maggio potrebbe far sorridere: assomiglia ad una pagliacciata di una classe politica in “delirio di onnipotenza”. Ma per i cittadini della Bosnia Erzegovina è impossibile osservare questa celebrazione senza che riemergano traumi di guerra, genocidio, senso di una continua mostruosità e la perdita di persone care.
Scarsa e inefficace inoltre la risposta istituzionale dello stato di Bosnia Erzegovina. Il secessionismo, vero o dichiarato, di Dodik insieme all’analfabetismo politico di Sarajevo paiono tracciare una via senza ritorno verso l’indebolimento delle istituzioni e verso la cancellazione di quel poco che rimane di uno stato multietnico e multiculturale.
Noi cittadini, nati e vissuti ovunque, ai quali le “parate” di Dodik non fanno ridere, possiamo solo ricordare a tutti i fatti accertati sui crimini guerra. Non per sostenere qualcuno o qualcosa. Per sostenere la verità. Per quanto questo possa contare…
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